Arte, restauro e… fantasia: il mausoleo di Costantina a Roma

A Roma, lungo la Via Nomentana, sorge un monumento la cui luce storico-artistica proviene da un mondo molto lontano: parliamo del mausoleo di Costantina, figlia dell’imperatore Costantino il Grande. L’edificio, intitolato a partire dal XIII secolo a Santa Costanza, venne eretto con la funzione di sepolcro della nobile donna, in occasione della sua morte avvenuta nel 354 d.C. Durante la fase costruttiva, si pensò di unirlo alle strutture murarie della già esistente basilica circiforme costantiniana di Sant’Agnese, cui la giovane era particolarmente devota; dunque, l’immagine che si deve avere è quella di una cappella laterale raggiungibile, in questo caso, dalla navata sinistra della chiesa attigua. Ad oggi, però, la basilica è andata quasi totalmente perduta, mentre il sepolcro della principessa è sopravvissuto ed il visitatore può accedervi direttamente.

Roma, mausoleo di Costantina, interno (foto tratta da wikipedia.org; © José Luiz Bernardes Ribeiro / CC BY-SA 4.0)

Il mausoleo si articola in tre anelli – ma in origine erano quattro –, posizionati l’uno dentro l’altro; perciò, una volta varcata la soglia, si può percepire un’incredibile forza centripeta, che è massima non appena si raggiunge la serie di colonne dell’anello più interno. Queste sono l’ultima meta di un viaggio visivo che termina al centro, dove infatti un tempo si trovava il sarcofago in porfido con le spoglie della donna.

A chiudere la struttura è l’immensa cupola sovrastante che, proprio come il Pantheon da cui i costruttori del mausoleo presero ispirazione, presenta al centro un oculum chiuso ma che, come quello, doveva essere aperto.

Roma, mausoleo di Costantina, particolare di uno dei mosaici del deambulatorio (MM, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons)

Dal punto di vista della decorazione dell’interno, in origine l’edificio offriva alla vista tappeti di mosaico che lo rivestivano da cima a fondo. Essi si conservano solo in parte, mentre il resto non è riuscito a scampare alle inevitabili distruzioni del tempo e dell’azione dell’uomo. Volendo ricreare la visita che oggi si fa entrando nel mausoleo, si vuole iniziare dai mosaici della volta dell’anello più esterno, visibili non appena si accede: alzando lo sguardo e girando attorno a questo spazio, si possono ammirare gli undici scomparti trapezoidali ospitanti mosaici con motivi ornamentali e scene di vendemmia; in particolare, si segnalano queste ultime dove alcuni personaggi vengono colti nel trasporto degli acini e nella spremitura dell’uva. Iconograficamente, tali immagini attingono al repertorio dell’arte pagana, che sono però da interpretarsi in chiave cristiana: in particolare, il frutto dell’uva rimanda – letto in ottica religiosa – al tema dell’Eucarestia, perciò al sangue versato da Cristo per redimere l’umanità. Stilisticamente, le scene sono caratterizzate da un incredibile linguaggio mimetico: si noti infatti il particolare della pancia rigonfia dei buoi che trainano il carro, o quello dei volti dei vendemmiatori, oppure la varietà dei colori che dona volumetria ad ogni corpo.

Immediatamente al di sotto della volta del primo anello, il visitatore noterà che il muro è ritmato da una serie di profonde nicchie, di cui due di esse presentano ancora la decorazione musiva; si precisa tuttavia che gli interventi di restauro, avvenuti tra il XVII ed il XIX secolo, ne hanno provocato delle variazioni, a dir poco curiose, che verranno a breve illustrate.

La prima scena, la Traditio clavium, mostra Cristo nell’atto di consegnare a Pietro le chiavi dei cieli: «A te darò le chiavi del regno dei cieli», (Mt. 16, 19). L’apostolo è raffigurato con il busto inclinato in segno di deferenza, mentre Cristo è seduto su un globo celeste simboleggiante l’universo; sulla destra compaiono nove palmizi disposti su una lingua di prato, due alle spalle di Pietro e l’ultima tra i due personaggi, per un totale di dodici.

Roma, mausoleo di Costantino, interno, la “Traditio clavium” (Gaux, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons)

Se il visitatore riuscisse ad accostarsi maggiormente al mosaico, noterebbe alcune anomalie, tra le quali la barba dell’apostolo che, invece di essere bianca e corta, non è raffigurata. Questo inusuale volto giovanile di Pietro ha generato, nel corso dei secoli, diversi dubbi interpretativi che hanno contribuito a ipotizzare una identificazione con San Giovanni Evangelista che riceve il rotolo del suo Vangelo, oppure con Mosè nell’atto di prendere le tavole sul Monte Sinai. A tal proposito, anche la indefinibile forma delle chiavi ha causato, come appena visto, letture diverse: in effetti, lo sguardo si focalizza su un oggetto dalla sagoma cuneiforme che ricorda, curiosamente, quella di un coltello. Infine, si segnala la posizione, del tutto disarmonica, della piccola palma tra San Pietro e Cristo, inserita, come un disegno del Seicento testimonierebbe, in un secondo momento. Tutte queste anomalie sono infatti l’infelice risultato di interventi di restauro storici, frutto della incomprensione del tema o della scarsa dimestichezza con le fonti scritte.

Roma, mausoleo di Costantina, interno, particolare di San Pietro, della chiave e della palma nella “Traditio clavium” (dettaglio tratto da: Gaux, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons)

Si passa all’altra scena superstite, la Traditio legis: ad essere stato ritratto è Cristo al centro, questa volta glabro in volto, nell’atto di consegnare il cartiglio all’apostolo Pietro che è alla sua sinistra; dall’altra parte sopraggiunge acclamante San Paolo. Cristo è in piedi su di un monte, simboleggiante il Paradiso, da cui sgorgano tre fiumi; accanto si trovano quattro agnelli, alludenti agli evangelisti. A chiudere fisicamente la scena è raffigurato, su entrambi i lati, un edificio da cui spunta un palmizio. Anche qui, la consegna della legge attinge a forme e modelli pagani: ad esempio, si prenda in considerazione la scena di Liberalitas dell’arco di Costantino e si noti la stretta affinità tra l’imperatore, ritratto al centro, e il Cristo della Traditio. Tuttavia, è qui di grande importanza il fatto che sia stata effettuata una peculiare interpretazione della scena: il Nuovo Testamento riporta la consegna della legge sia avvenuta per mezzo di Cristo a tutti gli apostoli mentre qui, come osservato, è soltanto Pietro a riceverla. La spiegazione consiste nel fatto che questi fu il primo vescovo di Roma e sebbene nel IV secolo la città non ricoprisse ancora il suo primato nel Vescovado, l’arte iniziava già ad essere utilizzata come efficace strumento di affermazione politico-religiosa.

Roma, mausoleo di Costantina, interno, la “Traditio legis” (foto tratta da wikipedia.org; © José Luiz Bernardes Ribeiro / CC BY-SA 4.0)

Questa volta, Pietro presenta correttamente la barba, nonostante il suo non sia un volto reso con lo stile paleocristiano, ma si tratti palesemente del frutto di un restauro. Interessante risulta essere l’iscrizione sul cartiglio: si legge «DOMINUS PACEM DAT», cioè “Il Signore dà la pace”, quando in realtà la seconda parola, “PACEM”, avrebbe dovuto essere “LEGEM” e quindi “Il Signore dà la legge”. Essendo il mosaico risalente al IV secolo, quando cioè quest’iconografia era ancora molto diffusa, è stato pensato che l’”errore” potesse essere perciò imputato ad un restauro moderno; a conferma di questa versione ci sarebbe il monogramma di Cristo, “XP”, presente sullo stesso cartiglio. Altri, però, ritengono di poter leggere nel termine “DOMINUS” lo stesso imperatore Costantino che, dopo la vittoria su Massenzio, avrebbe riportato la pax christiana ravvisabile nello stesso sigillo cristico “XP”.

Altra ambiguità è quella dei tre fiumiciattoli: come visto, il monte dal quale sgorgano è il mons paradisiacus che, di consuetudine, presenta sempre quattro e non tre fiumi. È ragionevole ipotizzare che ciò sia la conseguenza di una eliminazione dovuta, di nuovo, ad un intervento di restauro; un discorso simile può essere fatto anche attorno alla mancanza della fenice, simbolo della Resurrezione di Cristo, sempre presente nella iconografia della Traditio legis in prossimità dei palmizi.

Infine, ultimo elemento che ha creato interesse e letture diverse è il bastone impugnato da Pietro: secondo alcuni, esso sarebbe stato privato, sempre per le ragioni già viste, della parte sommitale che aveva una forma di croce e che sovente appare in quest’iconografia; secondo altri, invece, il bastone sarebbe stato concepito da sempre così e sarebbe la virga virtutis, il “bastone della virtù”, sebbene non sia attestato in altri casi.

A concludere la decorazione dell’interno è la cupola: sappiamo che originariamente essa era ricoperta di marmi policromi, mentre ad altezza della volta anulare si sarebbe di nuovo incontrato il mosaico; in merito a quest’ultimo, è noto che all’interno di una complessa cornice ombrelliforme si alternassero storie dell’Antico e del Nuovo Testamento chiuse, in basso, da un paesaggio marino popolato da animali ed eroti. Queste informazioni le ricaviamo da fonti moderne, databili tra il Quattrocento ed il Settecento, perché oggi la situazione è ben diversa: nel 1620 infatti, in pieno clima controriformista, il cardinale Fabrizio Veralli ordinò di smantellare l’antica decorazione sia in marmo che in mosaico, pensando che fosse più opportuno ospitarvi scene dipinte della storia di Santa Costanza; infatti, dai disegni è possibile comprendere l’avversione che il cardinale potrebbe aver provato osservando le forme ellenizzanti di alcune parti della decorazione. Comunque, nel 1939 l’intervento voluto dal Veralli fu in parte rimosso, mantenendo esclusivamente la pittura della volta anulare come è ancora oggi.

Si vuole concludere questo breve contributo chiedendo al lettore di provare a immaginare l’antica bellezza che quest’edificio avrebbe dovuto assumere quando ogni sua parte non era ancora stata violata. Giunto da chissà quale terra lontana, il fedele avrebbe certamente provato vivo stupore alla vista dei mosaici e dei marmi, il tutto illuminato dal bagliore vibratile delle candele e da quello saldo della primitiva fede cristiana.

Bibliografia essenziale:

M. Andaloro (a cura di), L’orizzonte tardoantico e le nuove immagini. 312-468, vol. I, Milano 2006.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 15 settembre 2021

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Foto di copertina: Lalupa, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons

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Pubblicato da Giulia Abbatiello

Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.