Breve storia delle biblioteche italiane dal tardo Ottocento ad oggi

Biblioteca Casanatense, interno (Lalupa, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons)

In questo nuovo contributo, vi condurremo all’interno di una realtà “ovattata”, in cui tutti noi, almeno una volta nella vita, siamo entrati avvertendo il desiderio di trascorrervi il nostro tempo, perdendoci con lo sguardo su quei ripiani un po’ polverosi ma colorati e dal fascino incredibile. Di cosa stiamo parlando? Del mondo delle biblioteche italiane.

Questo mondo affonda le proprie radici in tempi remoti, quando gli istituti religiosi prima e i privati poi (es. famiglie nobili) costituirono immense raccolte di libri. Pensiamo ad esempio a Cassiodoro che nella seconda metà del VI secolo d.C. allestì la biblioteca nel monastero di Vivarium, nei pressi di Squillace in Calabria, di cui purtroppo nulla ci è giunto, o alla Repubblica della Serenissima che, nel Quattrocento, accolse per uso pubblico i codici greci del cardinale Bessarione, con cui si costituì uno dei primi nuclei della Biblioteca Marciana.

La situazione, rimasta in alcune realtà pressocché invariata, iniziò a subire i primi stravolgimenti a partire dall’Ottocento quando, con lo scioglimento degli ordini religiosi e la conseguente demanializzazione delle loro proprietà, moltissimi beni librari andarono dispersi, oppure distribuiti in nuove strutture. Sebbene il nostro Paese avesse un numero considerevole di problemi da affrontare, si curò di porre mano alla complessa situazione in cui le biblioteche italiane versavano: come accennato, il panorama bibliotecario italiano si mostrava infatti come un mosaico costruito con tessere diverse a causa del fatto che il nostro paese, prima di unificarsi, era frazionato in tanti Stati autonomi, ciascuno sorretto da un proprio sistema normativo e con una storia, tradizioni e fondi posseduti diversi.

Calando il lettore nella realtà del tempo, abbiamo deciso di riportare alcuni risultati ottenuti a seguito di un’indagine statistica voluta nel 1865 da Giuseppe Natoli, allora Ministro della Pubblica Istruzione nel Governo La Marmora (questo perché al tempo, e fino agli anni Settanta del secolo scorso, le biblioteche italiane erano amministrate da questo Ministero), che fotografa, seppur con delle incertezze che sottolineeremo, il seguente panorama:

  • 210 sono le biblioteche censite (a mancare all’appello erano però Roma e Venezia, che infatti non erano ancora entrate nel Regno);
  • il patrimonio bibliografico italiano ammontava ad oltre quattro milioni di volumi, al punto che il nostro Paese era, all’epoca, secondo soltanto alla Francia; tuttavia, l’analisi statistica rivelava anche che la maggior parte dei beni librari abbracciava materie umanistiche, perciò a discapito di tutte le altre, e privi di opere straniere;
  • il secondo dato che veniva segnalato era l’altissimo numero dei testi dati in lettura in quel 1865, anno cioè dell’analisi statistica, sfiorando quasi il milione ed un terzo dato che, non meno sbalorditivo del precedente, contava oltre 930.000 utenti frequentanti una biblioteca nell’arco di un anno (l’anno preso in considerazione  per quest’ultimo risultato era il 1863); comunque, possiamo mostrarci titubanti davanti a questi ultimi dati soprattutto se si aggiunge che il 75% della popolazione italiana (in alcune Regioni anche il 90%) era analfabeta;
  • gli impiegati erano 565. Perciò, in media, su 210 biblioteche il numero degli addetti era di tre persone a sede.

Anni dopo, nel 1889, venne effettuata la stessa indagine statistica ed i risultati che si registrarono rivelano una situazione decisamente migliore sotto la maggior parte dei punti:

  • questa volta il numero delle biblioteche censite è pari a 1831;
  • il patrimonio librario ammonta a ben oltre i tredici milioni di volumi;
  • il numero delle utenze annue arrivava a quasi tre milioni di presenze;
  • il personale impiegato, invece, non era quantitativamente aumentato: 1049 erano infatti gli addetti che, se rapportati alle 1831 biblioteche censite, facevano meno di mezza persona a biblioteca!

Tra i dati riportati, leggere quale fosse la mole di beni bibliografici di cui l’Italia di fine secolo disponeva – oltretutto censendo, in entrambe le indagini statistiche, un numero inferiore di istituzioni bibliotecarie rispetto alla realtà – ci fa rendere conto della immensa eredità che il nostro Paese stava per ricevere tra le mani. Certamente, tra i problemi cui trovare al più presto una soluzione vi era quello di riunificare il sistema bibliotecario italiano al di sotto di un regolamento unico; di affidare alcune biblioteche a Province e Comuni per “alleggerire” il carico statale da questa immensa eredità bibliotecaria; di fondare un’unica biblioteca nazionale; di accorpare in un unico istituto le biblioteche di una stessa città; di istituire nuove biblioteche in quelle realtà che ne erano totalmente prive; di adottare norme uniche per la catalogazione; di iniziare a pubblicare cataloghi in cui venissero censiti i patrimoni librari di ciascun istituto; di uniformare i servizi tipici di una biblioteca come quello del prestito; di razionalizzare il sistema delle nuove acquisizioni che, quindi, potessero iniziare ad abbracciare possibilmente ogni disciplina del sapere; di organizzare corsi di formazione per i futuri bibliotecari.

Ad alcuni di questi problemi furono fornite delle soluzioni, spesso molto felici, una parte delle quali coincisero in un anno “mirabile” cui, non a caso, la letteratura critica diede il nome di “primavera fortunata”: il 1885/86. In questo torno di tempo, andava infatti definendosi la figura professionale del bibliotecario e quelli che, ancora oggi, sono i suoi imprescindibili strumenti di lavoro: tra questi, si ricorda la fondazione del “Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa della Biblioteca nazionale centrale di Firenze” della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ed il BOMS, ovvero il “Bollettino delle opere moderne straniere acquistate dalla biblioteche pubbliche governative del Regno d’Italia” della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma; se il Bollettino fiorentino è in continuo aggiornamento e chiunque lo può consultare, quello romano, ugualmente fruibile da tutti, si è purtroppo arrestato alle pubblicazioni del 2011.

Un’altra iniziativa analoga fu l’uscita della collana “Indici e Cataloghi”, nata per la catalogazione dei fondi antichi a partire da quelli manoscritti, cui si affiancano gli “Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia” iniziati nel 1890 da Giuseppe Mazzatinti. Chi fosse interessato all’argomento, sappia che dal 1988 è in corso il progetto di digitalizzazione di tutti i manoscritti italiani conservati nelle biblioteche pubbliche, private ed ecclesiastiche chiamato “Manus online”. Ma il lettore si chiederà a questo punto: perché queste iniziative? Perché catalogare? E noi rispondiamo con una frase molto semplice: catalogare i libri è la prima attività di tutela preventiva di un fondo librario. Immaginate per assurdo che una calamità naturale – o umana, come la guerra – si abbattesse sulle nostre biblioteche. Un giorno, cosa sarà in grado di ricostruire l’identità perduta dei libri conservati al loro interno se non il catalogo?

Biblioteca di Archeologia e Storia dell’arte in Piazza Venezia, Roma (foto di Giulia Abbatiello)

Avvicinandoci a tempi a noi più vicini, l’arrivo degli anni Settanta è stato senz’altro un momento in cui soffiò un vento di cambiamento per l’assetto amministrativo delle biblioteche italiane. Infatti, come sappiamo, nacquero le Regioni a statuto ordinario cui fu affidato il potere di emanare norme legislative e funzioni di carattere amministrativo per tutte le biblioteche pubbliche non statali, ovvero le cosiddette biblioteche degli enti locali. In poche parole, da quel decennio fino a poco tempo fa alle Regioni ordinarie fu concessa la possibilità di gestire ed amministrare le biblioteche del proprio territorio.

A partire dall’inizio del nuovo millennio, con le modifiche al Titolo V della seconda parte della Costituzione, furono ripartire in tema bibliotecario le funzioni tra Stato (legislazione esclusiva) e Regioni (legislazione concorrente): rimanendo stretti al nostro argomento, al primo furono assegnate funzioni di tutela in materia di beni librari, mentre alle seconde funzioni di valorizzazione, promozione ed organizzazione delle attività di biblioteca.

Seguì l’emanazione nel 2004 del Codice dei beni culturali e del paesaggio,che ha cambiato le carte in tavola imponendo infatti alle Regioni compiti in materia di valorizzazione e, per i soli beni librari, compiti in materia di tutela; comprendiamo perciò il superamento della complessa spartizione, volute dalle modifiche del Titolo V, tra funzioni statali e funzioni delegate alle Regioni in campo bibliotecario. Sebbene il Codice abbia presentato e presenti tuttora alcune lacune nel campo bibliotecario, vogliamo però ricordare il positivo inserimento tra i beni culturali delle “raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale” fino a quel momento non considerate tali. Ci ripromettiamo che, in futuro, dedicheremo dello spazio al Codice e agli articoli che vedono interessati i beni librari, per comprendere ad esempio se esista la possibilità che un libro “vincolato” possa circolare nel nostro Paese e all’esterno, oppure cosa si preveda per il danneggiamento di un manoscritto o un dattiloscritto il trasporto in occasione di una mostra.

Chiudiamo questo nostro breve contributo con il 2015 quando, mutatis mutandis, il Ministro della Cultura Franceschini assegnò il compito di tutela bibliografica nuovamente allo Stato fondando le Soprintendenze archivistiche e bibliografiche nelle Regioni a statuto ordinario, mantenendo a quest’ultime le funzioni in materia di valorizzazione, promozione ed organizzazione delle attività librarie nelle biblioteche ad ente locale.

Bibliografia essenziale:

A. De Pasquale, Il ritorno allo Stato della tutela bibliografica, in «Aedon. Rivista di arti e diritto online», 1, (2017), disponibile al seguente link: http://www.aedon.mulino.it/archivio/2017/1/depasquale.htm

G. Montecchi, F. Venuda (a cura di), Manuale di biblioteconomia, Milano 2013.

G. Solimine, P. G. Weston (a cura di), Biblioteche e biblioteconomia. Principi e questioni, Roma 2014.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 28 marzo 2022

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Foto di copertina: Biblioteca Casanatense, interno (Lalupa, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons)

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About Giulia Abbatiello 31 Articles
Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.