Proseguiamo il nostro racconto cercando di restituire, contributo dopo contributo, la fotografia di un fenomeno dilagante, nella sua condizione di ieri, per giungere, da qui in avanti, alla sua connotazione di oggi. Nell’articolo precedente, incorniciato da una breve panoramica storico-contestuale dell’epoca (Evoluzioni del Falso: il Novecento parte prima), abbiamo tracciato le vicissitudini di due falsari (Alceo Dossena, e a seguire, Ermenegildo Pedrazzoni) attivi tra Parma e Roma nelle prime decadi del Novecento. Il XX secolo, come detto, è ricco e complesso e la rete fraudolenta si estese in molteplici direzioni. In concomitanza alla falsificazione scultorea di gusto rinascimentale, fiorì un’altra corrente di matrice dolosa, che affondò le proprie radici già dalla metà dell’Ottocento, dettata dalla dilagante richiesta del mercato di dipinti di scuola senese dei cosiddetti ‘primitivi’ italiani del XII-XV secolo (si rimanda a Giulia Abbatiello, Vero o Falso: questo è il dilemma. Storia ed esempi di falsi “Primitivi”). Capitale dell’arte prerinascimentale fu Siena, che divenne secoli più tardi, anche la base di una vera e propria scuola e officina falsaria, in cui abili artigiani e maestri dall’animo truffaldino, produssero ex novo tutto ciò che ormai era divenuto introvabile, ma assai appetibile, sul mercato.
Memorie di un falsario
Caposcuola indiscusso di questa officina falsaria fu Icilio Federico Joni (1866-1946) che nel 1932, con un vero e proprio coup de théâtre, pubblicò la biografia che fece tremare il mondo dell’arte, Le memorie di un pittore di quadri antichi. Joni non mostrò certo pentimento, tutt’altro, nel prologo del suo memoriale affermò di avere come unico merito quello di essere sincero. Leggendo tra le righe appare chiaro che il reo confesso, ormai entrato nell’autunno della sua vita, avesse voluto esplicitare pubblicamente il suo disappunto: il diario intreccia le vicende di una vita piena ed avvincente, alternata da serate con amici e i bagordi notturni; la passione per la musica; l’amore per la ginnastica (Joni è stato un eccezionale atleta e amava praticare diversi sport, quali il sollevamento pesi, il pallone, il pattinaggio); le relazioni sentimentali; gli scontri con esperti e collezionisti; le trattative economiche; le commissioni; i processi; gli arresti dei suoi contemporanei; sino allo svelamento delle tecniche adoperate in cui l’esercizio mimetico ha raggiunto le più alte forme di virtuosismo. Nel tessere le sue peripezie non perdonò la supremazia assolutistica dell’opinione degli esperti, specie di quelli americani ed anglosassoni (di cui modifica, omette o anagramma i nomi più celebri), i cui pareri in più occasioni si rivelarono fallibili, non solo davanti al falso ritenuto autentico, ma anche davanti all’autentico ritenuto falso. Il falsario asserì imperante:
«(…) Io ammetto che possa essere perdonato colui che cade in errore nel giudicare favorevolmente un quadro non antico, quando è ben riuscito; ma quando questo è un’opera d’arte veramente autentica, allora l’errore non è ammesso, e trovo imperdonabili coloro che ci vedono un falso. Qui non vi è dubbio: o è malafede o insipienza [1]».
E spesso fu proprio malafede in entrambi i casi, poiché anche coloro che intuirono il perpetuare dell’inganno non si sottrassero al gioco dello scambio. Nel narrare le proprie vicissitudini, Joni – forse inconsapevolmente – restituisce un quadro del mercato artistico dell’epoca utile a circoscrivere meglio l’intero contesto di quelle prime decadi novecentesche. Le compravendite erano frequenti e molteplici erano gli affari combinati “a cambio di oggetti”, per esempio orologi d’oro, spille da cravatta anch’esse d’oro o altre opere d’arte. I concetti di lecito e illecito, per questi falsari, viaggiavano su binari paralleli: la commissione di un restauro di un’opera originale antica poteva affiancarsi alla richiesta di ritratti su fondi oro di un qualche maestro ‘primitivo’. Lo stesso Joni, proprio per la sua impareggiabile conoscenza, ebbe il duplice ruolo di falsario ed esperto d’arte, chiamato in più occasioni a verificare l’autenticità di opere antiche o a stimarne il valore pecuniario. Il falsario senese mise in evidenza, inoltre, le modalità con cui venivano gestite le trattative, spesso attraverso un sistema di commissioni piramidali fatte da mercanti e antiquari, o conoscenti intermediari, che nel giro di pochi passaggi riuscivano a decuplicare i prezzi iniziali. Prassi talvolta poco trasparenti, desunte da un resoconto temporale di oltre 90 anni fa, ma che nel mercato privato e sommerso, sono frequenti ancora oggi. Lo Joni raccontò che i suoi ritratti del Quattrocento andavano a ruba, ma che il fatto di trovarli in tanta abbondanza, ad un tratto, iniziò a generare sospetti, rendendone più difficile la vendita. Riportiamo un episodio significativo desunto dalle sue vicissitudini: un giorno un signore di origini straniere si presentò nel suo studio con fare assai adirato e, mostrando la replica di una legatura della Biccherna (la serie di tavolette in legno impiegate dal Duecento per la rilegatura dei libri di registri contabili semestrali del Comune di Siena), chiese se fosse opera sua; il falsario annuì. L’incauto compratore a quel punto inveì contro lo Joni, polemizzando sul fatto che gli italiani si prendessero gioco degli stranieri; cosicché il contraffattore chiese quanto avesse pagato l’opera; quattrocento lire, rispose il signore. Lo Joni allora replicò mettendo a tacere in un attimo la questione:
«Ah, sì? Dunque, Lei pretende che noi italiani siamo tanto imbecilli da vendere una cosa tanto rara ed autentica per quattrocento lire?».
Se convertissimo quelle lire, in euro, tale contestazione potrebbe essere tuttora valida: il prezzo particolarmente vantaggioso, laddove invece le stime di mercato e il valore intrinseco di un bene siano ben superiori, è sempre un campanello d’allarme, una cosiddetta Red Flag della compravendita di beni artistici cui prestare grande attenzione. Lo stesso Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale propone un decalogo precauzionale in materia di acquisti di opere d’arte e inserisce al punto 7 la voce “Diffidate dell’affare!” [2].
Pittore di quadri antichi ? Non antichi, falsi !
Joni circoscrive il modus operandi della scuola falsaria senese attraverso precise annotazioni tecniche sulle modalità mistificatrici, che nel tempo si inglobano in un contesto fraudolento ben più ampio da cui hanno attinto seguaci e suoi successori. Tra le attività di bottega, oltre quella maggiormente richiesta di ritratti a fondi oro, vi era l’esecuzione di dorature (a mordente oppure ad oro brunito); venivano realizzati cassoni in noce intagliati con decorazioni a figure; si incrementò la richiesta di letti in ferro con dei corpi piani alle spalliere, decorati all’uso di ebano e di avorio in cui venivano eseguiti dei disegni che imitavano il carattere dell’intarsio con un chiaro-scuro a finto graffito. Le imitazioni di maggior pregio furono le legature o copertine di libri, come le legature della Biccherna, fatte con una tavoletta con delle decorazioni e una composizione dipinta al centro. Queste ultime richiedevano diverso tempo di realizzazione e un grande sforzo in termini di abilità e perizia tecnica, ma consentivano ingenti guadagni. Per meglio comprendere l’abilità esecutiva esercitata nell’elaborazione di questi manufatti, e poter osservare quanto le analogie con i modelli da imitare fossero evidenti, proponiamo a titolo esemplificativo un confronto di tre tavolette di cui una falsa, un’imitazione e un’autentica (Fig. 1).

La prima tavoletta è notoriamente attribuita a Icilio Federico Joni, passata da Sotheby’s nel 2017 (link), si riferisce ad un modello compositivo e iconografico in uso nella seconda metà del Quattrocento; gli altri due esemplari provengono dall’ Archivio di Stato di Siena. Di queste, una tavoletta di imitazione (facente parte di un gruppo di cinque) di un falsario rimasto ignoto (AS Siena, n. 107). La tavola è costituita da un’asse nella quale è stata inserita una stazione lignea della Via Crucis mediante intarsio, dopo di che il supporto è stato stuccato e preparato per ricevere la pittura. Nella parte superiore è stata apposta un’iscrizione che riprende il modello duecentesco; tuttavia, presenta grossolani errori di scrittura che denotano la contraffazione [3]. Tale imitazione è perfettamente coerente con l’originale di Biccherna “Stemmi dei Quattro Provveditori” (Biccherna, AS Siena n. 3) di Dietisalvi di Speme (1250?-1291), che come suggerisce lo stesso titolo, proviene da un registro dei provveditori del 1267 [4]. La documentata conoscenza dei registri è anche l’elemento di inganno adoperato dall’imitatore: gli stemmi raffigurati sono realmente appartenuti a prestigiose famiglie dell’epoca e l’inscrizione cita dei nomi di ufficiali in carica nel 1261 [5].
La bottega di falsari senesi aveva un metodo ben consolidato anche per patinare cornici e tabernacoli. La patina, che si adoperava per invecchiare l’oro, era composta di fuliggine ben macinata, curcuma (la spezia asiatica è un potente colorante naturale), giallo cromo chiarissimo, e un po’ di gesso oro, il tutto temperato con della gomma arabica (una resina essudata da alcune specie di alberi di Acacia adoperata, da tempo immemore, come legante). Un altro espediente nell’antichizzazione della doratura si otteneva lasciando i mozziconi di sigaro toscano in ammollo nell’acqua per diversi giorni. Per inglobare questa patina, si dava una mano di vernice a spirito, che si velava con un po’ di curcuma, acido pirico e del Blu di Prussia. La presenza di questo pigmento è il primo segnale anacronistico e inconfutabile di contraffazione, oggi facilmente rilevabile mediante i moderni dispositivi di analisi, essendo che il Blu di Prussia è stato scoperto solo nel Settecento, è evidente che non potrebbe mai essere presente nella mestica o nella patina di un’opera dei secoli precedenti. Dopo di che veniva utilizzata della cenere, intonata con della terra d’ombra naturale e temperata leggermente con colla per doratura; si passava sopra con un pennello, successivamente la superficie veniva ripulita con una spugna morbida, affinché i residui penetrassero in profondità. Infine, si lucidava con un panno della cera vergine, l’effetto ottenuto, per quei tempi, era quasi perfetto. Per i dipinti a tempera Joni si serviva molto dei colori a guazzo della casa francese Lefranc (attiva dal 1720), che sono finissimi, ma quando venivano miscelati all’uovo, risentivano parecchio dell’umidità limitando la possibilità di stendere il colore per velature. A quel punto decise di passare all’utilizzo dei pigmenti in polvere, messi in commercio dalla Winsor & Newton (fondata nel 1832), macinando personalmente i colori. Per antichizzare la tavola e creare il buco lasciato dai tarli, utilizzava dei ferri da calze (quelli comunemente adoperati dalle nostre mamme e nonne per tessere a maglia) di diverse grossezze, inserendoli e ritraendoli con delle pinze perché il buco rimanesse intatto. Successivamente, affinò la tecnica utilizzando un piccolo trapano. Le borchie di bronzo delle legature dei libri, venivano invecchiate con un bagno nell’ammoniaca, mentre per le piccole piastre di ferro che facevano da fermatura del centro, adoperava la tintura di iodio (l’agente di sterilizzazione che ancora oggi viene adoperato per disinfettare prima di un intervento chirurgico), che le arrugginiva in modo perfetto. Si tratta, quindi, di espedienti precisissimi che furono perfezionati con il tempo attraverso lo studio degli opuscoli descrittivi delle opere da imitare e l’osservazione diretta degli originali presso archivi e collezioni. La conoscenza di questi ricettari della contraffazione oggi diventa uno strumento utile nell’individuazione di opere di presunta manifattura fraudolenta ancora disperse nel mercato.

Fucina di falsari
Attorno a questo indiscusso caposcuola si formarono assistenti collaboratori, imitatori e apprendisti, ognuno dei quali ebbe una propria specializzazione e raggiunse un grado diverso di notorietà e celebrità. Gli artisti capaci di ingannare critici e collezionisti d’epoca furono dunque molteplici, ne citiamo alcuni: Umberto Giunti (1886-1970), certamente il più abile degli allievi di Joni; Bruno Marzi (1908-1981) prolifero realizzatore di tavole di Ambrogio Lorenzetti (1290-1348); Duccio di Buoninsegna (1255-1319); Lippo Memmi (1291-1356); Sano di Pietro (1405-1481) e molti altri contemporanei d’epoca; Igino Gottardi (1879-1975), fedele collaboratore di Joni; Giuseppe Catani (1866-1945) pittore e scultore di eccezionale maestria che si formò all’Accademia Senese di Belle Arti, specializzandosi in produzioni “in stile” talvolta acquistate come originali; Ferruccio Vannoni (1881-1965) esperto restauratore oltre che falsario; Mario Gensini (1908-1973), allievo del Vannoni, pittore e abile doratore; e poi ancora altri nomi dei quali abbiamo pochissime informazioni biografiche come, Igino Nelli; Ettore Cortigiani; Fulvio Corsini; Luigi Ciocchetti; Riccardo De Ricco; Claudio Rinaldi detto ‘Pinturicchio’, noto anche per la sua attività di rivendita di opere contraffatte. Tutti questi nomi ci consentono di comprendere la portata di una prolifera produzione che ha varcato i confini italiani con acquisizioni oltre oceano. Come avvenne per Alceo Dossena (si veda il contributo precedente Evoluzioni del Falso: il Novecento parte prima), anche per Joni ci furono erronee attribuzioni alla sua mano: non tutto ciò che era falso era stato realizzato da Icilio Federico Joni e non tutto ciò che era in commercio era falso. La pubblicazione del suo memoriale generò una vera e propria psicosi collettiva nel mondo dell’arte, causando ulteriore confusione nel discernimento tra originale e contraffazione. Ancora oggi in commercio in aste internazionali si vedono opere di grossolana manifattura assegnate a Joni, poiché seppur di falso si tratta, una contraffazione a suo nome ha una stima ben più alta di un suo seguace meno noto, e forse di questo, in linea con il suo stile dissacrante che difese a spada tratta il proprio operato, se ne compiacerebbe:
«(…) e del resto che male c’è, se grazie ai falsari, una quantità di brave persone che non potrebbero concedersi la soddisfazione di possedere una galleria di tele d’autore, per la semplice ragione che quelle esistenti non sono in vendita, riescono a procurarsi l’illusione di vivere in mezzo ai capolavori? (…) Ben vengano dunque le contraffazioni, e ben vengano i processi relativi. Sono tutti processi allegri, degni degli avvocati che li difendono e del pubblico che li segue…! [6]»
Ben vengano invece, secondo noi del blog LaTPC, coloro che difendono l’autenticità e i processi relativi, non perché siano allegri, ma perché siano risolutivi!
Bibliografia essenziale
- F. Arnau, Arte della falsificazione, falsificazione dell’arte, Milano, 1960.
- L. Borgia, E. Carli, M. A. Ceppari, U. Morandi, P. Sinibaldi, C. Zarrilli (a cura di),
Le Biccherne. Tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici. Roma, 1984 (ed. fuori commercio).
- M. Cerbella, I falsi come riconoscerli nell’arte e nell’antiquariato, Stia, 2008, pp. 52-53.
- N. Charney, L’arte del falso, Londra, 2015, pp. 44-50.
- I. F. Joni, Le memorie di un pittore di quadri antichi, Sancasciano Val di Pesa (Firenze), 1932.
- O. Kurz, Falsi e Falsari, Venezia, 1960.
- P. Preto, Il Novecento in Falsi e falsari nella storia dal mondo antico a oggi, di W. Panciera, A. Savio (a cura di), Roma 2020, pp. 998-1007 (versione E-book).
Risorse online:
- Falsi d’Autore in Archivio di Stato di Siena, del 20 marzo 2024: <https://archiviodistatosiena.cultura.gov.it/home/approfondimenti-e-curiosita/le-fonti-musicale-diellarchivio-di-stato-di-siena-1-1-2> (ultimo accesso 23 ottobre 2024).
- Sistema Archivistico Nazionale (SAN), Tavole di Biccherna. Archivio di Stato di Siena (1258-1713): <https://san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-complesso-documentario?codiSanCompl=san.cat.complArch.50017&id=50017&step=dettaglio> (ultimo accesso 23 ottobre 2024).
- Sistema Archivistico Nazionale (SAN), Tavole di Biccherna. Archivio di Stato di Siena (1258-1713): <https://san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-complesso-documentario?codiSanCompl=san.cat.complArch.34812&id=34812&step=dettaglio> (ultimo accesso 23 ottobre 2024).
Si ringrazia l’Archivio di Stato di Siena per la concessione a pubblicare e per il supporto bibliografico.
L’autorizzazione è stata concessa in data 23 ottobre 2024 alla Dott.ssa Tamara Follesa per uso esclusivo di divulgazione per il blog LaTPC.
Divieto di ulteriore riproduzione n. protocollo 2558.
Abstract:
During the 20th century, at the same time of the sculptural forgeries of Renaissance taste, it developed another movement of wilful misconduct, dictated by the rampant market demand for paintings of the Sienese school of the so-called Italian ‘primitives’ of the 12th-15th centuries. One of the founders of this school of forgers was Icilio Federico Joni, who wrote his memoirs in 1932, in which he revealed techniques of his forgeries. He defined the movements that took place between forgers, experts and collectors during the negotiations for the worksale, revealing a rich and complex market.
Keywords: forgery, forger, fraudulent, 20th century, Icilio Federico Joni
Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Tamara Follesa
Scritto in data: 27 ottobre 2024
Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.
Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.
Immagini
Copertina <https://www.metmuseum.org/art/collection/search/458997>
Fig. 1
- <https://www.sothebys.com/en/auctions/ecatalogue/2017/medieval-manuscripts-continental-books-l17407/lot.25.html>
- ASSi, Tavoletta di Biccherna n. 3 “Stemmi dei Quattro Provveditori”, <http://san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-oggetto-digitale?pid=san.dl.SAN:IMG-00438239>
- ASSi, Tavoletta di Biccherna n. 107 “Stemmi dei Quattro Provveditori”, <http://san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-oggetto-digitale?pid=san.dl.SAN:IMG-00438139>
Fig. 2
<https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/legalcode.it>
[1] I. F. Joni, Le memorie di un pittore di quadri antichi, società editrice toscana, San Casciano Val di Pesa (Firenze) 1932, p. 277.
[2] Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Consigli. Decalogo per l’acquisto di opere di arte contemporanea in https://tpcweb.carabinieri.it/SitoPubblico/home/informazioni/consigli (ultima consultazione ottobre 2024).
[3] L. Borgia, E. Carli, M. A. Ceppari, U. Morandi, P. Sinibaldi, C. Zarrilli (a cura di), Le Biccherne. Tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici. Roma, 1984, p. 316 (ed. fuori commercio).
[4] Ivi, p. 50.
[5] Ivi, p. 316.
[6] Joni, 1932, p. 283.

La nostra attività sul blog e sui social viene effettuata volontariamente e gratuitamente. Se vuoi sostenerci, puoi fare una donazione. Anche un piccolo gesto per noi è importante.
Ti ringraziamo in anticipo!
Admin. Cristina Cumbo e #LaTPC team

Puoi inquadrare il QR-code tramite l’app di PayPal, oppure cliccare su: