Fabio Maniscalco e la nascita della “Salvaguardia”

L’archeologo Fabio Maniscalco può essere ritenuto oggi uno dei fondatori del concetto di “salvaguardia” nel campo dei Beni Culturali: è stato, infatti, tra i primi a definire la necessità di prevenire il rischio per proteggere il patrimonio culturale dalle distruzioni della guerra e addirittura a definire una metodologia innovativa e originale.

Specializzato in archeologia subacquea, nel 1993 Fabio Maniscalco diventa Ispettore Onorario per l’Archeologia Subacquea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Inizia a collaborare con il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, occupandosi del traffico illecito dei beni archeologici.

Il suo interesse verso la tutela del patrimonio culturale in pericolo raggiunge il picco quando, nel 1995, chiede di partecipare, in qualità di ufficiale dell’Esercito Italiano, alle missioni di pace IFOR[1] e SFOR[2] in Bosnia-Erzegovina, che avevano lo scopo di mantenere e stabilizzare lo stato di pace faticosamente raggiunto, prevenire l’insorgere di nuove tensioni e favorire la ricostituzione delle Istituzioni nei Paesi coinvolti. Nel teatro dei Balcani sconvolti da una guerra tragica e logorante, Fabio Maniscalco si occupa del monitoraggio dello stato dei beni culturali, e la situazione che si trova davanti è terribile; si rende presto conto che la distruzione attuata nei confronti del patrimonio culturale non era stata accidentale, che non si trattava di un “effetto collaterale” della guerra, ma anzi era stata intenzionale, premeditata e accuratamente pianificata. È quindi uno dei primi a denunciare, in diversi articoli e poi in un libro, Sarajevo: itinerari artistici perduti (1997), la logica che sottintende alla deliberata distruzione del patrimonio culturale: cancellando la memoria di un popolo, si cancella l’identità e la dignità del popolo stesso, si disgrega la sua unità e si gettano i presupposti per la pulizia etnica.

Fabio Maniscalco a Sarajevo (fonte: www.fabiomaniscalco.it)

È proprio Sarajevo che colpisce il cuore di Fabio Maniscalco, la città un tempo capitale della multiculturalità, si è trasformata nel simbolo dell’orrore della guerra dopo un assedio durato dal 5 aprile del 1992 al 29 febbraio del 1996. Alla fine di questo lungo periodo, assieme al compianto dei morti e alla cura dei feriti, Maniscalco raccoglie informazioni sul patrimonio culturale, irrimediabilmente danneggiato e in gran parte perduto; in particolare, studia a lungo l’incendio alla Biblioteca Nazionale, andata completamente distrutta nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992 dopo essere stata colpita dalle bombe incendiarie dell’esercito della Repubblica Serba. L’attacco all’edificio della Vijecnica, che ospitava la biblioteca dal 1949, era durato tre interi giorni, mentre studenti, vigili del fuoco, bibliotecari e volontari cercavano di mettere in salvo i libri nonostante cecchini e antiaeree continuassero a colpire l’edificio. Alla fine di un lungo processo di raccolta dei pochi dati disponibili e di monitoraggio di quanto era rimasto, Maniscalco stima che circa il 90% del patrimonio della biblioteca, composto in parte da migliaia di libri antichi e manoscritti, era andato distrutto, e lo stesso era successo al prezioso Giardino Botanico attraverso cui si accedeva alla biblioteca.

A Sarajevo, Maniscalco si rende conto che qualcosa è andato storto, qualcosa manca nei grandi progetti di tutela e conservazione del patrimonio culturale che dopo la Seconda Guerra Mondiale sono stati proposti: a mancare è l’idea di salvaguardia, l’idea che eventi catastrofici come quelli di Sarajevo debbano essere previsti ed evitati, perchè accorrere dopo il disastro non è sufficiente. È necessario agire prima, prima ancora del conflitto, mappando i beni culturali nelle zone instabili e a rischio bellico e mettendoli in sicurezza.

Fabio Maniscalco conosce bene lo strumento legislativo che dovrebbe essere applicato in questi casi: si tratta dell’articolo 7 della Convenzione dell’Aja del 1954, ormai datata ma mai davvero applicata. A Sarajevo la mancata osservanza della Convenzione è addirittura sfociata nella derisione dello stesso emblema distintivo, esposto prima della guerra, all’esterno del Museo Nazionale e del Museo Ebraico e durante il conflitto crivellato dai colpi dei cecchini.

Fabio Maniscalco trova quindi un nuovo scopo: far funzionare la Convenzione, per davvero, sul campo, per la prima volta nella storia, sfruttando le sue conoscenze, la sua vivacità intellettuale e i suoi numerosi contatti all’interno delle Forze Armate internazionali.

Per portare avanti il suo proposito, nel 1997 crea un team specialistico sperimentale, votato alla tutela del patrimonio culturale, all’interno del contingente militare multinazionale in Albania che si occupava delle operazioni di stabilizzazione del territorio dopo un periodo di anarchia e disordini in seguito alla caduta del regime comunista. Il patrimonio culturale albanese versa in condizioni molto diverse rispetto a quello balcanico: non ha subito devastazioni e distruzioni, ma patisce anni di incuria e carenza di conservazione che hanno portato ad una grave mancanza di coscienza storica, che a sua volta ha provocato la spoliazione del patrimonio, eroso da decenni di furti, appropriazioni ed esportazioni illecite. In questo contesto, Fabio Maniscalco, in qualità di esperto convocato dal Ministero della Difesa, si infiltra nelle maglie del mercato nero, seguendo le tracce dei reperti scomparsi, fingendosi acquirente per poi denunciare i trafficanti e recuperare numerosi, importantissimi pezzi di storia.

Non è un caso che le sue esperienze sul campo siano parte dei programmi internazionali di peace-keeping: Maniscalco è infatti fortemente convinto che la pace si possa costruire attraverso la salvaguardia della cultura e delle identità culturali.

Il team di Maniscalco, quindi, mette a punto una metodologia assolutamente nuova per portare avanti un monitoraggio capillare del patrimonio, una documentazione che è il punto di partenza imprescindibile per poter applicare la Convenzione. L’esperienza sul campo lo porta ad un’analisi approfondita della legislazione internazionale in materia di Beni culturali, a partire proprio dalla Convenzione dell’Aja, e la sua critica lucida e ragionata ad un sistema troppo teorico e poco pratico diventa uno dei capisaldi per la realizzazione del Secondo Protocollo attuativo. In particolare, sostiene fortemente la necessità da parte di ogni Forza Armata nazionale di dotarsi di unità specializzate nella salvaguardia e protezione dei beni culturali che sia in grado di documentare, catalogare e valutare lo stato di conservazione del patrimonio.

Dal 1998 Maniscalco dirige l’Osservatorio per la Protezione dei Beni Culturali e Ambientali in Area di Crisi, nato con lo scopo di mettere a sistema le esperienze maturate in anni di ricerca e monitoraggio sul campo e di fornire alle autorità territoriali e alle Forze Armate gli strumenti per poter proteggere il patrimonio culturale con azioni prevalentemente preventive.

Intanto, le esperienze sul campo non si fermano: dopo l’Albania, Maniscalco pianifica e dirige progetti dediti alla salvaguardia in tutte le zone critiche del mondo, passando per il Kosovo sconvolto dalle tensioni religiose, all’Afghanistan, l’Iraq, la Nigeria, il Libano e approdando infine nell’area più complessa dell’era contemporanea, la Palestina.

Fabio Maniscalco insieme al prof. Osama Hamdan dell’Al-Quds University di Gerusalemme, mentre espone lo Scudo blu sulla facciata di un palazzo storico di Hebron, Cisgiordania (fonte: www.fabiomaniscalco.it)

Il suo atteggiamento concreto, propositivo e aperto nei confronti anche delle culture più lontane lo porta ad ottenere un successo dopo l’altro, in luoghi in cui nessuno ancora aveva osato provare a riappacificare i popoli attraverso la cultura.

Nel frattempo, Maniscalco porta avanti un’intensa attività di formazione, cui tiene particolarmente in quanto ritiene che la conoscenza sia l’arma più importante che l’umanità abbia a disposizione per proteggere quanto ha di più prezioso. Così, dirige e promuove corsi di formazione sulla salvaguardia e occupa la cattedra all’Università “L’Orientale” di Napoli proponendo una didattica che si potrebbe definire “operativa”, in quanto improntata a dare ai giovani una mentalità scientifica e pratica con cui approcciarsi ai beni da tutelare, che non vanno solo ammirati ma anche e soprattutto documentati, analizzati, indagati e conosciuti in tutte le loro sfaccettature. Collabora con Università e centri di formazione in Italia e in Medio Oriente, sfruttando la sua rete di conoscenze e le sue capacità comunicative per sensibilizzare costantemente non solo i suoi studenti, ma anche le autorità civili e militari sul grande e nuovo tema della salvaguardia. Per lo stesso scopo cura la collana monografica Mediterraneum. Tutela e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, e dirige la rivista scientifica Web Journal on Cultural Patrimony.

Le esperienze sul campo di Fabio Maniscalco confluiscono, negli anni, in numerose pubblicazioni, articoli e documentari, diretti e crudi come solo l’esperienza sul campo della guerra e della distruzione possono essere. Ma tra le sue parole traspare sempre la speranza di riuscire a cambiare qualcosa, l’obiettivo idealistico (ma portato avanti con molta concretezza) di poter cambiare il destino dei popoli attraverso la salvaguardia della cultura. Il suo impegno nella ricerca e nella divulgazione gli porta numerosi riconoscimenti, tra cui la candidatura, nel 2008, al Premio Nobel per la Pace.

Il 1° febbraio del 2008 Maniscalco si spegne, a causa di una rara forma di cancro dovuto all’esposizione ai metalli pesanti e all’uranio impoverito durante le sue esperienze nelle zone di guerra. Dopo la sua morte, gli viene intitolata un’aula dell’Università di Napoli “L’Orientale”; nello stesso anno il Centro di documentazione sulla Protezione dei Beni culturali, ospitato presso la Biblioteca Civica di Moncalvo, lo omaggia cambiando il suo nome e diventando Centro Alti Studi Fabio Maniscalco.

Targa di intitolazione del largo Fabio Maniscalco, Quartiere S. Carlo all’Arena, Napoli (fonte: www.fabiomaniscalco.it)

La coraggiosa voce di Fabio Maniscalco, a lungo incompresa e inascoltata, da qualche tempo è tornata a farsi sentire, grazie all’instancabile lavoro di divulgazione della moglie, Maria Rosaria Ruggiero, e di tutti i professionisti che lo hanno conosciuto (personalmente o meno) e ne hanno capito la profondità e la modernità.

Si ringrazia la dottoressa Maria Rosaria Ruggiero Maniscalco per i preziosi ricordi che ha accettato di condividere con me nel settembre 2020, e che mi hanno portato a maturare l’idea per questo articolo commemorativo.

Bibliografia essenziale

F. Maniscalco, Civilità in trincea. Omaggio a Fabio Maniscalco (postumo), Arbor Sapientiae, 2009

F. Maniscalco, Frammenti di storia venduta. I tesori di Albania, Massa Editore, 1998

F. Maniscalco, Sarajevo, Itinerari artistici perduti, Alfredo Guida Editore, 1997

L. Sudiro, G. Rispoli, Oro dentro. Un archeologo in trincea: Bosnia, Albania, Kosovo, Medio Oriente, Skira, 2015

Sito ufficiale che raccoglie le attività e la documentazione del lavoro di Fabio Maniscalco: http://www.fabiomaniscalco.it/

Si segnala soprattutto la pagina dedicata ai video e ai reportages: http://www.fabiomaniscalco.it/index.php/joomlaorg/video-reportages

Sito del Centro di Alti Studi Fabio Maniscalco: https://maniscalcocenter.wixsite.com/maniscalcocenter


[1] IFOR: “Implementation Force” per l’applicazione degli accordi di Dayton, a cui l’Italia si unisce il 15 dicembre 1995.

[2] SFOR: riconfigurazione della missione IFOR in “Stabilization Force”, con lo scopo di stabilizzare gli effetti del piano di pace.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Alessandra De Masi

Scritto in data: 14 maggio 2021

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About Alessandra De Masi 3 Articles
Storica dell’arte, PhD student in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Bologna – Campus di Ravenna