Furti e rocamboleschi recuperi dalle catacombe romane alla Galleria Borghese

Galleria Borghese (foto di Cristina Cumbo)

È il 1964, l’opinione pubblica si mostra preoccupata per i numerosi furti di opere d’arte che si susseguono, da ultimo quello avvenuto a Villa Albani a Roma dove i ladri si sono introdotti a piedi scalzi, aiutati dalla sola luce della candela, per trafugare alcune tele della collezione.

È così che Luigi Pallottino riporta un episodio, narrato da Enrico Rinaldi nelle “Memorie di polizia” in riferimento agli anni 1879-1882, periodo in cui non vi era un nucleo specializzato che si occupava dei furti delle opere d’arte, e sia i RR. Carabinieri che la R. Questura prendevano in carico denunce legate al patrimonio culturale.

Siamo, dunque, a Roma. È la notte tra il 10 e l’11 marzo del 1882 quando alcuni ladri entrano all’interno della villa “fuori Porta del Popolo” del Principe Marcantonio Borghese per trafugare una preziosa statuetta bronzea di un giovane, considerato l’imperatore romano Geta, ritratto con il globo in mano, acquistata dallo stesso oltre 90.000 lire e un’altra statuetta marmorea raffigurante Esculapio, pagata invece 20.000 lire.

Statuetta bronzea di Geta (da: L. Pallottino, Furto alla Galleria Borghese (da “Memorie di Polizia” di Enrico Rinaldi), in Palatino. Rivista romana di cultura, 7-8, 1964, pp. 169-172).

L’episodio si inserisce in un quadro composto di furti in successione mirati a colpire le catacombe cristiane di Roma. Durante una delle riunioni settimanali dell’Istituto Archeologico, avevo infatti preso la parola Giovanni Battista de Rossi, noto archeologo cristiano ed epigrafista, all’epoca a capo della Commissione di Archeologia Sacra, poi divenuta Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Ebbene, de Rossi narra del furto operato all’interno della basilica dei SS. Nereo ed Achilleo, nelle catacombe di Domitilla: la porta venne aperta, o meglio, rotta, e furono asportati «marmi scolpiti, fra’ quali una fronte di sarcofago con scene pastorali e due belle teste di statue». Venne sporta denuncia, ma dopo pochi giorni i ladri colpirono ancora: stavolta l’obiettivo fu il cimitero di Pretestato, sulla via Appia Pignatelli, alla Caffarella, da cui rubarono «colonne di porfido – le sole che siano state trovate nelle catacombe romane – un frammento di grande sarcofago, avanzi di transenne marmoree e varie altre sculture. Inoltre fracassarono rabbiosamente l’iscrizione posta da S. Damaso sul sepolcro di S. Gennaro il figlio primogenito di Santa Felicita, e ruppero vari altri monumenti sacri che non poterono trasportare».

La banda, non ancora soddisfatta, si diresse verso altri ipogei nelle vicinanze e monumenti della via Latina.

Ma tornando al Principe Borghese, egli si rivolse dunque in Questura, dove il Rinaldi prese in carico la denuncia, occupandosi del caso. Da dove cominciare? È a questo punto che occorre sottolineare un fatto: come la rete di contatti antiquari, di conoscenze e amicizie potesse in realtà rivelarsi molto più utile di qualsiasi altro indizio. Rinaldi si dirige da un suo amico antiquario, il quale chiede informazioni a un collega appena entrato nel negozio. Il dialogo cifrato che ne deriverà fa comprendere come la notizia del bronzo appena rubato fosse già circolata rapidamente nell’ambiente: il bronzo avrebbe dovuto essere esportato in Inghilterra, a Londra, non appena le acque si fossero calmate.

Rinaldi torna in Questura dove, insieme a un collega, parte alla volta degli “Angeli Custodi” che, nel gergo antiquario significava la villa del possidente e antiquario Enrico Balboni, collocata fuori Porta Salaria. I due si travestono, uno da frate francescano proveniente dalla Siria e uno da dotto interprete; nel mentre i colleghi avrebbero alloggiato in un’osteria nelle vicinanze della villa. Sembra quasi un romanzo poliziesco, ma invece è storia.

Rinaldi si era, intanto, procurato le fotografie delle opere rubate dalle catacombe che portò con sé. Giunti alla villa, il nostro investigatore già si accorge di qualcosa che non si trova al proprio posto: la fronte di un grande sarcofago è appoggiata al muro della casa del custode. La comparazione con gli scatti fotografici dimostrerà che si trattava proprio del reperto trafugato dalle catacombe di Domitilla. Con la scusa di acquistare opere d’arte che il finto frate avrebbe dovuto portare in Siria con sé, i due vengono fatti entrare dal custode. Tra i finti acquisti rientrava la fronte di sarcofago, ma i poliziotti non si fermano e accedono al pianterreno della villa, dove il salone si rivela in tutta la sua magnificenza… decorato di una miriade di reperti archeologici, tra cui le colonnine trafugate dalla basilica dei SS. Nereo ed Achilleo. Eppure mancavano all’appello le statuette di Esculapio e Geta. Rinaldi getta uno sguardo oltre e nota una stanzetta: le chiavi dovrebbe averle il padrone di casa, ma il custode si fa convincere e cede, aprendone la porta, dove in bella mostra vi è proprio Esculapio. Intanto rientra Balboni, negativamente sorpreso. Rinaldi lo accoglie, illustrandogli ogni reperto che era in suo possesso attraverso le fotografie. Il padrone di casa è sotto shock: la Polizia lo ha scoperto, colpa del custode e delle voci sul mercato antiquario. Crolla su una sedia, la fronte imperlata di sudore. Dopo essersi ripreso, afferra il mazzo di chiavi e, su richiesta del Rinaldi, conduce i poliziotti nella cantina, ricavata all’interno della galleria di una catacomba. Li circonda la pozzolana e il buio rischiarato unicamente dalle torce, finché la luce illumina colonne (tra cui le due di porfido) nascoste sotto il carbone e una cassa colma di frammenti di bronzo: è la statuetta di Geta, totalmente a pezzi. Rinaldi li afferra e prova a ricomporla nella sua interezza: non manca nulla, ma la scultura è danneggiata. Balboni non volle rivelare come fosse accaduto.

Rinaldi si accorda quindi con il custode per tendere una trappola ai ladri/tombaroli: nelle ore successive, infatti, essi si presentarono scaricando frammenti di marmi antichi, un’iscrizione, una corona in bronzo e un busto di Torquato Tasso. Identificati dal Balboni, finiscono tutti in manette insieme a lui stesso, che morì in carcere pochi mesi dopo, prima dell’inizio del processo. Il poliziotto, quindi, restituì i frammenti del Geta – danneggiatosi, si scoprì, durante il furto in villa per via della corda che si era spezzata – e la statua di Esculapio al Principe Borghese.

Termina così la vicenda, con un encomio e una promozione per il Rinaldi, e il dono di 5 remontoir d’oro a lui e ai colleghi da parte del Borghese.

Il Geta è ora ricomposto e conservato presso la Galleria Borghese, tornato in modo rocambolesco a far parte della nota collezione. Come abbiamo visto, ora come allora, i furti erano effettuati su commissione: i fenomeni criminosi crescono esponenzialmente in rapporto alla richiesta.

I ladri, che erano anche tombaroli, si trovano in fondo alla catena legata al commercio delle opere d’arte, costituendo di fatto anche il primo anello. I reperti sarebbero poi passati al ricco collezionista e mercante d’arte (il Balboni) che, attraverso i suoi contatti internazionali, avrebbe fatto “volare” i manufatti fuori dai confini. Furti, scavi clandestini, possesso illecito, esportazione illecita: ecco che si ricostruiscono le dinamiche, finché la tenacia di un investigatore spezza il cerchio all’origine. Quanti reperti provenienti dal suolo italiano siamo ancora costretti ad osservare esposti nelle scintillanti vetrine di musei esteri, privati brutalmente del contesto di provenienza, ridotti a meri soprammobili senza storia, le cui relazioni identitarie sono state troncate in circostanze oscure? Sono tanti, troppi, eppure non sempre si riesce a rimpatriarli. Ci torna forse alla mente il caso esemplare dell’Atleta di Lisippo di Fano, mentre il celebre cratere di Eufronio è finalmente custodito a Cerveteri, divenuto uno dei simboli del contrasto al traffico illecito di antichità. Ma nessuno deve e può arrendersi: perseverare nelle battaglie appare sempre produttivo, anche se per raggiungere i risultati occorrono, a volte, giorni, mesi, anni e soprattutto collaborazione. Quest’ultima si configura come il tassello fondamentale, perché la tutela del patrimonio culturale parte da ognuno di noi, dal singolo cittadino che denuncia, allo studioso più o meno affermato che effettua ricerche; dalle forze di polizia – per l’Italia, il Comando Carabinieri TPC – che svolgono indagini, fino ai giudici, ai musei e ai ministeri. Ognuno riveste il proprio ruolo, ognuno è parte integrante, se solo c’è la volontà, di un meccanismo di contrasto ad ogni tipologia di crimine, inclusi quelli perpetrati contro il nostro patrimonio culturale e, quindi, contro la nostra identità.

Intendo qui ringraziare l’amico Fabrizio Rossi, Luogotenente in congedo in servizio al Comando Carabinieri TPC, per avermi reso noto l’articolo di Luigi Pallottino su cui ho potuto riflettere, apprendendo ancora con curiosità e interesse qualcosa di nuovo.

Bibliografia:

L. Pallottino, Furto alla Galleria Borghese (da “Memorie di Polizia” di Enrico Rinaldi), in Palatino. Rivista romana di cultura, 7-8 (1964), pp. 169-172.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Cristina Cumbo

Scritto in data: 5 aprile 2021

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About Cristina Cumbo 115 Articles
Archeologa e ricercatrice; Dottore di ricerca in Archeologia Cristiana; amministratrice, fondatrice e responsabile del blog #LaTPC, nonché della pagina Facebook "La Tutela del Patrimonio Culturale". Ha frequentato il primo corso di perfezionamento in tutela del patrimonio culturale in collaborazione con il Comando Carabinieri TPC presso l'Università di Roma Tre (2013) e il Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” attivo presso il medesimo ateneo (2019). Dal mese di gennaio 2022 al marzo 2024 ha collaborato con l'Institutum Carmelitanum di Roma conducendo ricerche su alcune chiese Carmelitane demolite e ricostruendone la storia. Attualmente è assegnista di ricerca presso l'ISPC - CNR, dove si occupa di analizzare storicamente il fenomeno del vandalismo sul patrimonio naturale e culturale in Italia per la redazione di linee guida funzionali alla mitigazione del rischio.