Il carretto siciliano

Carretto siciliano (Filippo Piazza, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons)

Tra i tanti oggetti, e prodotti, tipici della Sicilia (i pupi, le teste di moro – dei quali si è parlato in alcuni articoli precedenti –, le arancine – o arancini –, le cassate e altro ancora), anche il carretto siciliano è uno degli elementi simbolo dell’isola. Proviamo a guardarlo più da vicino al fine di coglierne tutte le peculiarità e conoscerlo meglio.

Il carretto siciliano viene definito dalla Guida rossa del Touring Club Italiano come una versione di rappresentanza rispetto al carretto da lavoro, derivata dalla moda settecentesca di decorare le carrozze nobiliari. Ciò, nella visione comune, poteva servire per far sentire la gente meno abbiente equiparata ai nobili borghesi. Il suo carattere popolare deriva dal legame che, da sempre, esso ha stretto con l’attività contadina. Veniva infatti utilizzato come mezzo di trasporto dei prodotti agricoli (vino, grano, ecc.) in una Sicilia interna nella quale, fino alla fine del Settecento, le vie di comunicazione, le cosiddette trazzere, non erano per nulla agevoli da percorrere, essendo costituite da selciato naturale che si adattava al terreno e spesso era anche soggetto a frane, smottamenti e allagamenti.

La prima testimonianza, ad oggi conosciuta, di un carretto è datata al 1833-34, epoca in cui il francese Jean Baptiste Gonzalve de Nervo ne descrisse uno nella sua relazione di viaggio in Sicilia:

«Specie di piccoli carri, montati su un asse di legno molto alto; sono quasi tutti dipinti di blu, con l’immagine della Vergine o di qualche santo sui pannelli delle fiancate e il loro cavallo coperto da una bardatura, ornata di placche di cuoio e di chiodi dorati, porta sulla testa un pennacchio di colore giallo e rosso»[1].

Altre testimonianze sono offerte da Eliseo Reclus nel 1865:

«A Catania, i carretti e le carrettelle non sono come in Francia, semplici tavole messe insieme, ma sono anche lavori d’arte. La cassa del veicolo posa sopra un’asse di ferro lavorato, che si curva e si ritorce in graziosi arabeschi. Ciascuna delle pareti esterne del carretto è divisa in due scompartimenti che formano due quadri. Per la maggior parte sono scene religiose, ora la storia di Gesù o quelle di sua madre, ora quelle dei Patroni più venerati in Sicilia, come San Giovanni Battista, Santa Rosalia, Sant’Agata […]»[2]

 E ancora da Guy de Maupassant nel 1885:

«Tali carretti, piccole scatole quadrate, appollaiate molto in alto su ruote gialle, sono decorati con pitture semplici e curiose, che rappresentano fatti storici, avventure d’ogni tipo, incontri di sovrani, ma prevalentemente le battaglie di Napoleone I e delle crociate; perfino i raggi delle ruote sono lavorati. Il cavallo che li trascina porta un pennacchio sulla testa e un altro a metà della schiena. […] Quei veicoli dipinti, buffi e diversi tra loro, percorrono le strade, attirano l’occhio e la mente come dei rebus che viene sempre la voglia di risolvere»[3].

Da queste si intuisce come anche il carretto siciliano, a modo suo, entrò nel contesto del famoso Grand Tour che artisti e letterati dell’Ottocento compivano in Italia. Altri autori che si sono interessati a questo mezzo di trasporto sono stati, negli anni, Giuseppe Pitré, Giuseppe Cocchiara, Enzo Maganuco, Antonino Buttitta.

Ma torniamo alla funzione del carretto. Poiché serviva al trasporto dei prodotti agricoli, ne venivano costruiti di diverse tipologie per meglio rispondere alle varie esigenze; ecco dunque:

  • il Tiralloru, per il trasporto della terra, aveva sponde basse e rettangolari;
  • il Furmintaru, per il frumento, dalle le sponde rettangolari e più alte;
  • il Vinnatoru, per il vino, con sponde trapezoidali e tavole inclinate.
Carretto siciliano con cavallo. Si noti la ricchezza della bardatura del cavallo (foto di Lorenzo Castronovo, da: https://www.pexels.com/)

Oltre queste peculiarità, la sua struttura era molto semplice in quanto realizzato completamente in legno, con alcune parti metalliche, due ruote molto alte e l’asse centrale.

Ciò ci porta a prendere in considerazione le varie maestranze che si occupavano della sua costruzione, un sapere tramandato, ieri come oggi, di padre in figlio. Si trattava di falegnami e intagliatori in particolare per le sponde e le ruote, di fabbri, c’era poi il carradore che assemblava tutte le parti e, infine, i pittori che ne decoravano tutta la superficie con diverse scene e con colori molto vivaci.

Proprio le decorazioni caratterizzano il carretto siciliano. Inizialmente, come anche testimoniato dal de Niervo, i soggetti rappresentati erano costituiti da immagini sacre (Madonne e santi, con funzione protettiva e apotropaica tanto del legno del carretto – per farlo durare più a lungo possibile – quanto, per transitività, della stessa attività lavorativa connessa all’utilizzo del carretto); in un secondo tempo, i soggetti rappresentati furono i paladini protagonisti del teatro dell’opera dei pupi, per influenza dei cantastorie che si spostavano da un centro all’altro dell’isola, ma anche alcune scene della Cavalleria rusticana, una novella del Verga, facente parte del ciclo Vita dei campi, nella quale l’antagonista è proprio un carrettiere.

Parte di bardatura per cavallo. Marianopoli (CL), Museo della Civiltà Contadina. Foto di Emanuele Riccobene.

Ultima cosa che occorre evidenziare, relativamente alla manifattura artigianale del carretto siciliano, è l’esistenza di diversi stili, così come per i pupi:

  • stile palermitano: sponde trapezoidali, uso del giallo come colore di sfondo, decorazioni geometriche; tra i temi rappresentati scene cavalleresche o religiose. È, inoltre, presente la cassa di fuso (asse del carretto) piena di arabeschi;
  • stile catanese: sponde rettangolari, il colore rosso per lo sfondo, intagli e decorazioni più ricercati e rifiniti;
  • stile “Vittoria”: molto simile a quello catanese ma con gradazione scura delle tonalità dei colori e tratti meno sfumati rispetto alla scuola catanese;
  • stile trapanese: meno diffuso rispetto a quelli palermitano e catanese.

Oggi il carretto siciliano è caduto in disuso, messo da parte dall’utilizzo dei veicoli a motore. Lo si può però ammirare in occasione di alcuni raduni e sfilate, come la cosiddetta “Rietina” di Campobello di Licata, oppure all’interno di diversi musei siciliani, tra i quali ricordiamo il Museo del Carretto Siciliano “Gulletti” di Bronte (CT), il Museo “Renato Guttuso” di Villa Cattolica a Bagheria (PA), il Museo “Giuseppe Pitré” a Palermo o il Museo regionale di Palazzo d’Aumale di Terrasini (PA). Proprio da quest’ultimo museo, nell’autunno 2021, è partita la richiesta di iscrizione del carretto siciliano nella lista dei beni UNESCO, appoggiata dalla Regione Siciliana per tramite dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Questo procedimento fa seguito all’iscrizione dello stesso bene nel REIS (il Registro dei beni culturali di interesse regionale) avvenuta il 18 maggio 2021.

Bibliografia e sitografia:


[1] J.B. Gonzalve de Niervo, Un tour en Sicile, Parigi, Les Merchandes De Nouveautes 1834. Cfr. anche il seguente sito: <https://www.museosicilianodelviaggio.it/index.php/it/il-carretto-siciliano>. URL consultato in data 31/12/2021.

[2] Cfr.: <https://www.museosicilianodelviaggio.it/index.php/it/il-carretto-siciliano>. URL consultato in data 31/12/2021.

[3] Cfr.: Ibidem.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Emanuele Riccobene

Scritto in data: 14 gennaio 2022

Foto di copertina:

Il carretto siciliano: foto di Filippo Piazza, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons

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About Emanuele Riccobene 21 Articles
Storico. Ha conseguito il master I° livello in "Esperti nella tutela del patrimonio culturale" presso l'Università "Roma Tre". Ha all'attivo pubblicazioni sulla storia politica, militare, economica e sociale della Sicilia. Sta inventariando il patrimonio culturale immateriale del Comune di Delia (CL).