Il caso del Sacramentario di Frontale: commento alla sentenza della Corte di Cassazione

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A proposito di beni culturali illecitamente esportati dal territorio italiano, è interessante quanto statuito dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza in merito alla confisca di un prezioso sacramentario esposto nella Biblioteca di New York, risultato rubato da una parrocchia di un Comune della provincia di Macerata. La vicenda è la seguente.

Nel 1925, dalla parrocchia di Sant’Anna di Frontale, piccola frazione del Comune di Apiro nel maceratese, viene trafugato un pregiato sacramentario contenente un codice medievale risalente all’XI secolo. Si tratta del Sacramentario di San Domenico Loricato, un preziosissimo codice di liturgia religiosa. Il furto rimane impunito e, dopo quasi un secolo, si scopre che il messale è esposto nella Biblioteca di New York.

Attivate le Autorità Italiane, il Tribunale di Macerata dispone la confisca del bene culturale e il suo rientro nel territorio dello Stato Italiano. La Biblioteca di New York, però, impugna il provvedimento del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo, tra gli altri motivi, la sua estraneità al reato e di conseguenza l’impossibilità che il bene possa essere oggetto di confisca, in quanto acquisito in buona fede nel patrimonio della Biblioteca in virtù di un atto di donazione.

La Corte di Cassazione – III Sezione Penale, con sentenza n. 11629-2020 depositata il 2 aprile 2020, ha rigettato il ricorso, confermato la confisca e, quindi, il rientro del bene in Italia, condannando inoltre il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Alla luce dell’esito favorevole della vicenda per il nostro patrimonio culturale, è interessante capire quali siano state le argomentazioni logico-giuridiche poste a fondamento della decisione della Suprema Corte di legittimità. Vediamole insieme.

Anzitutto, a beneficio dei meno esperti del mondo giuridico, occorre fare una premessa sulla natura della confisca. La confisca, la cui previsione è contemplata agli artt. 240 e segg. C.P., è l’istituto attraverso il quale la cosa che è risultata corpo del reato (l’arma che ha ucciso), ovvero che ne rappresenta il prezzo (il denaro nella corruzione), il prodotto (il dipinto rubato), il profitto (il vantaggio economico conseguito dalla vendita del dipinto rubato), passa nella sfera di proprietà dello Stato.

Nella sostanza si tratta di un atto di espropriazione definitivo – a differenza del sequestro che è invece una misura provvisoria – tesa a rendere momentaneamente indisponibile la cosa nella sfera del soggetto destinatario per evitare che questi, attraverso la disponibilità del bene, possa perpetuare il reato, ovvero evitare che la cosa possa subire modificazioni, alterazioni e alienazioni illegittime in modo da comprometterne la stessa esistenza, vanificando in tal modo l’esito probatorio nel dibattimento a carico della persona imputata.

In caso di esportazione illecita di beni culturali si applica la legge speciale, in particolare il comma 3°, dell’art. 174, del D. Lgs. vo n. 42 del 2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, in cui disposto che: “Il giudice dispone la confisca delle cose (rectius: dei beni culturali illecitamente esportati), salvo che queste appartengano a persona estranea al reato”.

Fatta dunque questa doverosa premessa, vediamo ora come ha ragionato la Corte di Cassazione con riguardo al caso di specie.

La Biblioteca di New York, nel ricorso presentato dinanzi alla Corte di Cassazione, ha riposto la convinzione della illegittimità della confisca del Tribunale di Macerata sul fatto che essa fosse estranea al reato, poiché aveva ricevuto il Sacramentario in buona fede per atto di donazione, e non poteva quindi trovare applicazione il provvedimento ablatorio proprio per effetto del suddetto art. 174, comma 3°, che fa salvo dalla confisca il bene appartenente a soggetto estraneo al reato.

In punto di diritto ed a prima vista, il ricorrente parrebbe aver ragione e ne avrebbe, se il diritto – in questo caso la legge – fosse una mera sequenza fredda e lineare di parole e proposizioni. Ma così non è. Bisogna ricordarsi, infatti, che il diritto, per il fatto di dare significato ad un contesto sociale, ad una collettività (Ubi societas, ibi ius) ha un’anima propria, che vede e… provvede.
Ed infatti la Cassazione fonda la propria decisione sostenendo, tra gli altri, due motivi fondamentali: 1) la natura giuridica della confisca prevista all’art. 174, comma 3°, D. Lgs. vo n. 42 del 2004, del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”; 2) la presunta estraneità al reato affermata dal ricorrente.

Con riguardo al primo motivo la Corte di Cassazione ha dichiarato che la confisca contemplata nel citato art. 174, comma 3°, “deve essere obbligatoriamente disposta, salvo che la cosa appartenga a persona estranea al reato, anche se il privato non sia responsabile dell’illecito o comunque non abbia riportato condanna, trattandosi di misura recuperatoria di carattere amministrativo la cui applicazione è rimessa al giudice penale a prescindere dall’accertamento di una responsabilità penale”.

La chiave di lettura va ricercata nel fatto che essere persona irresponsabile del reato non significa conseguenzialmente essere anche estranea al reato. In termini concreti ed a titolo di mero esempio, si immagini che Tizio commetta un furto e per ciò venga condannato. In tale caso Tizio è responsabile perché è la sentenza di condanna che, all’esito del processo, ha accertato la responsabilità penale di Tizio. Ma se Tizio, pur non avendo commesso il furto, in qualche modo se ne sia avvantaggiato, non può dirsi estraneo ad esso, benché possa affermarsi irresponsabile.

La confisca prevista dal “Codice dei beni culturali e del paesaggio” è, perciò, un provvedimento amministrativo che, sebbene applicato dal giudice penale, prescinde dall’accertamento della responsabilità penale, ed è invero diretto – è questo l’aspetto altresì importante – a conseguire il recupero del bene oggetto della illecita esportazione.    

Ora, la Biblioteca di New York non è sicuramente soggetto responsabile del reato (per non aver perpetrato il furto, ovvero la ricettazione), ma può affermarsi veramente estranea al reato nei termini sopra indicati?

La seconda motivazione posta a fondamento della decisione della Corte di Cassazione ci aiuterà a sciogliere questa domanda.

Con riguardo al secondo motivo, infatti, la Corte di Cassazione ha precisato che “quanto alla nozione di estraneità al reato … non può considerarsi estraneo al reato non solo chi abbia posto in essere un contributo di partecipazione o di concorso allo stesso, ma anche chi abbia ricavato vantaggi ed utilità da esso, ovvero qualsiasi giovamento dalla sua commissione, per tale dovendosi intendere qualsivoglia condizione di favore anche non materiale, derivante dal fatto costituente reato”.

Riteniamo che non occorra dire altro.
È vero che la Biblioteca di New York ha affermato in ricorso di aver ricevuto il Sacramentario in virtù di atto di donazione, come è vero che sarebbe stato pressoché impossibile (prova diabolica) attuare un’indagine a ritroso di tutti i legittimi precedenti proprietari del bene, ma è pur vero che di fronte ad un bene culturale di inestimabile valore (non solo economico), essa avrebbe dovuto usare una diligenza maggiore nell’acquisirlo arricchendo il suo patrimonio. E d’altronde un qualche vantaggio o utilità dal reato ab origine commesso, la Biblioteca di New York lo avrà comunque conseguito, non foss’altro per il fatto di poter esporre al suo interno un bene culturale preziosissimo, intriso di storia medievale, quindi risalente al nostro Medioevo; “nostro” inteso quale periodo storico che ha segnato tutto il continente europeo e, nella fattispecie, l’Italia, del quale le Americhe non hanno vissuto alcuna esperienza.

È un bene culturale che può parlare solo a chi lo ha realizzato e usato e che, dunque, non ha alcuna attinenza né storica, né geografica con il Paese che fino a questo momento lo ha ospitato. Forse, simbolicamente, il provvedimento di confisca del Tribunale di Macerata intende restituire un frammento di identità trafugata al nostro Paese. E quindi, alla luce della sentenza della Corte di Cassazione, che ha mostrato di fare uso saggio ed eccellente del diritto, noi tutti ci auguriamo che il Sacramentario di San Domenico Loricato venga restituito alla sua Storia e raggiunga quanto prima il territorio Italiano: la sua Patria.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 22 aprile 2020

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

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Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa