Il delitto di contraffazione di opere d’arte: analisi e riflessioni

Foto di Matheus Viana (da: https://www.pexels.com/)

Questo mese parleremo del delitto di contraffazione di opere d’arte, mettendo in risalto le condotte che lo realizzano e alcuni risvolti legati, in particolare, alla sorte di quelle opere in relazione alle quali non sia possibile pervenire ad un accertamento della personale responsabilità penale.

Il tema della contraffazione delle opere d’arte ha una storia millenaria, da sempre, infatti, ogni legislatore di turno ha cercato di porvi rimedio adottando provvedimenti a loro tutela. Com’è noto il nostro ordinamento appresta, nello specifico, una tutela penale alle opere d’arte sanzionando con pene severe la loro contraffazione, secondo le disposizioni contenute nel Titolo VIII-bis del codice penale, intitolato “Dei delitti contro il patrimonio culturale”, introdotto dalla riforma del 2022.

Va detto che la contraffazione delle opere d’arte, oltre a foraggiare un illecito e fiorente mercato, costituisce un punto d’interesse delle organizzazioni criminali, le quali non disdegnano di lucrare dal commercio di tali beni, gestendone talvolta direttamente le attività illecite. E d’altronde non è proprio un caso, come purtroppo testimoniano gli odierni fatti di cronaca, l’interesse dimostrato per i beni culturali dal mafioso Matteo Messina Denaro, tratto in arresto il 16 gennaio 2023 dal R.O.S. dei Carabinieri dopo trenta anni di latitanza; allo stesso modo, non sembra spiegabile il furto della tela della “Natività” del Caravaggio avvenuto nel 1969 dall’oratorio di San Lorenzo in Palermo, dove si trovava esposta, in un quartiere praticamente controllato da “Cosa Nostra”.

Nei delitti di contraffazione è frutto di esperienza investigativa la prassi che vede nei criminali attuare un’opera di smembramento – praticata attraverso tagli o spartizione in pezzi – dell’opera, con il duplice intento di una più agevole commercializzazione e, al tempo stesso, una più difficile individuazione.

Come si diceva, allo stato attuale il nostro ordinamento prevede un’efficace tutela penale di contrasto alla contraffazione delle opere d’arte, frutto di una maggiore sensibilità dimostrata dal legislatore sovranazionale, attuata anche attraverso la ratifica della Convenzione di Nicosia del 2017.

In dettaglio il nostro codice penale, all’art. 518-quaterdecies, rubricato “Contraffazione di opere d’arte”, sanziona con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da € 3.000 a 10.000 una serie di condotte delittuose, che hanno ad oggetto, ovvero presuppongono comportamenti falsificatori di opere d’arte.

Vediamo quali sono.

Al comma 1°, n. 1), dell’art. 518-quaterdieces, c.p., è sanzionata la condotta di “chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di pittura, scultura o grafica ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico o archeologico”.

Com’è agevole notare, la disposizione descrive tre precise condotte che possono concretizzarsi: la contraffazione, con ciò intendendo la materiale e identica riproduzione dell’opera con quella originale; l’alterazione, ossia l’esecuzione di interventi sull’opera originale modificandone alcuni elementi; la riproduzione, cioè la creazione di una copia quanto più fedele all’opera originale, ma non esattamente identica.

Questa norma – attraverso le tre condotte sopra descritte – costituisce il nucleo essenziale delle fattispecie di falso in materia di opere d’arte, laddove, affinché il delitto possa concretizzarsi, deve intendersi una falsità rilevante e non grossolana, come peraltro ribadito da diversi consolidati giurisprudenziali della Corte di Cassazione, secondo la quale “con riferimento … ai reati di falso è stato rilevato che la grossolanità della contraffazione … si apprezza solo quando il falso sia ictu oculi riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza e non si debba far riferimento né alle particolari cognizioni ed alla competenza specifica di soggetti qualificati, né alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono esser dotate” [1].

La norma in commento richiede il dolo specifico, ossia il fine di trarne profitto, che non necessariamente deve consistere in un vantaggio economico-patrimoniale. Si immagini, per esempio, al collezionista il quale detiene un’opera pittorica contraffatta attribuita a noto artista per il semplice gusto di tenerla esposta e di goderne la vista.

Al comma 1°, n. 2), dell’art. 518-quaterdieces, c.p., è sanzionata la condotta di “chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio, detiene per farne commercio, introduce a questo fine nel territorio dello Stato o comunque pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura o grafica ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico o archeologico”.

Con questa disposizione il legislatore ha voluto sanzionare l’immissione in commercio o comunque la circolazione delle opere contraffatte. La ratio sottesa alla fattispecie incriminatrice mira ad una doppia tutela: scongiurare che il mercato legale dell’arte possa venire inquinato da opere false e quindi l’opera contraffatta costituire un vulnus alla certezza e alla genuinità degli scambi; tutelare, sebbene indirettamente, le opere originali. Su quest’ultimo aspetto della doppia tutela torneremo a parlare tra poco, quando affronteremo la questione legata al carattere plurioffensivo del delitto in questione.

La norma in commento richiede anch’essa il dolo specifico, che viene individuato nel fine di “fare commercio” da parte del soggetto attivo del reato.

Al comma 1°, n. 3), dell’art. 518-quaterdieces, c.p., è sanzionata la condotta di “chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti” contraffatti, alterati o riprodotti del tipoindicato nelle precedenti disposizioni.

Questa norma è di estrema importanza nel panorama della contraffazione delle opere d’arte perché solitamente concorre con quella più squisitamente a carattere contraffattivo. Sovente, infatti, accade nella realtà che conniventi esperti e studiosi rilascino certificazioni di attestazione di autenticità dell’opera conoscendone la loro falsità, al fine di conseguire un loro personale profitto; si tratta, in sostanza, di soggetti che normalmente conoscono l’artista cui l’opera viene attribuita e prestano la loro opera di studiosi in seno a fondazioni dedicate.

La norma in esame richiede, per la sussistenza del reato, il dolo generico – non essendo necessario che il soggetto abbia agito in vista di un suo tornaconto –, ma richiede, tuttavia, la sua consapevolezza circa la falsità dell’opera; inoltre, trattandosi di reato che può essere commesso da chiunque, non è necessario che il soggetto sia qualificato, ovvero che sia un perito.

Infine, al comma 1°, n. 4), dell’art. 518-quaterdieces, c.p., è sanzionata la condotta di “chiunque, mediante altre dichiarazioni, perizie pubblicazioni, apposizione di timbri o etichette o con qualsiasi altro mezzo, accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità, come autentici opere od oggetti”indicati nelle precedenti disposizioni.

Questa disposizione è concepita nel gergo giuridico come “norma di chiusura”.

Il legislatore ha voluto, attraverso di essa, blindare tutte quelle condotte che, non rientrando specificamente nella disposizione precedente, vengono realizzate con qualsiasi altro mezzo. Nella realtà accade che, anche qui, esperti di settore – per esempio storici dell’arte o periti – rilascino un’attestazione con la quale viene certificata l’affidabilità dell’esemplare esaminato quale eseguito da un determinato artista.

La norma non richiede, per la sussistenza del reato, che il soggetto abbia agito in vista di un fine specifico (dolo specifico); peraltro questi potrebbe giustificarsi – come sovente accade nella realtà – adducendo di essere incorso in un errore di valutazione e quindi far decadere la contestazione nei suoi confronti dal momento che la norma non prevede l’ipotesi di una condotta negligente, ovvero con imperizia e ancora imprudente (rectius: a titolo colposo). Tuttavia va detto che, fermo restando che ogni vicenda merita una valutazione a sé, normalmente il soggetto che rilascia tali attestazioni possiede conoscenze storico-artistiche specifiche, legate all’autore dell’opera esaminata, e non potrebbe, quindi, banalmente affermare di essere caduto in un errore di valutazione.

È opportuno rilevare che nel corso degli anni si è sviluppato un vigoroso dibattito in seno alla dottrina e alla giurisprudenza in relazione al bene giuridico tutelato dalle norme di contrasto alla contraffazione delle opere d’arte. In altri termini la questione si è incentrata sul fatto se considerare le norme in commento quali dirette a tutelare le opere d’arte e, quindi, il patrimonio artistico-culturale, oppure il patrimonio in generale, oppure ancora la fede pubblica.

Mettendo da parte le varie opinioni e orientamenti attestati nel tempo, la giurisprudenza formata dalla Suprema Corte di Cassazione è pervenuta all’idea di concepire il reato in questione di natura plurioffensiva a consumazione anticipata.

In sostanza, si è detto che il reato di falso artistico tutela sia il mercato delle opere d’arte, sia il patrimonio artistico e sia, infine, la fede pubblica e sanziona di per sé il pericolo di “inquinamenti ed impedire che lo stesso patrimonio artistico e culturale siano compromessi dalla presenza e circolazione di falsi[2].

Altra questione legata al delitto in commento riguarda la tipologia dei beni tutelati.

Secondo la disposizione di cui al citato art. 518-quaterdecies c.p. la condotta materiale dell’agente deve ricadere su opere di pittura, scultura o grafica, ovvero su oggetti di antichità o di interesse storico od archeologico.

Così posto il tenore letterale espresso dalla disposizione potrebbe far pensare che tutte quelle produzioni artistiche di contemporanea e nuova concezione, che, secondo l’attività operativa relativa all’anno 2021 approntata dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale [3], sembrano assurgere a emergenti attività di falso, potrebbero rimanere escluse dalla tutela penale.

In realtà, grazie a un’opera ermeneutico-adeguatrice, si è fatto ricomprendere nelle opere pittoriche tutte quelle produzioni che presentano fattezze “bidimensionali”; “tridimensionali” quelle scultoree e “ogni prodotto riconducibile all’arte del segno e del multiplo” quelle grafiche [4].

Ne consegue che tutte le opere d’arte – nella forma pittorica, scultorea e grafica – ricevono protezione e tutela penale, sebbene sarebbe auspicabile una maggiore chiarezza e precisione delle norme penali in stretta osservanza dei principi di legalità e determinatezza.

È ora di porre una domanda fondamentale.

Che fine fanno le opere d’arte contraffatte, alterate o riprodotte una volta accertata – o in mancanza di accertamento – la responsabilità penale dell’autore del reato?

Al comma 2°, dell’art. 518-quaterdieces, c.p., il legislatore ha previsto che “È sempre ordinata la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere … salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato. Delle cose confiscate è vietata, senza limiti di tempo, la vendita nelle aste dei corpi di reati”.

A tenore della disposizione sopra citata le opere contraffatte, alterate o riprodotte, dunque oggetto materiale del delitto in discussione, devono essere confiscate.

Ma è sempre e comunque così?

Qual è la sorte delle opere contraffatte se il procedimento penale venisse archiviato per insussistenza del dolo specifico dell’autore del reato?

Facciamo un esempio.

Tizio viene trovato in possesso di un dipinto riconducibile a noto autore di scuola leonardesca, che egli spaccia per autentico pur sapendolo falso con l’intento di porlo in commercio. Supponiamo, poi, che il giudice archivi il procedimento perché non risulta provata la finalità del profitto (l’elemento psicologico del reato: dolo specifico).

Stante alla disposizione innanzi richiamata, il giudice, nonostante l’archiviazione del procedimento, sarebbe comunque tenuto a disporre la confisca dell’opera. Ciò si ricava, infatti, dall’avverbio “sempre”, facendo presuppore che il provvedimento vada adottato anche in caso di proscioglimento dell’imputato o di archiviazione del procedimento penale.

Tuttavia, un eventuale provvedimento di confisca così adottato, ossia malgrado il proscioglimento dell’imputato o l’archiviazione del procedimento penale, evidenzierebbe profili di ingiustizia. Infatti, in termini generali e nella logica giustiziale, può ritenersi legittimo privare di un bene una persona nei confronti della quale non è stata emessa alcuna sentenza di condanna?

Questo è sostanzialmente il punto.

Lo si ricorderà, perché ne parlammo in altro precedente intervento, la confisca generalmente è considerata una misura di sicurezza [5], accessoria alla sentenza del Giudice, con la quale viene disposta l’espropriazione ad opera dello Stato delle cose riconducibili all’attività criminosa. In sostanza, nell’ottica del legislatore l’obiettivo cui tende la confisca è quello di “privare l’autore del reato dei vantaggi economici che da esso derivano[6].

In termini assai generali va detto che sul tema esiste una rilevante letteratura giurisprudenziale della Corte di Cassazione le cui decisioni sono quasi sempre state incentrate sull’effettiva obbligatorietà dell’istituto anche in presenza di assoluzione del soggetto imputato o di estinzione del reato.

Con riguardo ai reati di contraffazione, la Suprema Corte ha fissato alcuni principi che, quando applicati, consentono al giudice di disporre la confisca delle opere risultate contraffatte, alterate o riprodotte anche in presenza di assoluzione dell’autore del reato o archiviazione del procedimento penale.

Vediamo quali sono. Nella sostanza la Corte di Cassazione ha affermato che, affinché si possa disporre la confisca delle opere contraffatte anche in presenza di provvedimento assolutorio o di archiviazione, è necessario che il giudice proceda ad un accertamento circa la sussistenza del fatto-reato[7].

In altri termini il giudice, ai fini della confisca, disponendo di propri ampi poteri, procede all’accertamento del fatto-reato in sé, prescindendo dalla colpevolezza dell’autore (la quale potrebbe essere esclusa per insussistenza del dolo), ma, scrive la stessa Corte di Cassazione, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, ossia con il necessario coinvolgimento di tutte le parti del procedimento [8].

Pertanto, qualora risultasse provata la contraffazione, o l’alterazione o infine la riproduzione dell’opera d’arte oggetto materiale del reato – e quindi una delle fattispecie delittuose contemplate al comma 1°, n. 1) dell’art. 518-bis c.p. – il giudice deve obbligatoriamente disporre la confisca anche in presenza di provvedimento assolutorio o di archiviazione [9].

Infine occorre fare un breve cenno ai casi di non punibilità, alle circostanze che aggravano e a quelle che attenuano il reato.

Secondo l’art. 518-quinquiesdecies c.p., la persona non risponde del reato di contraffazione di opere d’arte quando queste sono espressamente dichiarate non autentiche mediante annotazione scritta sull’opera stessa, ovvero, quando ciò sia impossibile in relazione alle sue dimensioni, attraverso dichiarazione rilasciata all’atto della esposizione o della vendita. D’altronde, perché possa configurarsi il reato, è sufficiente che manchi la dichiarazione di non autenticità, oppure che non sia rilasciata secondo quanto prescritto dalla legge [10].

Con riguardo ai casi di non punibilità deve, infine, farsi cenno ai cosiddetti restauri artistici.

Secondo l’ultimo periodo dell’art. 518-quinquiesdecies c.p., ugualmente non sono punibili coloro che hanno eseguito restauri artistici a condizione che non abbiano ricostruito e quindi alterato in modo determinante l’opera originale [11].

È notorio il fatto che l’attività di restauro sia diretta essenzialmente a mantenere l’opera integra nella sua veste originale, senza alterarla, sebbene possano emergere alcune perplessità in merito.

Al netto delle evidenti incertezze in ordine alla possibilità di non riuscire ad interpretare appieno quali interventi di restauro debbano ritenersi non determinanti ai fini della non punibilità, deve darsi conto che nell’ottica del diritto penale, in definitiva, ciò che depone a favore della sussistenza della causa di non punibilità è l’accertamento del profilo soggettivo-psicologico (dolo) del soggetto restauratore che non può avere luogo se non attraverso la complessiva disamina dei fatti.

Il quadro delle circostanze aggravanti, previsto all’art. 518-sexiedecies c.p., si presenta sotto una veste piuttosto efficace dal punto di vista sanzionatorio perché prevede l’aumento della pena fino a un terzo per ogni reato, nei confronti di soggetto che cagiona un danno di rilevante entità; oppure quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale, commerciale, bancaria o finanziaria; ancora se commesso da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, preposto alla conservazione o alla tutela di beni culturali mobili o immobili; e infine quando è commesso nell’ambito dell’associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p.

Nella realtà è più probabile che tali circostanze aggravanti possano applicarsi nei casi in cui il fatto cagioni un danno rilevante, oppure quando è commesso da soggetti preposti all’attività commerciale: si pensi, per esempio, alle attività di antiquariato. Peraltro in questo caso la legge prevede la pena accessoria della interdizione dalla professione e la pubblicazione della sentenza penale di condanna (art. 518-sexiesdecies c.p.); oppure ancora nell’ambito delle associazioni criminali. Quest’ultimo caso si ritiene sia il più frequente perché normalmente i reati di contraffazione trovano il loro naturale sbocco nell’ambito delle organizzazioni criminali [12].

In tema di circostanze attenuanti, previste all’art. 518-septiesdecies c.p., il legislatore ha previsto la riduzione di un terzo della pena quando il danno, o l’evento o ancora il lucro risultino di “speciale tenuità”. Deve ammettersi che il termine “speciale tenuità” lascia spazio a comprensioni poco chiare e quindi a interpretazioni più disparate.

Tuttavia, nell’ottica dei principi generali dell’ordinamento giuridico, può affermarsi che il termine non deve far pensare solo ed esclusivamente ad una dimensione quantitativa del danno arrecato o del lucro conseguito, nonché dell’evento pericoloso o dannoso, bensì al pregiudizio che complessivamente ed effettivamente determina il soggetto attraverso la sua condotta.

La pena è inoltre diminuita da uno a due terzi nei confronti di chi abbia consentito l’individuazione dei correi o abbia fatto assicurare le prove del reato o si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori o abbia recuperato o fatto recuperare i beni culturali oggetto del delitto.

Quest’ultima circostanza attenuante implica una sorta di incentivo in favore dell’autore del reato a “collaborare” con la giustizia.

Ci avviamo, perciò, alla conclusione.

Come si diceva all’inizio di questo intervento, il tema della contraffazione e quindi della tutela delle opere d’arte ha una storia millenaria – risalente addirittura all’antica Roma –, ma, volendo fare un breve excursus, possiamo dire che la genesi dell’attuale normativa di settore la rinveniamo nel 1820 con l’Editto del Card. Bartolomeo Pacca [13]. Seguì la Legge Rava-Rosadi [14] del 1909 e, nel 1939, la Legge Bottai [15]. Tuttavia, è con la Legge Pieraccini del 1971 che viene prevista nel nostro ordinamento giuridico una specifica fattispecie che punisce la contraffazione di opere d’arte [16].

Come si può notare, nel corso degli anni e delle epoche ogni legislatore ha dimostrato una evidente attenzione per la tutela del nostro patrimonio artistico e del pericolo della contraffazione legate alle opere d’arte.

Non si è trattato soltanto di emanare norme che sanzionassero comportamenti illeciti, bensì una ratio ben più profonda li ha dovuti motivare, ossia quella di porre un solido baluardo a presidio e a difesa della nostra identità culturale.

Bibliografia essenziale:

  • Codice penale e di procedura penale, edizione Dike giuridica, Roma 2023.
  • A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino 2011.
  • G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna 2019.
  • L. Mazza (a cura di), Le disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale. Una prima lettura, Pisa 2023.
  • S. Mele, La protezione del patrimonio culturale dalle aggressioni criminali. Il controllo commerciale e il tracciamento dei beni antiquariali e d’arte, Roma 2022.
  • L. Nannipieri, A cosa serve la storia dell’arte, Milano 2020.

Sitografia:

https://www.beniculturali.it/

https://www.beniculturali.it/carabinieritpc

S. Catalano, Mafia, la passione dei Messina Denaro per l’archeologia I piani per rubare l’Efebo e il Satiro e il ricatto allo Stato, su MeridioNews.it (2018): https://meridionews.it/mafia-la-passione-dei-messina-denaro-per-larcheologia-i-piani-per-rubare-lefebo-e-il-satiro-e-il-ricatto-allo-stato/?refresh_ce

https://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/

https://www.focus.it/cultura/arte/caravaggio

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1971/12/17/071U1062/sg

https://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

https://media.beniculturali.it/mibac/files/boards/be78e33bc8ca0c99bff70aa174035096/PDF/Attivit%C3%A0%20Operativa%202021-sd.pdf

https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1971-11-20;1062~art1

A. Visconti, Contraffazione di opere d’arte e posizione del curatore d’archivio, su Aedon, 1 (2020): http://www.aedon.mulino.it/archivio/2020/1/visconti.htm

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 19 febbraio 2023

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.


[1] Ex multis: Cass. pen. Sez. III, Sent. 15-10-2019, n. 42122 e Sez. V pen., 22 febbraio 2016, n. 6873; idem Sez. I pen., 11 novembre 2011, n. 41108.

[2]  Cass. pen. Sez. III, Sent. 01.06.2006, n. 19249.

[3]  https://www.beniculturali.it/carabinieritpc.

[4] A. Visconti, Contraffazione di opere d’arte e posizione del curatore d’archivio, in “Aedon, Rivista di arti e diritto on line” 1/2020, pp. 63-79: http://www.aedon.mulino.it/archivio/2020/1/visconti.htm

[5] La confisca, sebbene si sostanzia sempre nella privazione di beni economici, assume, alla luce di un sistema processuale che si è sviluppato attraverso molteplici modifiche legislative ed incisive evoluzioni giurisprudenziali, funzione e natura diverse, prevalendo di volta in volta finalità strettamente sanzionatorie e dunque di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura amministrativa (così Cass. pen. Sez. III 04.05.2021, n. 30687). 

[6] Cass. pen. SS. UU. sent. 15.10.2008, n. 38834.

[7] Nell’ottica del processo penale il giudice è soggetto terzo rispetto alla pubblica accusa e alla difesa, e non potrebbe, in linea di principio, rivestire funzioni inquisitorie. Egli è e rimane un “arbitro”, tuttavia la legge, al fine di fondare il suo libero convincimento, lo legittima a svolgere alcune funzioni che nelle indagini preliminari sono attribuite al pubblico ministero e alla difesa. Un caso emblematico di tali poteri è rappresentato dalla facoltà del giudice di disporre, per esempio, una perizia (artt. 220 e segg., c.p.p.).

[8] Tecnicamente si tratta di un accertamento incidentale, ossia il giudice accerta nel corso del procedimento (e non anche nella fase dibattimentale tipica del processo) il fatto-reato in sé e ne dichiara la sua sussistenza o insussistenza ai fini della adozione della confisca.

[9] Ex multis: Cass. pen. Sz. III, 04.05.2021, n. 30687; Cass. pen. SS.UU., 15.10.2008, n. 38834; Cass. pen. Sz. III, 03.02.2015, n. 4954; Cass. pen. Sz. III, 01.06.2006, n. 19249.

[10] Cass. pen. Sz. III, 31.01.2022, n. 3332.

[11] Secondo la legge allo stato vigente, il soggetto restauratore deve essere in possesso di titolo abilitativo conseguito dopo aver frequentato e superato un iter di formazione di livello universitario (laure magistrale o specialistica).

[12] Cfr. S. Mele, “La protezione del patrimonio culturale dalle aggressioni criminali. Il controllo commerciale e il tracciamento dei beni antiquariali e d’arte”, Roma 2022.

[13] Il Cardinale Bartolomeo Pacca (Benevento 25.12.1756 – Roma 19.04.1844) emise un editto poi approvato il 07.04.1820 da papa Pio VII con il quale dettò regole per la protezione delle opere d’arte e dei monumenti.

[14] È interessante notare come riecheggia l’assonanza con l’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio l’ambito di applicazione della Legge, in particolare all’art. 1, che così recitava: “Sono soggette alle disposizioni della presente legge le cose immobili e mobili che abbiano interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico o artistico”.

[15] Il 1º giugno 1939 venne emanata dal ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai la legge “per la tutela delle cose di interesse artistico e storico”, meglio conosciuta come legge Bottai, la prima legge organica volta a disciplinare la tutela dei beni culturali. La legge in questione dettava – tra l’altro – norme serrate in materia di importazione e esportazione e disciplinava l’attività di scavo archeologico, sanzionando ai sensi delle norme previste nel codice penali l’impossessamento illecito.

[16] Da notare quasi l’esatta assonanza con le attuali norme: Art. 2 – “Chiunque esercita una delle attività previste all’articolo 1 deve porre a disposizione dell’acquirente gli attestati di autenticità di provenienza delle opere e degli oggetti ivi indicati, che comunque si trovino nell’esercizio o nell’esposizione. All’atto della vendita il titolare dell’impresa o l’organizzatore dell’esposizione è tenuto a rilasciare all’acquirente copia fotostatica dell’opera o dell’oggetto con retroscritta dichiarazione di autenticità e indicazione della provenienza, recanti la sua firma”; “Art. 3 – Chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di pittura, scultura o grafica, od un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico è punito con la reclusione da tre mesi fino a quattro anni e con la multa da lire centomila a lire tre milioni. Alla stessa pena soggiace chi, senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità, o di oggetti di interesse storico od archeologico”.   

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Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa