La conservazione dei beni culturali: le attività di restauro

Foto di Daian Gan (da: https://www.pexels.com/)

La tutela del nostro patrimonio culturale passa anche attraverso l’opera di conservazione cui sono preposti gli organi competenti, in primis la Soprintendenza.

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, il D.Lgs.vo n. 42 del 2004, all’art. 29, restituisce una definizione di conservazione, precisando che: «La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro».

La disposizione aggiunge, inoltre, che:

  • «Per prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto»;
  • «Per manutenzione si intende il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti»;
  • «Per restauro si intende l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali … ».

Nell’ambito della conservazione, va detto che un posto di rilievo merita l’attività di restauro dei beni culturali, pubblici o privati che siano, soprattutto per le sue finalità morali, tese, per l’appunto e tra l’latro, alla trasmissione dei valori culturali del bene.

A motivo dell’importanza di tale finalità, il legislatore ha posto a presidio dell’attività di restauro del bene culturale tutta una serie di disposizioni che ne disciplinano la modalità e i soggetti autorizzati a compierla e prevedendo alcune fattispecie di reato.

Intanto va osservato che la legge (art. 30 del Codice) prevede, espressamente, l’obbligo di conservazione dei beni culturali, obbligo rivolto, oltre che allo Stato e alle Regioni, anche ai privati e agli Enti ecclesiastici:

  • «Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza»;
  • «I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione»;
  • «I soggetti indicati al comma 1 e le persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, fissano i beni culturali di loro appartenenza, ad eccezione degli archivi correnti, nel luogo di loro destinazione nel modo indicato dal soprintendente». 

Con specifico riferimento alla conservazione dei beni culturali di proprietà privata, il Codice prevede, inoltre, i c.d. «interventi conservativi imposti».

Nella sostanza si tratta della possibilità riconosciuta al Ministero (Soprintendenze) di imporre al proprietario, possessore o detentore l’esecuzione di interventi necessari per assicurare la conservazione del bene culturale, ovvero può provvedervi direttamente con imputazione degli oneri a carico degli stessi soggetti.

In caso di urgenza in relazione al pericolo che il bene possa disperdersi, deteriorarsi o distruggersi, il Soprintendente è legittimato a adottare le relative misure conservative.

Con riguardo ai soggetti legittimati alla restaurazione di beni culturali il Codice (e una serie di atti normativi conseguenti) prevede che «gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia … » ed aggiunge che « l’insegnamento del restauro è impartito dalle scuole di alta formazione e di studio istituite ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, nonché dai centri di cui al comma 11 e dagli altri soggetti pubblici e privati accreditati presso lo Stato …».

Deve trattarsi, in sostanza, di soggetti in possesso di titolo equiparato a laurea magistrale o specialistica.

L’esperienza ha insegnato che, in passato, l’attività di restauratore venisse condotta da persone che, seppure in possesso di qualità empiriche di sicuro valore, non possedevano alcun titolo accademico, quando non addirittura da soggetti improvvisati.

Successivamente all’entrata in vigore del Codice e delle fonti normative ad esso collegate, non sono mancate tuttavia occasioni in cui soggetti ignari dei nuovi obblighi di legge, restaurassero beni culturali di appartenenza privata (ma vincolati) o ecclesiastici, incorrendo in specifici reati.

Nella prassi il proprietario (possessore o detentore a qualsiasi titolo) privato del bene culturale (vincolato) sul quale volesse fare eseguire opere di restaurazione è tenuto a richiedere la previa autorizzazione alla competente Soprintendenza, allegando il relativo progetto redatto da soggetto legittimato ad eseguire dette opere, secondo i dettami di cui si è detto sopra.

La Soprintendenza si esprime adottando un provvedimento amministrativo di autorizzazione dettando le relative prescrizioni, ovvero di diniego in caso di incompatibilità delle opere di restauro con la conservazione del bene.

Come si diceva all’inizio tutta le norme che prevedono gli obblighi di conservazione dei beni culturali sono assistite da sanzione penale.

L’art. 169 del Codice, rubricato come «Opere illecite», prevede e sanziona una serie di condotte penalmente rilevanti sebbene di natura contravvenzionale.

La fattispecie punisce, con l’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da euro 775 a euro 38.734,50, la condotta di chiunque – senza autorizzazione – demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell’art. 10.

Questa disposizione è omnicomprensiva perché prevede tutte le ipotesi in cui il soggetto può incorrere.
Inoltre è assoggettato alla stessa sanzione:

  • «chiunque, senza l’autorizzazione del soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall’Articolo 13».

Questa disposizione si indirizza a beni culturali appartenenti ai privati per i quali non sia ancora intervenuta la dichiarazione di interesse culturale. La ratio della norma risponde ad una chiara necessità. Può accadere infatti (e nella realtà accade frequentemente) che, a causa del fatto che su quel determinato bene, non indagato dal punto di vista scientifico ma che presenta tuttavia i crismi della culturalità, il proprietario si determini ad eseguire opere di qualsiasi natura, con il rischio che possano disperdersi proprio quei valori culturali che la norma intende tutelare. Ecco allora che il legislatore interviene in via preventiva, prevedendo l’obbligo della previa autorizzazione, sebbene lo stesso bene non risulti ancora vincolato;

  • «chiunque esegue, in casi di assoluta urgenza, lavori provvisori indispensabili per evitare danni notevoli ai beni indicati nell’Articolo 10, senza darne immediata comunicazione alla soprintendenza ovvero senza inviare, nel più breve tempo, i progetti dei lavori definitivi per l’autorizzazione».

Questa norma sanziona l’ipotesi della omessa comunicazione alla Soprintendenza, a cui il privato è tenuto, nel caso in cui si versi nella urgenza di eseguire opere di conservazione.
Infine un’ulteriore fattispecie penale merita di essere attenzionata.
Si è detto che qualsiasi opera che debba o che si voglia eseguire sul bene culturale deve essere autorizzata. Ma non solo: diciamo che qualsiasi attività che riguardi il bene culturale deve essere previamente autorizzata. Ci si vuole riferire, in particolare, anche alla ipotesi di mancata collocazione del bene nel luogo determinato e indicato dalla Soprintendenza ed a quella di spostamento del bene. 
Infatti, l’art. 171 del Codice dichiara:

  • «È punito con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 775 a euro 38.734, 50 chiunque omette di fissare al luogo di loro destinazione, nel modo indicato dal soprintendente, beni culturali appartenenti ai soggetti di cui all’Articolo 10, comma 1 (appartenenti allo Stato)». Questa fattispecie va letta in relazione al contenuto dell’obbligo di cui all’art. 30 del Codice, innanzi richiamata;
  • «Alla stessa pena soggiace il detentore che omette di dare notizia alla competente soprintendenza dello spostamento di beni culturali, dipendente dal mutamento di dimora, ovvero non osserva le prescrizioni date dalla soprintendenza affinché i beni medesimi non subiscano danno dal trasporto».

In conclusione, come possiamo vedere, l’ordinamento appresta una robusta e precisa normativa in materia di conservazione del patrimonio culturale, che caratterizza in maniera preponderante tutto l’assetto delle norme poste per la tutela, segno che già nelle intenzioni del legislatore vi è la ferma convinzione che solo conservando il nostro patrimonio culturale lo si possa poi tramandare alle generazioni future.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 8 settembre 2021

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About Leonardo Miucci 48 Articles
Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa