La cuddrireddra di Delia e la Settimana Santa come casi-studio per una riflessione sui beni culturali immateriali

Venerdì Santo, Scinnenza (II parte) (foto di Emanuele Riccobene, 2019)

Quando si parla di beni culturali la nostra mente corre subito ai beni materiali. Pochi sanno, però, che nel grande novero dei beni culturali quelli materiali sono solo una categoria accanto alla quale esiste anche quella dei beni immateriali.

Questi ultimi trovano posto nel D.Lgs 42/2004 – per quanto attiene la normativa italiana – e, a livello internazionale, sono tutelati dall’UNESCO che ha istituito una lista di beni parallela a quella, più famosa, relativa ai beni materiali [1]. Sempre a proposito di UNESCO va anche ricordata la Convenzione di Parigi del 2003, la quale definisce i beni immateriali all’art. 2. comma 1 [2].

Da qualche anno a questa parte diverse amministrazioni locali, in tutta Italia, stanno provvedendo ad iscrivere nei propri registri i beni immateriali della propria comunità (o ad istituire gli appositi registri). Per quanto riguarda la Sicilia detto compito è svolto in collaborazione tra i vari enti locali e l’Assessorato Beni Culturali e Identità Siciliana, al cui interno opera il CRICD (Centro Regionale Inventario Catalogazione e Documentazione).

Da poco più di un anno a questa parte anche il Comune di Delia (CL) ha manifestato interesse nella registrazione dei propri beni immateriali istituendo il REIL (Registro delle Eredita Immateriali di interesse Locale). Al momento l’amministrazione sta lavorando per inserire in detto registro – e parallelamente nel REIS (Registro dei beni immateriali della Regione Siciliana, per tramite della Soprintendenza BB.CC. di Caltanissetta) – due suoi beni che costituiscono il fiore all’occhiello della comunità: la cuddrireddra e la Settimana Santa.

La cuddrireddra è un dolce locale, a forma di coroncina, realizzato manualmente dalle donne del paese. L’inserimento del bene nel registro è motivato dal fatto che la cuddrireddra è una peculiarità gastronomica deliana; la sua ricetta non è conosciuta oltre i confini comunali, inoltre la stessa ricetta – tramandata oralmente di generazione in generazione – è antichissima [3] e pertanto l’obiettivo finale è quello di mantenerne la memoria nella comunità nonostante lo scorrere del tempo.

Cuddrireddre di Delia

Anche la Settimana Santa è per il piccolo centro del nisseno una tradizione ultracentenaria.

Di per sé la Settimana Santa è molto sentita ovunque, in particolare nel meridione d’Italia, e oltre a richiamare l’avvenimento storico-religioso della morte e resurrezione di Cristo, proprio nel sud-Italia rappresenta anche la continuità del legame con la tradizione e la cultura spagnole[4].

A Delia – si diceva – la Settimana Santa ha origini antiche – il primo documento nel quale se ne fa, indirettamente, riferimento è un atto notarile datato 1755 [5] – e si riallaccia a quella che fu la tradizione delle sacre rappresentazioni [6]. Nel corso dei decenni la gente ha stabilito un grandissimo legame con questa festa, che non attiene solamente all’aspetto religioso quanto, piuttosto, a quello folkloristico.

Oltre al grande afflusso di spettatori – cosa ovvia del resto – occorre sottolineare che il legame tra i deliani e la loro festa si evince anche dal fatto che molte battute del copione facciano ormai parte del parlato quotidiano, per evidenziare particolari situazioni; oppure si può pensare al fatto che nessun deliano possa dire di non aver mai contribuito in vita sua, in un modo o nell’altro, alla preparazione dei festeggiamenti (attraverso la donazione di offerte, la preparazione o il dono di materiali scenici, la stessa partecipazione attiva, come attore, alle rappresentazioni ecc.); financo soffrendo a causa della sospensione, per la prima volta nella loro storia, dei festeggiamenti a causa della pandemia da Covid 19 nell’anno 2020. Tutti esempi, questi, di identificazione tra i cittadini del comune nisseno e la loro atavica tradizione che continuano a custodire e tramandare con gelosia.

Ma proviamo adesso a riflettere a più ampio spettro sui beni immateriali, a prescindere da quali essi siano e a quale territorio facciano riferimento. Come visto, emerge con forza il richiamo al carattere identitario tra il bene immateriale e la comunità di appartenenza: esso fa parte di quella comunità e quest’ultima se ne identifica come se quest’ultimo fosse, in un certo modo, parte del suo DNA; in essa è nato, magari secoli or sono, e ciò ne rafforza il valore di elemento identitario.

Prendiamo, per esempio, il canto a tenore della Sardegna o l’arte dei liutai cremonesi, oppure ancora quella dei muretti a secco. L’aspetto da evidenziare non è soltanto il bene in sé. Esso è il risultato di un intero processo che gli sta dietro, il risultato di una evoluzione nel tempo di saperi e conoscenze (i saperi dai quali quel bene deriva e i perché, la capacità artigianale di quella specifica comunità, come nel caso dei liutai cremonesi); se parliamo del teatro dei pupi siciliani si può vedere come esso racchiuda in sé capacità artigianali ma anche teatrali e un innegabile riferimento alla letteratura delle corti rinascimentali (i romanzi cavallereschi di Ariosto e Tasso). Anche la storia – e come essa sia stata influenzata dalla spiritualità – è rappresentata da queste ‘tradizioni’, come nel caso della Perdonanza celestiniana; il rapportarsi dell’uomo con la propria dimensione interiore e la sfera religiosa nel caso delle processioni (la macchina di Santa Rosa a Viterbo ecc.) e tanti altri aspetti si potrebbero qui evidenziare.

Da tutto ciò emerge una forte dimensione antropologica che, forse, spesso si tende ad ignorare coinvolti dal fasto degli aspetti esteriori.

Torniamo adesso a considerare le differenze tra beni materiali e immateriali.

Il bene materiale è, fondamentalmente, la cristallizzazione, l’eternizzazione della cultura di un popolo. Quella società, quella civiltà ha ‘inserito’ ed eternato la propria cultura e i propri valori all’interno di un oggetto, ed essi tornano a prendere vita attraverso la corretta interpretazione di quell’oggetto – di per sé inerme – solo attraverso l’azione di studio nei suoi confronti di un qualunque storico, archeologo, storico dell’arte o umanista in genere [7].

Al contrario i beni immateriali, proprio per il loro carattere, sono qualcosa di vivo, qualcosa che rimane vivo nonostante lo scorrere del tempo; e di esso sono testimoni, magari anche attraverso tanti piccoli ‘aggiustamenti’ che consentono loro di mantenersi al passo con i tempi senza tuttavia snaturarsi completamente, senza perdere la loro impostazione e il loro valore originario, in una sorta di equilibrio tra tradizione e innovazione [8].

Il bene materiale in genere torna temporaneamente a prendere vita solamente in funzione di un umanista che lo prende in esame, oppure quando viene inserito all’interno di percorsi di tutela e valorizzazione grazie a strutture apposite, oppure ancora quando viene visto in occasione di una visita museale ecc.

Al contrario il bene immateriale è sempre vivo. Nel ricordo costante, nella memoria della comunità cui appartiene; nel suo quotidiano sapere e ricordo. Vive in quanto vivono tutti i membri di quella comunità cui il bene appartiene poiché esso è, appunto, elemento vivo di quella comunità; è uno dei suoi valori ed elemento identitario. Ma proprio perché esso vive attraverso i membri della comunità cui appartiene rischia, allo stesso tempo, di finire con loro quando i più anziani cominciano a dipartirsi da questo mondo e i giovani che dovrebbero prenderne il posto, come eredi di dette tradizioni, magari presi da altri interessi o perché allontanati dalla loro terra per motivi che è facile immaginare, recidono, giocoforza, il legame con il loro luogo d’origine e tutto ciò che ad essa è connesso (tradizioni comprese). In questo modo è più difficile portare avanti queste tradizioni; esse non sono oggetti da poter conservare nel museo locale preservandole così dall’usura del tempo. Sono la vita stessa di quella comunità, vivono – e ahimé a volte muoiono – con essa [9].

Ben vengano allora tutte le iniziative volte alla loro tutela e valorizzazione attraverso l’inserimento in specifici registri, la catalogazione, la creazione di musei appositi, per quanto – come si diceva prima – visto il loro carattere immateriale, poco si prestano, esse, a chiudersi dentro un museo.

La loro musealizzazione deve portare i fruitori a riflettere su di esse, a chiedersi il perché della loro esistenza, cosa rappresentano (quale mondo c’è e c’è stato dietro di loro e che esse ancora vogliono testimoniare). Da questo punto di vista, allora, la semplice musealizzazione, per quanto importante, non basta. Sarebbero più utili anche attività di studio e ricerca volte a farle conoscere al grande pubblico, in maniera tale da stimolare le coscienze a dare maggiore peso a questi ‘esempi di vita’. Attività di studio e ricerca che, indirettamente, riguardano proprio la vita di quella persona o quella comunità detentrice del bene immateriale. Da ciò si evidenzia il forte valore dell’antropologia come scienza che studia tutti i vari aspetti del genere umano nel suo trasformarsi nel tempo e nel suo stare al mondo, adattandosi ad esso e adattandolo, a sua volta, a sé. Antropologia che, per fare ciò, ha anche bisogno del sostegno delle altre scienze umane in quanto la vita dell’uomo, le sue capacità creative, la sua capacità di adattamento all’ambiente che lo circonda non possono essere studiate per compartimenti stagni.

I beni immateriali – come e forse ancora di più di quelli materiali, per i motivi che abbiamo esaminato – contribuiscono, in definitiva, a realizzare una conoscenza più completa su quella che è la vita umana nel suo complesso – e nella sua complessità –.


[1] Di seguito si riportano i beni immateriali italiani inseriti nella lista UNESCO: Opera dei pupi siciliani (2008); Canto a tenore sardo (2008); Saper fare liutaio di Cremona (2012); Dieta mediterranea (transnazionale – 2013); Feste delle grandi macchine a spalla (La Festa dei Gigli di Nola, la Vara di Palmi, la Faradda dei Candelieri di Sassari, il trasporto della Macchina di Santa Rosa a Viterbo – 2013); Vite ad albero di Pantelleria (2014); Falconeria (transnazionale – 2016); Arte del ‘pizzaiuolo’ napoletano (2017); Arte dei muretti a secco (transnazionale – 2018); Perdonanza celestiniana (2019); Alpinismo (transnazionale – 2019); Transumanza (transnazionale – 2019); Arte delle perle di vetro (transnazionale – 2020); Arte musicale dei suonatori di corno da caccia (transnazionale – 2020). Per approfondimenti cfr. <http://www.unesco.it/it/ItaliaNellUnesco/Detail/189>.

[2] «per ‘patrimonio culturale immateriale’ s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Ai fini della presente Convenzione, si terrà conto di tale patrimonio culturale immateriale unicamente nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto reciproco fra comunità, gruppi e individui nonché di sviluppo sostenibile». Cfr. Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale conclusa a Parigi il 17 ottobre 2003. Il testo è reperibile al seguente link:

<https://www.unesco.beniculturali.it/pdf/ConvenzionePatrimonioImmateriale2003-ITA.pdf>.

[3] Ma la tradizione locale ne farebbe risalire le origini alla guerra del Vespro, come dolce realizzato in omaggio alle castellane che abitavano il Castellaccio.

[4] Si pensi ad esempio ai riti delle Vare del Giovedì Santo di Caltanissetta, oppure ai Misteri del trapanese che richiamano appunto la tradizione della Semana Santa dell’Andalusia (e di Siviglia in particolare).

[5] Cfr. Archivio di Stato di Caltanissetta, Fondo Notai, Delia, Not. Lo Cicero Didaco, vol. 4945, cc. 39v-40r.

[6] A tal proposito ci sarebbe un mondo da aprire. Qui ci si limiterà a dire che il copione dal quale sono tratte le rappresentazioni è costituito da Il Riscatto di Adamo nella morte di Gesù Cristo del palermitano Filippo Orioles. La prima edizione dell’opera in Sicilia è datata 1750. Sulle sacre rappresentazioni e i rapporti con la Chiesa si rimanda, per chi fosse interessato, a F. Orioles, Il riscatto di Adamo nella morte di Gesù Cristo, ed. critica a cura di S. Bancheri, Rovito Marra, Cosenza 1995 e A. Plumari, Le espressioni di religiosità popolare della Settimana Santa in Sicilia, Siké, Leonforte 2009.

[7] Per il termine ‘umanista’ rimando al mio articolo su ‘Storia e beni culturali: quale rapporto? Una riflessione sull’utilità della conoscenza storica per la tutela del patrimonio culturale’ pubblicato sul blog, in data 26/1/2021 e reperibile al seguente link: <https://latpc.altervista.org/storia-e-patrimonio-culturale-quale-rapporto-una-riflessione-sullutilita-della-conoscenza-storica-per-la-tutela-e-la-valorizzazione-del-patrimonio-culturale/>.

[8] È il caso delle celebrazioni religiose, delle processioni o di determinate rappresentazioni teatrali legate a specifiche tradizioni. Si sono evolute nel tempo, da un punto di vista tecnico, ma lo spirito che le anima è lo stesso, quello originario che ha consentito loro di nascere, il motivo stesso del loro esistere.

[9] Attualmente un rischio simile lo sta correndo, sempre in Sicilia, il teatro dei pupi.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Emanuele Riccobene

Foto di Emanuele Riccobene. Ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autore e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

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Scritto in data: 3 marzo 2021

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About Emanuele Riccobene 21 Articles
Storico. Ha conseguito il master I° livello in "Esperti nella tutela del patrimonio culturale" presso l'Università "Roma Tre". Ha all'attivo pubblicazioni sulla storia politica, militare, economica e sociale della Sicilia. Sta inventariando il patrimonio culturale immateriale del Comune di Delia (CL).