La devastazione delle aree archeologiche

Foto di Ben Kerckx (da: https://pixabay.com/)

Partiamo da una domanda: è lecito e possibile per un privato usare un metal detector per scandagliare il terreno? E se quel terreno è un’area archeologica?

Quante volte ci è capitato di vedere persone sondare le spiagge con un metal detector alla ricerca di monete o preziosi smarriti dai bagnanti?

È una scena che d’estate si ripete sempre e, sebbene con modalità un po’ meno evidenti, accade anche nelle aree archeologiche. In tali casi le “ricerche” dei cosiddetti “tombaroli” mirano essenzialmente a reperire reperti archeologici, in particolare monete, tombe e i loro connessi corredi funerari, con la conseguenza che depredando i siti, non solo privano la collettività di beni che, quando e se studiati, permettono di ricostruire le nostre radici, ma devastano totalmente il terreno e, quindi, il contesto di provenienza, cancellando dati utili agli archeologi (gli strati) per la ricostruzione della storia di quella specifica civiltà.

Il danno arrecato alla collettività in generale e alla comunità degli studiosi in particolare è inestimabile. Gli archeologi sono soliti fare riferimento ad un’attività di “decontestualizzazione”, intesa quale attività di spostamento di quel determinato reperto dall’area in cui esso è stato realizzato. Gli oggetti del corredo funerario, per esempio, hanno un’importanza fondamentale per la ricostruzione della civiltà che li ha prodotti: permettono di capire, tra le altre cose, quale fosse il rapporto – non solo religioso ma anche culturale – che quel popolo aveva con la morte. L’interesse dello studioso, infatti, è «incentrato sulla individuazione e sulla interpretazione del luogo in cui sono sepolti i resti umani (la tomba) e degli oggetti (le offerte e il corredo funerario) che accompagnano il defunto nel suo viaggio verso l’Aldilà»[1].

Ma se questi reperti non vengono trovati perché, appunto, trafugati e quindi spostati dal loro contesto naturale, come si potrà mai studiare la civiltà che li ha concepiti e realizzati?

In assenza del corredo funerario, gli archeologi non potranno mai più ricostruire il modello culturale della civiltà stanziata in quell’area, in relazione alla quale, seppur sia presente una qualche forma di antropizzazione, la ricerca scientifica ne risulterà comunque menomata.

Tuttavia esiste un’attività illecita, per così dire, “propedeutica” a quella dello scavo clandestino e che a questo è direttamente correlato: una vera e propria ricerca preparatoria.

I “tombaroli” utilizzano essenzialmente due strumenti per verificare la presenza di tombe da depredare: il metal detector e gli “spilloni”.

Il metal detector è un rilevatore di metalli costituito da una piastra quasi sempre dalla forma circolare, una bobina, un braccio ancorato all’operatore e una cuffia. Quando la piastra si sposta sopra un qualsiasi elemento di metallo, il campo magnetico prodotto transita attraverso la bobina e viene trasferito alle cuffie con un segnale acustico.

Il suono emesso dal rilevatore è il segnale che indica la presenza di elementi in metallo sotto quel terreno. In questo caso i “tombaroli” agiscono utilizzando i cosiddetti “spilloni”, ossia delle aste in ferro tondeggianti con l’estremità acuminata, attraverso i quali bucano il terreno percuotendolo fino ad arrivare alle lastre di pietra che anticamente venivano poste a copertura delle tombe, mandandole in frantumi. Solo allora iniziano lo scavo/sterro per depredarne il contenuto, ossia il corredo funerario, composto da reperti di varia natura.

Si dovrà dire che alcuni custodi di aree archeologiche non hanno avuto remora nel disseminare il terreno di chiodini, facendo letteralmente impazzire i metal detector e i “tombaroli”. Ovviamente, però, questi sono solo flebili espedienti, frutto di lodevoli iniziative di singoli e accorti individui che dimostrano comunque di tenere a cuore la conservazione dei beni archeologici e di volerli mettere al riparo da eventuali furtivi impossessamenti.

Ma lo Stato quale contrasto offre nei confronti di simili attacchi?

Riportiamo la domanda iniziale: può il privato usare il metal detector nelle aree archeologiche?

Diciamo subito ciò che non risulta vietato.

Il metal detector è uno strumento di libera vendita, chiunque può procurarsene uno anche attraverso i normali canali offerti dalla Rete; il suo costo si aggira dai sessanta a qualche migliaio di euro per quelli professionali. Se liberà è la sua vendita, altrettanto libero ne è il suo uso, nelle aree consentite, quali per esempio le spiagge o terreni che non presentano particolari divieti.

Le cose stanno un po’ diversamente per le aree archeologiche o similari.

Va detto che la L. 9 marzo 2022, n. 22, nell’introdurre nel codice penale il Titolo VIII contenete i delitti contro il patrimonio culturale, ha altresì inserito l’art. 707-bis rubricato «Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli», sanzionando con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da € 500 a € 2.000 (si tratta di un reato contravvenzionale) il possesso ingiustificato di strumenti (per esempio spilloni) o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli (metal detector).

Giova considerare che la fattispecie sanziona, come detto, il possesso ingiustificato di tali strumenti o apparecchiature, facendo quindi intendere che un loro possesso, se giustificato, deve giocoforza ritenersi del tutto lecito.

Vediamo cosa dice la disposizione.

L’art. 707-bis c.p. sottopone alla citata sanzione chiunque «è colto in possesso di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli, dei quali non giustifichi l’attuale destinazione, all’interno di aree e parchi archeologici, di zone di interesse archeologico, se delimitate con apposito atto dell’amministrazione competente, o di aree nelle quali sono in corso lavori sottoposti alle procedure di verifica preventiva dell’interesse archeologico secondo quanto previsto dalla legge

Anzitutto, il soggetto deve essere sorpreso in possesso di tali strumenti nel momento in cui li utilizza; è esclusa la possibilità che possa rispondere del reato se, per esempio, li detiene presso la propria abitazione. Inoltre egli deve trovarsi all’interno di aree o parchi archeologici, ovvero di zone di interesse archeologico ma che devono necessariamente essere delimitate da cartellonistica che le dichiari tali. Occorre, in altri termini, che l’area venga dichiarata pubblicamente di interesse archeologico e che quindi la persona venga messa nelle condizioni tali da non poter addurre ignoranza a sua scusante. Ne consegue che, qualora l’area non recasse gli estremi dell’interesse archeologico, il soggetto non potrà rispondere del reato, quant’anche egli effettivamente ne avesse cognizione. Oppure ancora deve trattarsi di aree nelle quali è in corso la verifica preventiva dell’interesse archeologico e, anche in tale caso, è necessario che la procedura venga resa pubblica dall’ente preposto.

Ma non basta: occorre che il possesso di tali strumenti sia ingiustificato nel momento in cui la persona li reca presso di sé (non giustifichi l’attuale destinazione).

Supponiamo che Tizio venga sorpreso in possesso di tali strumenti in area adiacente e prossima ad una di quelle sopra considerate ma al di fuori di esse, ancorché si abbia motivo di ritenere che egli si trovi in quell’area adiacente alla ricerca di monete antiche e adduca a sua giustificazione il fatto che, essendo un appassionato, è suo solito sondare i terreni alla ricerca di cose in genere.

In tal caso Tizio potrebbe non rispondere del reato perché questa giustificazione, alla luce del fatto che tali strumenti – in particolar modo il metal detector – possono essere liberamente acquistati e detenuti, potrebbe rivelarsi giuridicamente più che plausibile.

Alla luce di quanto sin qua detto, si impongono – in conclusione – alcune considerazioni critiche.

Com’è ormai noto, la riforma dei delitti contro il patrimonio culturale, apportata dalla Legge 9 marzo 2022, n. 22, ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico una serie di fattispecie, che prevedono sanzioni molto severe. Quelli che un tempo erano reati “sparsi” nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, sono ora diventati delitti previsti nel codice penale, a dimostrazione del fatto che il legislatore ha voluto riservare una tutela più marcata ed efficace in materia.

In tale prospettiva, però, sembra quasi una contraddizione in termini quella di aver previsto di sanzionare comportamenti gravi, come quello di cui all’art. 707-bis c.p., attraverso un reato di natura contravvenzionale.

Infatti, in materia di furto di beni archeologici il reato di possesso ingiustificato di strumenti costituisce un po’ la condotta presupposta: non vi può essere uno scavo clandestino senza una preventiva e illecita ricerca eseguita sul terreno che ne custodisce i reperti.

Si è già accennato sopra quali siano i danni causati dai tombaroli attraverso la pratica dello scavo clandestino: la devastazione del terreno; la frantumazione dei manufatti funerari; per non considerare poi il furto dei reperti e, ancor più, la loro decontestualizzazione.

Pertanto, avrebbe risposto ad una maggiore esigenza di coerenza se il legislatore avesse previsto forme di tutela più incisive a riguardo di comportamenti che costituiscono il presupposto illecito della depredazione del patrimonio archeologico.

Bibliografia essenziale:

  • Codice penale e di procedura penale, edizione Dike giuridica, Roma 2023.
  • G. M. Della Fina (a cura di), Capire l’archeologia, Firenze 2010.
  • U. Fabietti, Elementi di antropologia culturale, Milano 2019.
  • N. Laneri, Archeologia della morte, Roma 2013.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 5 marzo 2023

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.


[1] N. Laneri, Archeologia della morte, Roma 2013, p. 53.

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Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa