La responsabilità degli enti in materia di reati contro il patrimonio culturale

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Con l’inizio del nuovo anno apriamo la sezione del Blog dedicata agli aspetti normativi in materia di tutela del patrimonio culturale con un argomento che in ambito giuridico ha sempre suscitato interesse e perplessità. Si tratta della responsabilità da reato degli enti, con particolare riferimento a quei reati, recentemente introdotti nel codice penale, in danno del patrimonio culturale.

Poniamo il seguente caso di scuola, comunque, per alcuni aspetti, ispirato dalla realtà.

La società per azioni “ALFA”, operante nel settore dell’archeologia preventiva, riceve in appalto l’incarico di seguire i lavori di escavazione per la posa in opera di condutture del gas da parte della società “BETA”. In particolare “ALFA” è incaricata di sorvegliare le attività di scavo in quanto l’area nella quale essi verranno realizzati è sottoposta ad un vincolo di tutela archeologica in ragione di alcune testimonianze antropiche rinvenute, risalenti all’antica Grecia del VI a.C.

Accade che durante gli scavi l’archeologo della società “ALFA” si accorge dell’esistenza di un ipogeo e dispone l’immediata interruzione delle attività, informando la società “BETA” dell’obbligo che egli ha di comunicare alla Soprintendenza competente riguardo il rinvenimento. Il responsabile della società appaltante, nel timore che la Soprintendenza potesse adottare un provvedimento di fermo dei lavori, necessario per studiare il sito, e quindi col rischio di un grave pregiudizio economico per la stessa, propone all’archeologo di soprassedere e di far continuare i lavori di escavazione, offrendogli in cambio una somma di denaro, che egli accetta e successivamente versa nelle mani del legale rappresentante di “ALFA”, che a sua volta immette nelle casse della stessa società, dissimulandola nelle voci di bilancio come «compensi vari».

Senonché il personale della Soprintendenza, nell’ambito delle attività di verifica dei lavori (si ricorda che nella prassi amministrativa la Soprintendenza autorizza ab origine l’esecuzione dei lavori, disponendo la sorveglianza archeologica preventiva) accerta il taglio e la totale distruzione del manufatto e ne fa denuncia al Comando Carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale, che investe della vicenda la competente Autorità Giudiziaria.

Quest’ultima, nell’ambito dell’instaurato procedimento penale, che vedrà poi condannati i responsabili per i reati loro ascritti, accerterà inoltre la responsabilità amministrativa derivante da reato delle due società e adotterà le relative sanzioni a loro carico.

Ciò detto, vediamo ora in che termini è possibile attribuire agli enti (società, associazioni, ecc…) la responsabilità amministrativa derivante da reato.

In premessa occorre dire che esiste nel nostro ordinamento penale un principio che viene citato con il brocardo latino societas delinquere non potest, tradotto significa che la società non può delinquere. In altri termini, alle società (per esempio le S.p.A., S.R.L., associazioni ed enti similari) non è possibile attribuire la responsabilità penale conseguente a reato come se fossero persone fisiche perché sono enti, ovvero organizzazioni che hanno vita propria sebbene operino attraverso le funzioni dei soggetti che ne fanno parte (soci e amministratori).

D’altronde, come sarebbe possibile condannare un ente alla pena della reclusione?

È vero che esistono strumenti normativi che legittimano l’applicazione di sanzioni che colpiscono l’ente che, in quanto tale, ha tratto dal reato un qualche vantaggio o interesse. Si tratta, in sostanza, di quelle che, con una terminologia piuttosto discutibile, vengono definite sanzioni civili.

Vediamo di cosa si tratta e di come esse trovano, in particolare, applicazione rispetto ai reati contro il patrimonio culturale.

Intanto occorre premettere che nel 2001 il legislatore italiano, evidentemente al fine di sanzionare quelle situazioni in cui le società, gli enti, le associazioni (ad esclusione di quelle pubbliche) traevano vantaggi o interessi dal compimento di taluni specifici reati, ha approvato il decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante la «Disciplina della responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300».

In estrema sintesi e senza alcuna pretesa di essere esaustivi, diciamo che la differenza tra gli enti con personalità giuridica e quelli senza consiste in una diversa composizione del loro assetto patrimoniale e di conseguenza in una diversa modalità nel far fronte alle obbligazioni contratte.

Gli enti con personalità giuridica hanno un patrimonio proprio – diverso da quello dei soci – col quale rispondono alle obbligazioni assunte; si parla al riguardo di «autonomia patrimoniale perfetta» per distinguerla da quella di cui sono dotati gli enti senza personalità giuridica. Questi, infatti, non hanno un patrimonio proprio cui far fronte alle obbligazioni contratte, delle quali rispondono, personalmente e solidalmente, diciamo con estrema generalità i soggetti che ne fanno parte.

Le norme contenute nel decreto legislativo qui in commento prevedono la loro applicabilità sia nei confronti degli enti forniti di personalità giuridica, sia delle società e associazioni anche prive di personalità giuridica (art. 1).

Ma quali sono i presupposti perché all’ente possa venire attribuita la responsabilità amministrativa da reato?

Alla domanda ci viene in aiuto l’art. 5 del decreto legislativo: «L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi».

Dunque, il primo ed immediato presupposto è che l’ente abbia agito in vista di un suo interesse, oppure conseguito un vantaggio; e che le persone che hanno commesso uno o più reati previsti dallo stesso decreto – e non qualsiasi altro reato – rivestano una funzione di rappresentanza (legale rappresentante), amministrazione (amministratore delegato), vigilanza (sindaci e collegio sindacale), oppure di persone che dipendono da questi ultimi.

La norma aggiunge poi che l’ente non può essere chiamato a rispondere del reato se chi ha agito lo ha fatto in vista di un suo personale scopo o di altri. La ratio di quest’ultima precisazione è piuttosto ovvia: il legislatore ha voluto colpire tutte quelle situazioni in cui sia l’ente in sé a giovare del reato.

Detto ciò passiamo ora a considerare la responsabilità amministrativa degli enti in materia di reati contro il patrimonio culturale.

Com’è noto il 22 marzo 2022 è stata pubblicata la Legge n. 22 del 9 marzo 2022 recante «Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale», che ha introdotto nel codice penale il Titolo VIII-bis «Dei delitti contro il Patrimonio culturale» e nel già detto Decreto Legislativo n. 231 dell’8 giugno 2001 i nuovi artt. 25-septiesdecies «Delitti contro il patrimonio culturale» e 25-duodevicies «Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici».

L’articolo 25-septiesdecies ha ampliato i reati c.d. presupposto per i quali è possibile ravvisare la responsabilità amministrativa da reato per gli enti, prevedendo anche le seguenti fattispecie: «Furto di beni culturali» (art. 518-bis, c.p.); «Appropriazione indebita di beni culturali» (art. 518-ter, c.p.); «Ricettazione di beni culturali» (art. 518-quater, c.p.); «Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali» (art. 518-octies, c.p.); «Violazioni in materia di alienazione di beni culturali» (art. 518-novies, c.p.); «Importazione illecita di beni culturali» (art. 518-decies, c.p.); «Uscita o esportazione illecite di beni culturali» (art. 518-undecis, c.p.); «Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali e paesaggistici» (art. 518-duodecies, c.p.); «Contraffazione di opere d’arte» (art. 518-quaterdecies, c.p.).

Inoltre, in caso di commissione di uno dei reati sopra elencati, è sempre possibile l’applicazione delle misure interdittive – cui ora si dirà – per la durata massima di due anni.

L’articolo 25-duodevicies prevede invece la responsabilità dell’ente in caso di commissione dei reati di «Riciclaggio di beni culturali» (art. 518-sexies, c.p.) e «Devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici» (art. 518-terdecies, c.p.).

Il sistema sanzionatorio agisce sostanzialmente su due fronti: quello pecuniario e quello interdittivo, oltre a prevedere la confisca del profitto o del prezzo del reato (art. 19) e la pubblicazione della sentenza (art. 18).

Le sanzioni pecuniarie consistono nel pagamento di quote societarie nella misura prevista dal reato commesso; mentre l’interdizione consiste nella sospensione per un tempo massimo di due anni dell’attività imprenditoriale dell’ente, fatta salva la possibilità della interdizione definitiva in caso di reato di riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (artt. 16 e 25-duodevicies, comma 2°, D.Lgs.vo n. 231/2001), nonché la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione […]; l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o servizi (art. 9).

Per ritornare al caso concreto dal quale si era partiti all’inizio del presente intervento, possiamo dire che sicuramente la società “ALFA”, per mezzo del suo archeologo e del suo legale rappresentante, e la società “BETA”, per mezzo del suo legale rappresentante, risponderanno a titolo di responsabilità amministrativa da reato, tenuto conto, in particolare, del vantaggio che le stesse hanno conseguito dalla condotta dei suddetti soggetti.

In conclusione, nonostante le contese di ordine dottrinale e, in alcuni casi, anche sostanziale, che sembrano connotare l’impianto normativo in questione, a noi sembra che la modifica apportata al Decreto Legislativo n. 321/2001, con l’introduzione di nuove fattispecie in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti connessa ai reati contro il patrimonio culturale, debba essere salutata con favore poiché dimostra, ancora una volta, l’attenzione del legislatore anche verso quelle situazioni di vantaggio conseguite da parte di soggetti diversi, quali sono le società, che altrimenti sarebbero rimaste impunite.

Sitografia:

https://www.altalex.com (Codice penale; Codice dei beni culturali e del paesaggio; D.Lgs.vo n. 321/2001)

https://www.cortedicassazione.it

https://www.giurisprudenzapenale.com

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 8 gennaio 2023

Il contributo è scaricabile in pdf al seguente link.

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About Leonardo Miucci 48 Articles
Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa