La ricettazione dei beni culturali

Nell’intervento di questo mese parleremo del reato di ricettazione di beni culturali.

Partendo dall’analisi della fattispecie generale, per come è contemplata dal nostro codice penale, spiegheremo, ricorrendo anche ad esempi tratti dalla realtà, con quali modalità esecutive viene realizzato il reato con specifico riferimento ai beni culturali e qual è la differenza con il reato di favoreggiamento, figura delittuosa che presenta molte affinità con quello in esame.

In termini generali possiamo dire che il reato di ricettazione, previsto all’art. 648, c.p., sanziona con la reclusione da due a otto anni e con la multa da € 516 a € 10.329 la condotta del soggetto che «instaura», diciamo così, una relazione le cose proventi da attività delittuosa.

In sostanza il legislatore, con la norma in esame, ha voluto colpire il mercato illecito che normalmente si sviluppa attorno alle cose rubate, sanzionando la condotta degli agenti che lo alimentano.

È un mercato a tutti gli effetti, nel quale ha luogo l’incontro di una domanda e di una offerta: si forma così il prezzo di mercato, in conseguenza del quale avviene poi lo scambio tra denaro e bene. Vi è, tuttavia, una sostanziale peculiarità: il mercato è illecito perché l’oggetto dello scambio ha provenienza delittuosa.

Per fare un esempio, si può pensare ad un ladro che vende ad una terza persona l’autovettura rubata: il ladro risponderà di furto; la persona acquirente risponderà di ricettazione.

Vediamo ora cosa dice la norma e quali sono le condizioni perché il soggetto possa rispondere del reato in esame.

L’art. 648, comma 1°, c.p., così recita: «Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare …».

A prima vista, la fattispecie sembra di facile comprensione, ma in realtà, a ben vedere, si possono notare alcune perplessità, in particolare per i «non addetti ai lavori».

Per esempio: il soggetto che acquista deve aver partecipato alla commissione del delitto dal quale proviene la cosa? E poi: se lo stesso soggetto non sa della provenienza delittuosa della cosa, risponde del reato?

Iniziamo col dire che il soggetto non deve aver partecipato al delitto dal quale proviene la cosa. La disposizione esordisce, infatti, dicendolo chiaramente: fuori dei casi di concorso nel reato. Vale la pena di dire che si ha concorso nel reato allorché almeno due persone si accordano per commettere un reato, venendo assoggettate alla medesima pena per il reato commesso.

Occorre anche che l’autore abbia agito in vista di un profitto per sé o per altri: se Tizio vende l’autovettura rubata a Caio, quest’ultimo realizza un profitto economicamente valutabile in termini monetari perché potrebbe rivenderla e quindi ricavare un guadagno. Lo stesso profitto percepisce Tizio ricevendo la somma da Caio quale prezzo della vendita (illecita).

In questo caso si dice che la norma, per la sua sussistenza, richiede il dolo specifico: al fine di … procurare a sé o ad altri un profitto.

In difetto non si può rispondere del reato. La norma prevede, poi, tre condotte diverse:

  1. Il soggetto acquista. In tale ipotesi si realizza un vero e proprio contratto di compravendita: Tizio vende, Caio acquista.
  2. Il soggetto riceve. Ciò significa che l’agente entra in possesso del denaro o della cosa mobile proveniente da delitto.
  3. Il soggetto occulta. In tal caso l’autore del reato nasconde le cose ma non con l’intento di favorire taluno.

Infine la fattispecie sanziona anche la cosiddetta opera di intermediazione, ossia l’attività del soggetto che favorisce l’incontro della domanda e dell’offerta: del venditore e dell’acquirente.

Alcune precisazioni sembrano doverose.

Si risponde del reato di ricettazione sempre che si dimostri che il soggetto attivo, oltre ad aver agito con dolo specifico (profitto per sé o per altri), debba aver avuto conoscenza delittuosa della cosa (o del denaro). In caso contrario non potrà rispondere del delitto in esame.

Inoltre, il reato di ricettazione presuppone la commissione di un delitto precedente: c.d. delitto presupposto e non contravvenzione.

Esempio: il furto è sicuramente un delitto presupposto della ricettazione; non lo è il reato (di natura contravvenzionale) del gioco d’azzardo.

Come si diceva all’inizio, la ricettazione presenta forti affinità col reato di favoreggiamento reale.

In sostanza, si ha favoreggiamento reale quando il soggetto aiuta un altro soggetto ad assicurare il prodotto, il prezzo, il profitto di un reato. Un esempio ne aiuterà la comprensione: Tizio commette una rapina in banca e si rivolge a Caio perché gli nasconda il denaro rubato per poi riprenderselo. Caio risponderà di favoreggiamento reale (riferito alla res).

Differisce con la ricettazione per mancanza di dolo specifico: Caio non procura – né a sé, né ad altri – un profitto, ma agisce solo ed esclusivamente per finalità dirette a favorire Tizio.

Si diceva all’inizio che la ratio del legislatore sta sia nella volontà di impedire il realizzarsi di un mercato illecito, sia che le cose oggetto del reato non vengano disperse.

Il reato di ricettazione, sotto questo aspetto, vede la sua più naturale concretizzazione in relazione ai beni culturali, sebbene si presenti con qualche peculiarità. Vediamole.

Nella ricettazione dei beni culturali il delitto presupposto consiste, il più delle volte, nell’impossessamento illecito di beni culturali: i tombaroli che depredano le tombe e i siti archeologici costituiscono un esempio specifico.

Normalmente nella filiera commerciale dei beni culturali rubati, in caso di ricettazione, si verifica maggiormente la condotta intermediaria. Ecco un esempio: i tombaroli trafugano il reperto, lo consegnano ad un primo soggetto, che, sebbene giuridicamente sia un ricettatore, nei fatti è un intermediario perché consegnerà quel reperto ad un altro soggetto e così via via fino ad arrivare all’ultimo interessato. E non è un caso poi se quel reperto verrà trovato in qualche museo estero.

Ovviamente – a seconda delle condotte – i soggetti risponderanno di ricettazione nella forma ordinaria o di quella caratterizzata da intermediazione.

Per la sussistenza del delitto di ricettazione occorre che il soggetto realizzi almeno una delle tre condotte contemplate: acquista; riceve; occulta. E che abbia agito in vista di un profitto per sé o per altri. Anche in questo caso è necessario che il soggetto, perché possa rispondere del delitto, abbia conoscenza della provenienza delittuosa delle cose.

Non esiste, purtroppo, nel Codice dei beni culturali una fattispecie specifica di ricettazione di beni culturali, come avviene, per esempio, per l’impossessamento illecito degli stessi.

La condotta illecita viene ricavata dall’applicazione dell’art. 648, c.p., insieme con la norma che sanziona il delitto presupposto.

Il mercato illecito di beni culturali rappresenta, allo stato attuale, un introito non indifferente: basti pensare che risulta secondo solo a quello della droga e delle armi.

È un mercato che si alimenta attraverso quelle condotte criminose, contemplate dal delitto di ricettazione, e probabilmente sanzionate con pene irrisorie rispetto al danno che tale reato arreca all’umanità, privandola – a volte del tutto – di beni inestimabili. 

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 13 novembre 2020

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa