La tela di Artemisia scampata all’esplosione del porto di Beirut: storia di un recupero

Particolare di una delle lacerazioni della tela
Nella collezione di Palazzo Sursock a Beirut, in seguito all’esplosione di un magazzino nel porto della città nell’estate del 2020, sono venuti alla luce due dipinti di Artemisia Gentileschi fino ad allora sconosciuti agli studiosi. La tela più grande, raffigurante Ercole e Onfale, si trova attualmente al Getty Center di Los Angeles per il restauro. Nel team di esperti c’è Matteo Rossi Doria, restauratore specializzato negli interventi strutturali dei dipinti su tela. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare di questo importante recupero.
L’esplosione e il recupero delle due tele di Artemisia

Il 4 agosto del 2020 è esploso un magazzino pieno di nitrato di ammonio abbandonato nel porto di Beirut. La deflagrazione è stata devastante: ha ucciso 218 persone, causato migliaia di feriti e danni per milioni di euro. L’onda d’urto, registrata dai sismografi di mezzo mondo, si è sentita fino all’isola di Cipro. L’esplosione ha coinvolto anche il celebre Palazzo Sursock, nel quartiere di Achrafieh.

In seguito al drammatico evento, sono venute alla luce due opere che lo storico dell’arte Gregory Buchakjian ha subito attribuito ad Artemisia Gentileschi. Si tratta di un dipinto raffigurante Ercole e Onfale e di una Maddalena penitente databili, rispettivamente, intorno al 1630 e al 1640.

Le due opere – le uniche di Artemisia al di fuori dell’Europa e del Nord America – fanno parte della ricca collezione dei Sursock – mobili, suppellettili, quadri- e, come tutto il resto, sono state pesantemente danneggiate. Il Getty Museum, nella persona di Davide Gasparotto, senior curator del Dipartimento dipinti, si è proposto di finanziare e curare il restauro della tela più grande.

Il dipinto è stato quindi trasportato al Getty Center, presso il laboratorio di dipinti guidato da Ulrich Birkmaier. La tela della Maddalena è stata invece portata in Italia, restaurata a Milano ed è attualmente esposta presso le Gallerie d’Italia di Napoli, nella nuova sede di Palazzo del Banco, all’interno della mostra dedicata al periodo napoletanodella pittrice(1630-1654), finora ancora poco indagato.

Matteo Rossi Doria, uno specialista del restauro strutturale

Matteo Rossi Doria, restauratore socio della CBC (cooperativa che quest’anno ha compiuto 46 anni di attività) è stato coinvolto fin da subito dal Getty Center per occuparsi del delicato intervento sul supporto tessile. Rossi Doria vanta infatti una consolidata esperienza come restauratore di dipinti e negli anni si è specializzato nel restauro “strutturale” ovvero negli interventi che riguardano il supporto delle opere realizzate su tela, carta e cuoio.

Il restauratore, Matteo Rossi Doria, e il dipinto
Come mai il dipinto è arrivato al Getty Center?

“Subito dopo l’esplosione, c’è stata una grande sensibilizzazione a livello internazionale per il recupero della collezione Sursock. C’è infatti la volontà di trasformare l’elegante dimora della marchesa Yvonne Cochrane (morta a 98 anni per le ferite riportate in seguito al tragico evento) in unacollezione aperta al pubblico. Il Getty Center ha deciso di finanziare l’intervento di restauro per il dipinto più grande (2,5m X 2 m) raffigurante Ercole e Onfale.

Quale era lo stato di conservazione del dipinto?

Il dipinto era stato gravemente danneggiato. Si trovava alla fine di un lungo corridoio di Palazzo Sursock e ha ricevuto in pieno l’onda d’urto con pezzi di vetro delle finestre e detriti. Per fortuna le zone della tela più deteriorate non riguardano brani significativi dell’iconografia, ad eccezione di un occhio che difficilmente potrà essere ricostruito in fase di reintegrazione pittorica”.

Come è avvenuta l’attribuzione ad Artemisia?

“In passato il quadro era già stato attribuito ad Artemisia da uno storico dell’arte europeo, ma di origine libanese, consulente della famiglia Sursock. Non esisteva però nessuna pubblicazione o comunicazione ufficiale a riguardo. Dopo l’esplosione è stata rinvenuta l’expertise con l’attribuzione e, successivamente, ulteriori documenti hanno permesso di avvalorare la tesi. Ovviamente lo stile pittorico del quadro non lasciava molti dubbi: la mano è interamente quella di Artemisia che spesso invece si dedicava solo ad alcune parti dei dipinti, lasciando ai suoi collaboratori la realizzazione di altre porzioni, in una gestione del lavoro che potremmo definire “consorziale”.

Il dipinto nella posizione originaria a Palazzo Sursock dopo l’esplosione
Come nasce la sua collaborazione con il Getty?

“Bisogna innanzitutto premettere che al Getty Center, ma in generale nei musei oltre oceano, gli interventi sul supporto, come quello che è stato necessario realizzare sul dipinto dei Sursock, non sono assolutamente all’ordine del giorno. Per questo motivo serviva uno specialista dal “vecchio” continente. Come sappiamo, la tradizione e la fama del restauro italiano è antica e consolidata anche all’estero”.

Come si è svolto il suo intervento sull’opera?

“Sono andato una prima volta lo scorso Novembre per visionare il quadro e rendermi conto da vicino del livello di degrado. Ho realizzato un intervento di messa in sicurezza, velinando le aree interessate da lacerazioni, lembi strappati e sollevamenti di pellicola pittorica. Il quadro non era “in prima tela”, ma era già stato foderato in passato. Dal retro, ho aperto alcune finestre sulla tela di rifodero per rinforzare e appianare le zone più lesionate, applicando una leggera tela di sostegno provvisoria. Queste operazioni mi hanno permesso di recuperare la planarità del dipinto e di movimentarlo in sicurezza per effettuare le fotografie e le prime indagini diagnostiche. Sono poi ritornato a Gennaio per cinque settimane di lavoro. La rimozione della foderatura precedente mi ha permesso di valutare in modo più approfondito non solo lo stato di conservazione ma anche la tecnica esecutiva di Artemisia. Il restauro è sempre infatti un importante momento di studio e di scoperta.

Ci racconta qualcosa della tecnica esecutiva?

“Brevemente posso dire che si tratta di un dipinto in cui la tela è “affogata” nella preparazione che è resa ancora più spesso dalla presenza di colle animali applicate nel corso del tempo. Questo lo rende rigido e fragile e con problematiche del tutto simili a quelle proprie di un ”trasporto di colore”. Sono quadri in cui la tela in un certo senso non c’è: io li chiamo dipinti con supporto “morto” perché la tela non è più in grado di svolgere alcun ruolo di sostegno”.

Quali materiali ha utilizzato per la foderatura?

“Dopo aver consolidato il retro del quadro con Beva 371 O.F [1], ho foderato applicando una tela precedentemente apprettata a spruzzo con lo stesso adesivo. Ho poi applicato una seconda tela di grammatura maggiore, utilizzando una miscela adesiva a base acquosa che è una rivisitazione critica della cosiddetta “colla pasta”.

Concluso l’intervento strutturale, il restauro sta ora proseguendo sul davanti. Alla pulitura seguiranno le operazioni di stuccatura, reintegrazione pittorica e verniciatura finale che permetteranno di recuperare i valori cromatici originari e la leggibilità dell’opera . Il quadro sarà oggetto di una mostra al Getty Museum e verrà poi riportato a Beirut quando sarà possibile riaprire palazzo Sursock.

Il dipinto dopo l’intervento sul supporto
La conservazione dei dipinti su tela

Il racconto dell’intervento al Getty Center è stato un’occasione per approfondire il lavoro di studio, ricerca e sperimentazione che Matteo Rossi Doria porta avanti da anni e che è recentemente confluito nel progetto Conserving canvas,finanziato e coordinato dalla Getty Foundation. La ricerca ha preso simbolicamente il via con una conferenza internazionale dedicata alla conservazione dei dipinti su tela che si è tenuta alla Yale University nel 2019 e di cui sono disponibili gli atti. È stato il primo grande convegno sul tema dopo quello di Greenwich del 1974. Negli ultimi cinquant’anni, ai metodi di foderatura tradizionali (in resina cera e colla pasta) si sono affiancati approcci più minimalisti, nuove metodologie e materiali innovativi.

Nell’estate dello scorso anno, un gruppo di nove restauratori, selezionati tra i tanti che hanno fatto domanda, si è riunito presso la Galleria Barberini di Roma per tre workshop dedicati alla foderatura” racconta Matteo Rossi Doria, che prosegue: “Nel mese di ottobre si è poi tenuto un meeting on-line di quattro pomeriggio che ha registrato una grande partecipazione internazionale.  Abbiamo fatto il punto sullo stato dell’arte, unendo e confrontando le molteplici conoscenze storiche, scientifiche e tecniche che riguardano questo specifico ambito della conservazione.

Questa esperienza verrà raccolta in una pubblicazione che promette di diventare un riferimento standard per la comunità internazionale che si occupa della conservazione dei dipinti su tela.

Breve dizionario di riferimento [2]

Appretto o apprettatura: operazione di saturazione, di solito tramite l’applicazione di una colla, della porosità di una superficie al fine di impedire un eccessivo assorbimento della parte liquida della preparazione che verrà applicata. L’appretto conferisce inoltre proprietà di maggiore durabilità e consistenza.

Carta giapponese: carta molto sottile, priva di acidità, prodotta manualmente in Giappone secondo tecniche antiche e con fibre naturali quali Gampi, Kozu, Mitsumata. Viene utilizzata nel restauro per la velinatura e per interposizione in delicati interventi di pulitura.

Colla pasta: impasto utilizzato per la foderatura dei dipinti su tela, composto principalmente da farina, acqua, trementina veneta, colla animale.

Diagnostica artistica: scienza che si propone di analizzare le opere attraverso tecniche e metodi fisico-chimici (radiografie, riflettografia infrarossa, fluorescenza a luce ultravioletta) per caratterizzare le tecniche artistiche e i materiali e per fornire dati funzionali alla conservazione e al restauro.

Dipinto in prima tela: opera pittorica che non è stata foderata.

Foderatura o rintelatura: intervento che viene effettuato quando la tela di supporto originaria ha perso il suo potere di sostegno (per degrado della cellulosa, per lacerazioni o strappi di grandi dimensioni, etc.). Consiste nell’applicazione sul retro del dipinto di una o più nuove tele. L’operazione richiede particolare attenzione, abilità e competenza, non solo per assicurare una buona adesione tra la vecchia e la nuova tela, ma anche per garantire nella nuova condizione stabilità e solidità all’insieme del dipinto, interessando contemporaneamente la preparazione, il film pittorico e la vernice di finitura.

Grammatura: indica il peso di una tela espresso in grammi/mq.

Legante o medium: materiale filmogeno che produce coesione tra i granuli di pigmento in polvere e tra il colore e la preparazione. Tra i leganti tradizionali più noti, ci sono il rosso e il bianco dell’uovo, gli oli siccativi (lino, noci e papavero), la caseina e le gomme naturali.

Olio siccativo: particolare olio estratto da semi di vegetali che all’aria secca formando film. Questo fenomeno è dovuto a reazioni di polimerizzazione delle catene di acidi grassi insaturi e polinsaturi che costituiscono l’olio.

Pellicola Pittorica: stesura di colore applicata su un supporto composta da pigmenti e un legante.

Pulitura: intervento di rimozione di depositi superficiali, vernici invecchiate, ridipinture tramite l’uso di solventi organici e/o soluzioni acquose.

Preparazione: stesura utilizzata per uniformare il supporto e per assorbirne i movimenti; a seconda del supporto (pittura su muro, su tela, su legno etc.) e della tecnica usata (pittura a tempera, ad olio, etc.) veniva preparata con ricette diverse (per esempio con gesso e colla animale; con olio di lino o papavero e pigmenti in polvere). Esistono preparazioni bianche e preparazioni colorate.

Recto o fronte: faccia anteriore di un dipinto.

Reintegrazione pittorica: operazione di risarcimento delle lacune e delle abrasioni della pellicola pittorica tramite colore ad acquarello e/o con colori a vernice.

Stuccatura: risarcimento di lacune tramite uno stucco che di solito, per i dipinti mobili, viene preparato utilizzando gesso e colla animale.

Trasporto di colore: trasferimento della pellicola pittorica dal supporto originario ad un nuovo supporto in caso di stato di conservazione molto compromesso.

Velinatura: sistema di protezione temporaneo della superficie pittorica degradata in caso per esempio di foderatura o di movimentazione. Viene di solito eseguita con carta giapponese e colla animale.

Verniciatura: stesura di uno strato di vernice con funzione protettiva e di saturazione del colore, effettuata a spruzzo o a pennello.

Verso o retro: faccia posteriore di un dipinto


Ulteriori approfondimenti:

Video di Matteo Rossi Doria per l’iniziativa “Conserving Canvas” – Gallerie Nazionali Barberini-Corsini, con il supporto di Getty Foundation: https://vimeo.com/738522770

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Matilde Atorino

Scritto in data: 15 marzo 2023

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.


[1] Termocollante sintetico a base di acetato di vinil-etilene, polietilene, resina chetonica N, paraffina. soluzione al 40% in toluolo-benzina rettificata 80/120.
[2] Fonti consultate: C. Giannini (a cura di), Dizionario del restauro. Tecniche, diagnostica, conservazione, Firenze 2010.

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About Matilde Atorino 8 Articles
Laureata presso l'Istituto Centrale per il Restauro nel settore dei dipinti, ha svolto la professione di restauratrice dal 2006 al 2020, in proprio e per 4 anni come dipendente dei Musei Vaticani. Nel 2022 ha conseguito il titolo del Master di I livello "La scienza nella pratica giornalistica" presso La Sapienza, con una tesi sulla comunicazione del restauro. Ama viaggiare, soprattutto in bici.