La tutela dei beni culturali ecclesiastici

La cristianità rappresenta uno dei valori fondanti della cultura occidentale la cui essenza viene trasmessa ed evidenziata, oltre che attraverso le Sacre Scritture e la dottrina, anche e forse in modo più diretto tramite le opere d’arte disseminate nel mondo.

Anche questo tipo di bene merita di essere tutelato al pari di un qualsiasi altro bene culturale appartenente ad enti pubblici.

È opportuno, sin da subito, evidenziare che anche i beni appartenenti agli enti ecclesiastici (Chiesa in primis), in presenza dei presupposti di legge, sono beni culturali, e infatti l’art. 10, comma 1°, del Decreto Legislativo n. 42 del 2004 «Codice dei beni culturali e del paesaggio», così recita: «Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico».

Pertanto, se il bene in esame presenta un interesse storico, archeologico o etnoantropologico e appartiene ad un ente ecclesiastico, è di conseguenza un bene culturale ai sensi delle disposizioni del Codice e, quindi, anche a tali beni si applicano le norme di tutela e conservazione, sebbene con alcune specificità mutuate dal diritto canonico che vedremo a breve.

In un nostro precedente intervento parlammo della necessità di conoscere i beni culturali affinché si possa assicurare loro la dovuta tutela; ossia, dicemmo a suo tempo che il presupposto della tutela dei beni culturali è appunto la loro preliminare e necessaria conoscenza: non si può tutelare senza prima conoscere.

Conoscere un bene culturale, ovvero un bene verso il quale si auspica che possa essere culturale, significa studiarlo, non solo nella sua fattezza fisica ma anche, e soprattutto, nella sua collocazione storico-artistico-archeologica, e per questo esistono gli esperti di settore.

Ebbene, lo stesso criterio può essere applicato, e di fatto viene applicato, ai beni ecclesiastici per i quali esiste una particolare attività che ne incorpora la conoscenza: si tratta della inventariazione.

L’inventario è, nella sostanza, la conditio sine qua non per la tutela del bene ecclesiastico.

L’obbligo dell’inventario dei beni culturali ecclesiastici non è previsto dal nostro Codice, bensì dal diritto canonico, che così dispone: «Gli Enti ecclesiastici sono tenuti a dotarsi di un inventario completo dei beni mobili di loro pertinenza»[1].

Le Diocesi e gli Istituti ecclesiastici sono tenuti a inventariare i beni mobili secondo una metodologia ben definita[2], mentre i parroci devono verificare la presenza del patrimonio ecclesiastico in occasione del loro avvicendamento nella parrocchia.

Attualmente gli Enti ecclesiastici si avvalgono di nuove tecnologie per la inventariazione, che, oltre a facilitare lo svolgimento di attività estremamente complesse, permettono una più rapida consultazione dei beni censiti. Per esempio, si citerà la banca dati BeWeB (Beni ecclesiastici in web), che, alimentata dalle Diocesi e dagli enti ecclesiastici, rende noto il lavoro di «censimento sistematico» degli stessi beni ecclesiastici [3].

Occorre ora chiedersi quale sia la ragione concreta di una così quasi perentoria attività di inventariazione da parte degli enti ecclesiastici.

La tutela dei beni culturali, e quindi anche di quelli ecclesiastici, si esprime sul piano concreto, anzitutto in termini preventivi: sistemi di difesa passiva, per esempio, quali gli allarmi, la rilevazione delle persone che accedono ai luoghi dove sono esposte le opere, e via dicendo. Ma si esprime anche sul piano repressivo quando, per esempio, le forze dell’ordine riescono a risalire agli autori di un furto e dunque assicurarli alla Giustizia.

Quando si verifica un furto di un bene ecclesiastico, occorre che si presti attenzione ad alcuni oneri, anzitutto la celerità della denuncia.

Ai fini delle indagini dirette alla individuazione dei responsabili del furto è controproducente la presentazione della denuncia a distanza di tempo. La presentazione della denuncia in tempi quanto più celeri possibili permette, invece, oltre che l’immediata attivazione delle indagini, la possibilità dell’intervento del personale specializzato del Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale.

Il denunciante, il quale altri non è che il parroco legale rappresentante della parrocchia dove si trovava il bene ecclesiastico prima di essere trafugato, deve fornire ai Carabinieri o comunque alle forze dell’ordine alle quali si rivolge ogni utile notizia circa il furto e, in particolare, la descrizione del bene stesso, esibendo – laddove esistente (e si auspica che lo sia) – una fotografia. Occorre, poi, che lo scopritore del furto ponga in essere ogni cautela e attenzione per assicurare la conservazione del luogo del reato.

Nella realtà si assiste spesso a comportamenti dettati da mera e ingiustificata curiosità che, purtroppo, il più delle volte inquinano irreversibilmente la scena criminis, creando un vulnus alle successive indagini volte sia al recupero del bene rubato sia alla identificazione dei responsabili.

Basterebbe delimitare e interdire a terzi l’area dove è avvenuto il fatto, evitando che vengano toccati gli oggetti presenti. Quindi, la presentazione della denuncia immediatamente dopo la scoperta del furto o dell’ammanco del bene è assolutamente essenziale per il prosieguo delle investigazioni. Ed è esattamente qui che entra in gioco la catalogazione e l’inventariazione del bene ecclesiastico.

Infatti, un bene ecclesiastico censito e inventariato con cura e corredato di fotografia verrà inserito con altrettanta cura nella banca dati del Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale [4], rendendo così meno gravose le attività di ricerca sul campo.

Una ricerca del bene in banca dati TPC con dettagli precisi, inseriti a seguito della denuncia e della prevista compilazione della scheda TPC [5], renderà report altrettanto precisi e maggiormente riconducibili al bene da ricercare.

In conclusione è possibile affermare che l’inventario dei beni ecclesiastici costituisce un preciso obbligo da parte degli uffici delle Diocesi, posto a presidio dell’attività di tutela, la quale, a sua volta, è necessaria per la loro conservazione.

Ne consegue che tutelando e conservando i beni ecclesiastici, al pari dei beni culturali in genere, si attua, seppure indirettamente, quella necessaria forma di tutela e conservazione della nostra identità cristiana e occidentale. 

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 30 novembre 2021

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.


[1] Codice di Diritto Canonico, Can. 1283 § 2.

[2] Dall’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto (UNBCE) e concordata con l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) e con l’Istituito Centrale per il Catalogo Unico e per le descrizioni bibliografiche (ICCU). https://bce.chiesacattolica.it/

[3] https://www.beweb.chiesacattolica.it/subeweb/

[4] La banca dati, detta anche banca dati T.P.C., è normativamente prevista all’art. 85 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Essa è stata realizzata dal Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale e contiene circa tre milioni di file relativi a beni culturali illecitamente sottratti o da ricercare.

[5] Si tratta di un documento che viene compilato in sede di denuncia e che contiene la descrizione del bene trafugato o comunque smarrito e quindi da ricercare.

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa