L’alba di “Roma sparita”: la città al tempo dei Savoia

Piazza Venezia, fine del XVIII secolo (Giuseppe Vasi, Public Domain, via Wikimedia Commons)

In questo nuovo contributo verrà evocato un tempo in cui il volto urbano di una città, mai come allora, mutò profondamente: è la fine dell’Ottocento e Roma, dopo Torino e poi Firenze, viene proclamata nuova Capitale dell’Italia Unita.

All’epoca l’Urbe contava poco più di 220 mila abitanti, meno di Milano e soprattutto di Napoli, per non parlare di città estere come Parigi che ne aveva poco meno di due milioni, o Londra che era arrivata quasi a contarne quattro.

Sotto tanti aspetti, la Roma preunitaria era una città molto diversa da quella odierna, ristretta in un gomitolo fatto di strade strette e polverose, in cui a stento riuscivano a passare, a quel tempo, le carrozze e dove le condizioni igieniche erano quasi del tutto assenti; per non parlare dell’economia e dei servizi cittadini che erano pressoché inesistenti.

Così, dopo la Breccia di Porta Pia, il 20 settembre del 1870, e l’avvento della Monarchia Sabauda, la città iniziò a conoscere una fase di sviluppo urbanistico e architettonico senza freni, da superare le stagioni di grande trasformazione avvenute sotto i pontificati di Sisto V (1580-1585) e di Alessandro VII (1655-1667). Di lì a breve, come fiori nel deserto, o meglio nella campagna, spuntarono quartieri come quello di Castro Pretorio, dell’Esquilino, di Ludovisi e di Prati di Castello; in questo modo, la Roma spopolata iniziò ad arricchirsi di nuovi abitanti, arrivando negli anni Trenta del Novecento a contare il milione di persone.

Di quel tempo è anche la maggior parte dei palazzi amministrativi come quello di Giustizia – soprannominato dai romani “Palazzaccio” – o quello della Banca d’Italia su Via Nazionale, anche quest’ultima progettata in quegli anni.

A subire un rapido cambiamento non furono però soltanto le aree verdi di Roma – al tempo numerose ed estese – ma anche i luoghi del centro, già dunque punteggiati da case, palazzi nobiliari, piazze e fontane con una storia artistica ed architettonica da raccontare; parallelamente, dovevano tornare a riemergere le antiche vestigia della Roma imperiale e questo avrebbe significato che quel che nei secoli era stato edificato al di sopra doveva essere del tutto rimosso.

Il Risorgimento aveva su Roma un’idea molto chiara: essa non avrebbe dovuto essere da meno rispetto alle grandi metropoli degli altri Paesi esteri. Fu il tempo, quello, in cui si iniziò a ricordare con la scrittura e ad evocare con la poesia la “Roma sparita”, una città così diversa da quella di oggi, che però è possibile conoscere attraverso la lettura di molti libri dedicati e l’osservazione di immagini d’epoca.

«A poco a poco una nuova Roma si ricompone in voi. Si riuniscono ad una ad una le perle della sua collana spezzata, e, se alcuni gioielli sono definitivamente perduti, il monile è ancora magnifico».

Ora si dedicherà un po’ di spazio ad un esempio che ben può illustrare l’idea che il Risorgimento rivestì per la nuova Capitale d’Italia: parliamo così di Piazza Venezia. Oggi è uno dei principali luoghi cittadini che, per bellezza e centralità, riescono a portare in tutto il mondo l’immagine di Roma.

Alla fine dell’Ottocento la piazza era importante perché, oltre a sorgere poco al di sotto del Campidoglio, era spettatrice di una delle feste a cui la città era particolarmente legata e cioè le corse dei cavalli. Tuttavia, il suo aspetto era molto diverso rispetto a quello attuale, come si può osservare nell’acquaforte seguente.

Veduta del Vasi di Piazza Venezia nella seconda metà del Settecento (Giuseppe Vasi, Public Domain, via Wikimedia Commons)

Si andrà con ordine: in riferimento all’immagine di cui sopra, si dirà subito che l’unico edificio a non essere stato toccato dal piccone demolitore è quello sulla destra, il quattrocentesco Palazzo Venezia.

Il palazzo disposto ad “L”, che vediamo davanti e che chiudeva la piazza creando un angolo retto, è Palazzetto Venezia, anch’esso un edificio quattrocentesco, che oggi non vediamo più in quanto all’epoca venne smontato e rimontato diversi metri indietro.

Per capire dove attualmente si trova, basterà spostarci di poco nella vicinissima Piazza di San Marco; purtroppo, però, esso non riesce più a catturare l’attenzione di un tempo, essendo divenuto sostanzialmente un surrogato di Palazzo Venezia. Anche Piazza di San Marco appare quasi un prolungamento di Piazza Venezia, tant’è che in molti, a ragione, credono che sia davvero così.  

Roma, Piazza Venezia. Ricostruzione della originaria posizione di Palazzetto Venezia (il quadrato in giallo) e sua attuale collocazione (freccia rossa) in Piazza di San Marco (foto tratta da Google Maps)

Tornando ad osservare l’acquaforte, vale la pena ricordare l’evento che ogni anno segnava il Carnevale romano e cioè le corse dei cavalli: infatti, se si guarda sulla sinistra, dove è stata posizionata la freccia, percorsa Piazza Venezia gli animali avrebbero arrestato il loro trotto subito dopo, in Via della Ripresa dei Barberi, una via oggi non più esistente ma dove in origine si posizionavano gli stallieri – chiamati Barberi – pronti a tendere un velo che avrebbe fatto da schermo – o, meglio, da “ripresa” – ai cavalli.

Rimanendo ancora concentrati sul Palazzetto Venezia, si mostrerà ora un’altra immagine che forse, più di tutte, crea difficoltà anche nel cittadino romano se gli si chiedesse a quale punto di Roma fosse riferita la foto. Il punto di vista del fotografo si colloca, all’incirca, a partire dall’attuale centro di Piazza Venezia – avendo l’Altare della Patria sulla destra – e quello che si vede in alto è il cosiddetto “viadotto di Paolo III” (1534-1549), un corridoio sopraelevato che connetteva Palazzetto Venezia – di cui si scorge il profilo sulla sinistra – ad una torre; quest’ultima, andata distrutta, era stata eretta dal pontefice sulle pendici settentrionali del Campidoglio ed era la sua residenza fortificata.

Roma, Piazza Venezia. In fondo vi è la chiesa di Santa Maria di Loreto. Osservando di nuovo la foto di sopra, si provi ad immaginare il “viadotto” correre in alto con, alla sinistra, un lato di Palazzetto Venezia (foto tratta da Google Street View).

Tornando all’acquaforte, dirimpetto Palazzo Venezia vi è il distrutto Palazzo Torlonia, già Bolognetti. Diversi metri più indietro, a “sostituirlo” è oggi il Palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia, un edificio costruito tra la fine dell’Ottocento ed il secolo successivo, che riprende lo stile architettonico del suo dirimpettaio, cioè Palazzo Venezia.

Ma finalmente arriviamo al motivo per cui Piazza Venezia è stato uno dei luoghi della città ad aver subito tutti questi stravolgimenti. Il 9 gennaio 1878 Vittorio Emanuele II di Savoia muore all’età di 57 anni. Ebbene, per ricordare la memoria del primo re d’Italia si sentì l’esigenza di erigergli un monumento nella Capitale, facendo la scelta di costruirlo vicino a Piazza Venezia. Perché proprio lì? Perché la piazza si trova al di sotto del Campidoglio e quindi del colle più importante della storia antica di Roma. In poche parole, un luogo simbolico e strategico.

Il monumento a Vittorio Emanuele II fece così tabula rasa attorno a sé a partire dal 1884, anno di inizio dei lavori, e l’architetto che vi appose la firma fu il marchigiano Giuseppe Sacconi. Oltre agli edifici che un tempo affacciavano su Piazza Venezia, andarono distrutte molte altre costruzioni come, ad esempio, il Convento medievale dell’Aracoeli di cui oggi rimane la chiesa che tutti noi conosciamo. Nel tempo, il monumento ha cambiato più volte nome e ormai siamo abituati a chiamarlo Vittoriale o Altare della Patria. In merito a quest’ultima denominazione, è a partire dall’inizio della Prima Guerra Mondiale che si prese la consuetudine di chiamarlo così in occasione della commemorazione dei caduti; poi, alla fine della Guerra, fu indicato come sepolcro del Milite Ignoto a ricordo degli oltre 600 mila soldati italiani caduti in combattimento.

La Capitale d’Italia ha cambiato finalmente volto. È ora una città moderna con le sue grandi strade, i suoi palazzi ed i suoi quartieri nuovi di zecca. È ora una città che può ben rappresentare un potere, quello della monarchia. Ma l’incalzante vento della modernità non ha ancora cessato di soffiare: a breve, l’epoca fascista perseguirà ciò che i Savoia avevano appena iniziato. Se ne parlerà in un prossimo articolo.

Bibliografia generale:

  • S. Caviglia, Guida inutile di Roma. Luoghi e storie dalla città di un tempo, Napoli 2020.

La citazione utilizzata nel testo è stata tratta da J. L. Vaudoyer, Le delices de l’Italie, Paris 1924.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 13 ottobre 2021

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About Giulia Abbatiello 31 Articles
Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.