L’elaborazione digitale di immagini per la conservazione e il restauro

Foto di Foto di Alexandra_Koch (da: https://pixabay.com/)

La rivoluzione digitale avvenuta nell’ultimo secolo ha avuto importanti conseguenze anche sul campo della conservazione dei beni culturali. Infatti, gli strumenti nati dall’avanzamento tecnologico hanno messo a disposizione nuove e grandi possibilità per preservare e valorizzare il patrimonio culturale. Nonostante in principio le tecnologie digitali fossero utilizzate quasi esclusivamente per la documentazione e la gestione dei dati relativi ai beni, cosa che condusse alla creazione di veri e propri cataloghi e inventari digitali, negli ultimi decenni si è affermata sempre più la possibilità di sfruttarle per conoscere e analizzare i beni, al fine di consentirne una migliore fruizione e valorizzazione. Si è così sviluppato il concetto di conservazione virtuale.

La conservazione virtuale prevede, come prima cosa, l’acquisizione dell’immagine del bene oggetto di studio, seguendo specifiche linee guida emesse nel corso degli anni dalle istituzioni e dagli enti che si sono dedicati a questo tema; a livello internazionale, importante è stato il lavoro del progetto Minerva, che ha definito le best practices per la digitalizzazione dei beni culturali a scopo di catalogazione e diffusione sul web. Acquisire l’immagine digitale di un bene è utile perché:

  • consente di fissare lo stato in cui esso si trova al momento della digitalizzazione, insieme ai dettagli visivi che potrebbero, in futuro, essere cancellati a causa delle condizioni ambientali e della fragilità dei materiali;
  • l’immagine digitale può essere messa a disposizione degli studiosi in alternativa all’originale, evitandole quindi un’eccessiva manipolazione diretta che potrebbe portare a un deperimento più rapido;
  • l’immagine digitale può essere diffusa in modo veloce ed economico, consentendo l’accesso all’opera anche a quegli studiosi geograficamente lontani o impossibilitati a raggiungere l’originale;
  • l’immagine digitale può essere trattata con software di elaborazione grafica per simulare i risultati di interventi conservativi o di restauro.

L’ultimo punto è particolarmente interessante: si parla in questo caso di restauro virtuale, ovvero dell’insieme dei procedimenti di Image Processing (elaborazione di immagini) 2D o 3D che permettono di migliorare la leggibilità dell’opera, oppure di darne un’ipotesi ricostruttiva, senza intervenire fisicamente sull’originale, ma lavorando su copie digitali. Solitamente, oggetto di questi interventi sono beni mobili e immobili che presentano un alto stato di degrado, per cui risulta difficile o impossibile intervenire attraverso il restauro tradizionale. Infatti, il restauro fisico di un’opera è logicamente legato a doppio filo alla natura materica dell’oggetto, che viene inesorabilmente e inevitabilmente alterata. L’intervento deve seguire quattro criteri fondamentali: deve essere riconoscibile dall’originale, non deve procurare danno all’oggetto ma essere compatibile con i materiali originali, deve essere reversibile e infine deve rispettare il principio del “minimo intervento”, ovvero la necessità di circoscrivere il più possibile le azioni di modifica del bene. Realizzare un intervento che rispetti tutti questi principi non è facile, ma l’elaborazione virtuale permette di simulare azioni che non sarebbe possibile effettuare sull’originale, senza alcun vincolo legato alla materialità dell’opera.

L’elaborazione può avvenire sull’immagine bidimensionale del bene, ottenuta con fotocamera o scanner a seconda del tipo di oggetto da acquisire e del tipo di immagine che si vuole ottenere, oppure sull’immagine tridimensionale, ricavata attraverso la scansione laser dell’oggetto stesso, o ancora attraverso la fotomodellazione, con cui il modello 3D viene creato a partire da una serie di fotografie del bene parzialmente sovrapponibili.  La modalità di intervento digitale più comune è sicuramente quella che utilizza immagini 2D, in quanto permette sia di intervenire su un gran numero di tipologie di beni culturali, sia per i ridotti costi che comporta. Tuttavia, negli ultimi anni la modellazione 3D si è diffusa enormemente, grazie alla crescente accessibilità della strumentazione necessaria ad acquisire il modello dell’oggetto da restaurare e all’avanzamento delle tecniche di manipolazione, che permettono di creare immagini molto realistiche e verosimili.

Il restauro virtuale può essere applicato sia alle opere molto danneggiate che a quelle interessate da piccoli fenomeni di degrado, così come alle opere che necessitano di indagini accurate, come una tela di cui si cerchi il disegno preparatorio o un manoscritto palinsesto, per ottenerne migliore conoscenza e leggibilità (si rimanda al progetto Rinascimento Virtuale” della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze).

Oltre alla pianificazione attenta di tutte le fasi del lavoro, è necessario effettuare un accurato studio filologico del bene, del periodo storico cui appartiene, delle tecniche e della poetica dell’artista, in modo che ogni intervento, seppur digitale, sia coerente con l’opera e con i suoi significati, e che ogni ipotesi sia sostenuta da fonti valide. Il cuore del restauro è ovviamente la successiva elaborazione dell’immagine, effettuata da personale esperto sia di restauro che di utilizzo degli strumenti informatici scelti. Il processo è del tutto simile a quello condotto per il restauro fisico: si parte dalla “eliminazione” di eventuali disturbi del file come polvere e grana, passando poi alla pulitura dell’opera da patine, macchie, infiltrazioni, per approdare alla totale o parziale ricostruzione iconografica.

Nel campo dei beni culturali, l’elaborazione 3D dell’oggetto si sta rivelando particolarmente utile, perché permette di rendere ogni dettaglio della superficie in maniera fedele, compiendo un salto di qualità informativa rispetto alle immagini bidimensionali; questa tecnologia viene usata non solo nel caso di oggetti che tipicamente necessitano di una resa 3D per essere documentati correttamente, come edifici storici, resti archeologici o statue, ma anche per restituire tridimensionalità a tele, tavole, disegni e mosaici, che necessariamente si perde nella riproduzione 2D. L’immagine tridimensionale si presta inoltre a esperienze di multimedialità a tutto tondo: è infatti possibile realizzare sistemi di interazione tra l’utente e l’oggetto virtuale, facilitando quindi la trasmissione delle informazioni culturali e artistiche relative al bene grazie all’intuitività e alla familiarità con la tecnologia tipica delle nuove generazioni. La ricostruzione tridimensionale di oggetti ed edifici, ma anche di interi ambienti, viene infatti utilizzata sempre più spesso per ricreare virtualmente ciò che oggi è irrimediabilmente perduto o talmente degradato da non essere più leggibile, sia a scopo di studio che a scopo didattico: la realtà virtuale infatti ha un potere di coinvolgimento molto più forte di un semplice pannello esplicativo bidimensionale, e può quindi avvicinare il grande pubblico a temi finora considerati solo per esperti del settore (si rimanda al MAV – Museo Archeologico Virtuale).

I vantaggi dell’utilizzo delle tecniche di Image Processing sono molteplici: il primo e più evidente è il fatto di lavorare su una copia digitale dell’opera e non sull’opera stessa, eliminando quindi il rischio di procurare danni all’originale, e in quanto tale è possibile modificarla anche radicalmente, purché sulle basi di un’analisi filologica; sull’immagine digitale possono essere eseguite diverse tipologie di interventi, anche modificabili o eliminabili a posteriori; l’elaborazione digitale permette di visualizzare i risultati di interventi di restauro tradizionale, come l’utilizzo di solventi per la pulitura. Grazie a queste possibilità, il restauro virtuale non si pone in antagonismo con il restauro tradizionale, ma può andare a supporto del restauratore, in quanto strumento importante per l’elaborazione di un’ipotesi di intervento fisico; inoltre, è d’aiuto agli operatori affinché si scelga la migliore alternativa possibile, da effettuare eventualmente sull’opera originale. Rispetto al restauro tradizionale, il restauro digitale può certamente soddisfare contemporaneamente tutti e quattro i principi già citati: è reversibile, in quanto ogni azione può essere cancellata; è riconoscibile, in quanto si può illustrare dettagliatamente ogni fase del lavoro e quindi documentare ogni fase dell’intervento; rispetta il principio del minimo intervento, senza intaccare la materia dell’opera. Non si pone il problema della compatibilità, in quanto si riferisce a eventuali danneggiamenti fisici dell’opera, che il restauro virtuale non comporta.

Un ulteriore vantaggio del restauro virtuale consiste nella ricostruzione di quelle parti perdute in rapporto a beni molto danneggiati, ad esempio archeologici, e nel ripristino delle condizioni più vicine possibili a quelle originarie anche quando si tratta di opere che hanno subito alterazioni, quali restauri invasivi e modifiche cromatiche: consente quindi di approfondire le indagini sul bene, migliorandone la leggibilità globale e rendendola fruibile anche al pubblico meno esperto. Il restauro virtuale non è solo uno strumento conservativo, ma anche un mezzo utile per lo studio, la valorizzazione e la comprensione del bene oggetto d’esame.

Il digitale non si costituisce, ovviamente, come risolutivo per tutti i problemi di conservazione che un bene culturale può presentare; vi sono infatti diverse criticità, legate soprattutto alla durata di conservazione dell’informazione in formato digitale, in quanto la rapidità con cui cambiano i supporti e i formati di archiviazione può rendere inutilizzabile e illeggibile un file nel giro di pochi anni. Tuttavia, è evidente che la tecnologia stia rivestendo un ruolo sempre più importante anche nelle discipline conservative; in alcuni casi estremi, il rilievo digitale rappresenta oggi l’unico metodo di conservazione. È il caso, emblematico, dei famosi Buddha di Bamiyan, distrutti completamente nel 2001 dai Talebani nell’ambito della guerra civile afghana: si tratta delle due colossali statue delle quali rimane solo la scansione laser e la ricostruzione 3D ottenuta dai ricercatori della Fondazione Bruno Kessler di Trento grazie all’elaborazione delle fotografie, a testimonianza del loro grande valore storico e culturale.

Le potenzialità della realtà virtuale applicata ai beni culturali non sono ancora state del tutto esplorate; gli strumenti multimediali a disposizione per la tutela e la valorizzazione, infatti, sono in costante aumento e perfezionamento, e richiedono a operatori e pubblico di essere attivi, parti di un dialogo in crescita, e continuamente partecipativi. Essendo questo campo in continua evoluzione, gli enti e i professionisti che si occupano di conservazione devono mantenersi in costante aggiornamento per poter sfruttare al meglio gli strumenti che la tecnologia offre.

Bibliografia essenziale:

D. Bennardi , R. Furferi, Il restauro virtuale tra ideologia e metodologia, Firenze 2007.

C. Brandi, Teoria del restauro, Einaudi 1977.

V. Cappellini, La realtà virtuale per i beni culturali, Bologna 2000.

A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano 1988.

S. Dellepiane, Elaborazione di immagini digitali, ECIG, 2004.

M. Limoncelli, Il restauro virtuale in archeologia, Roma 2012.

G. Maino (a cura di), Antichi marmi e nuove tecnologie, Torino, 2007.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Alessandra De Masi

Scritto in data: 11 giugno 2021

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Il presente articolo è un estratto della tesi “Metodologie e strumenti innovativi per la catalogazione e la salvaguardia delle opere d’arte” (28.03.2014) discussa dalla dott.ssa Alessandra De Masi nell’ambito del corso di laurea magistrale in Arti Visive, Università Alma Mater Studiorum di Bologna (relatore: G. Maino).

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About Alessandra De Masi 3 Articles
Storica dell’arte, PhD student in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Bologna – Campus di Ravenna