L’essenza della culturalità vista nei Centri Storici

Roma da Trinità dei Monti (foto di Cristina Cumbo)

Eccoci davanti ad un nuovo anno che ci attende con tutta la nostra speranza.

Il blog proseguirà con passione nella sua opera di divulgazione senza mai rinunciare alla rigorosità di contenuti e con l’idea di essere un punto di riferimento per quanti vogliano soddisfare la loro semplice curiosità.

In questo primo mese dell’anno parleremo di cosa possa intendersi per bene culturale oltre il significato che gli viene attribuito dal senso comune. Mostreremo come anche l’opera di interpretazione della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato abbia concepito un significato che, sebbene diverso dalla normale definizione, si è tuttavia conformato alle disposizioni e alla ratio del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

È utile cominciare da una domanda: una piazza del centro storico può essere considerata bene culturale? E una via? Uno spazio urbano? Possono, in altri termini, a tali beni applicarsi le disposizioni di tutela previste dal Codice?

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, come sappiamo, definisce e individua in modo chiaro e specifico i beni culturali. Le norme cui bisogna fare riferimento sono l’art. 2 e l’art. 10.

L’art. 2, comma 2°, dispone che: «Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».

Dunque, presupposto perché una cosa mobile o immobile possa avere il requisito della culturalità occorre che abbia almeno uno dei requisiti richiesti dalla norma: un interesse storico (i resti di un aereo della Seconda guerra mondiale); artistico (un’opera pittorica di un artista non più vivente o di testimonianza di un’epoca o movimento: “Impressionisti”); archeologico (un cratere attico); etnoantropologico (una macina del primo ‘800); archivistico (un documento dello Stato pre-unitario); bibliografico (un testo del ‘400).

La norma dice anche che sono beni culturali tutte le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge.

L’individuazione dalla legge delle cose culturali ci riconduce direttamente all’art. 10 del Codice a cui ora faremo cenno; mentre in base alla legge significa attribuire alle cose la qualità culturale attraverso i due procedimenti previsti agli artt. 12 e 13 del Codice di cui ora anche parleremo.

L’art. 10, ai commi 1° e 3°, individua i beni culturali pubblici e privati, disponendo per questi ultimi che sia intervenuta la «dichiarazione di interesse culturale», ai sensi dell’art. 13 del Codice, perché essi possano considerarsi beni culturali.

Inoltre, e con particolare riguardo all’argomento che stiamo trattando, l’art. 10, comma 4°, let. g), dispone che sono beni culturali «le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico…».

Al riguardo è unanime l’orientamento della giurisprudenza sia della Corte di Cassazione sia del Consiglio di Stato in virtù del quale: «le pubbliche piazze, vie strade, e altri spazi urbani, laddove rientranti nell’ambito dei Centri storici, ai sensi del comma 1 e del comma 4, let. g), dell’art. 10 del D.Lgs.vo n. 42 del 2004, sono qualificabili come beni culturali indipendentemente dall’adozione di una dichiarazione di interesse storico-artistico ai sensi dell’art. 12 e 13 del Codice. Tali beni appartenenti a soggetti pubblici sono, quindi, da considerare beni culturali ope legis, rispetto ai quali trovano necessaria applicazione le norme di tutela … del Codice fino a quando non intervenga una espressa verifica di interesse in senso contrario ex art. 12» (Cass., III Sezione Penale, n. 31521 del 21 ottobre 2020 e conforme Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 5934 dell’1 dicembre 2014).

Occorre fare alcune precisazioni di carattere concreto. Il procedimento di verifica dell’interesse culturale previsto all’art. 12 del Codice, e del quale già parlammo in un precedente intervento, viene adottato in relazione a quei beni di proprietà pubblica che «presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico». Si tratta, in sostanza, di uno studio eseguito da tecnici, che prende in considerazione il valore storico-artistico del bene da esaminare e ne determina la sua culturalità.

Tuttavia, quando siamo in presenza di Piazze, vie, e contesti urbani del Centro Storico non occorre alcuna verifica perché tali beni possano considerarsi beni culturali perché sono già tali previsti dalla legge. Occorre, semmai, una verifica di senso contrario, che ne determini l’assenza di culturalità e nella prassi ciò accade assai raramente.

Ne consegue che se un privato cittadino, titolare di un esercizio pubblico che ha sede in un tale contesto, dovesse avere la necessità di eseguire lavori edili o di miglioramento, egli deve richiedere l’autorizzazione agli organi competenti: il Comune e, in particolare, alla Soprintendenza. Quest’ultima potrebbe negare l’autorizzazione in presenza di lavori che pregiudichino o mettano in pericolo l’interesse culturale del sito, arrecando quindi danni irreversibili.

In realtà bisogna aggiungere che, a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19, il Governo ha emanato il Decreto Legge 34 del 2020, poi convertito in legge, il quale all’art. 181 esonera i titolari di esercizi pubblici di procurarsi l’autorizzazione in caso di realizzazione di opere temporanee in contesti urbani del Centro Storico, finalizzate al distanziamento sociale nel rispetto delle disposizioni di prevenzione della diffusione della pandemia.

Si tratta, tuttavia, di norma emergenziale, quindi provvisoria e temporanea, valevole fino al 31 ottobre 2020 (si riferisce a lavori che avrebbero dovuto farsi entro tale data), che trova la propria ratio nella tutela di un diritto superiore, quello della salute, direttamente tutelato in Costituzione.

In conclusione, possiamo dire che il riconoscimento di bene culturale alle piazze, alle strade o comunque agli spazi urbani del Centro Storico, senza necessità che a ciò intervenga un provvedimento di verifica, trova la sua naturale ragione nel chiaro intento di conservazione e di tutela della nostra identità culturale.

Lo abbiamo detto spesso nei nostri interventi, e lo ripeteremo sempre: tutta la normativa in materia di tutela del patrimonio culturale e paesaggistico mira essenzialmente all’obiettivo di conservare la nostra memoria storica e di svelarci ciò che siamo stati anche quando non eravamo: le vie, le piazze, i contesti urbani del Centro Storico parlano di noi.

«La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole» (Italo Calvino, Le città invisibili).

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Foto di Cristina Cumbo, eccetto dove diversamente indicato. Ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autrice e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

Scritto in data: 22 gennaio 2021

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About Leonardo Miucci 48 Articles
Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa