Lo splendore delle gemme incise, tra autenticità e contraffazione

Non tutti sanno a cosa ci si riferisca quando si parla di glittica. Ebbene, ci riferiamo alla disciplina che ha come oggetto di studio le gemme incise. Ma di cosa si tratta esattamente?

Questi particolari e preziosi manufatti fanno parte della storia dell’uomo da secoli, rientrando tra i gioielli in possesso di persone di un certo rango. Probabilmente uno degli esempi più famosi in cui numerose gemme, cammei e anche un medaglione in sfoglia d’oro sono stati reimpiegati è la croce di Desiderio, conservata presso il Museo di Santa Giulia a Brescia.

Spesso delle gemme non se ne conosce la provenienza perché sono, da sempre, oggetto di collezione; anche il loro ritrovamento all’interno di un contesto di scavo non determina la provenienza vera e propria in quanto facenti parte di “tesoretti” già nell’antichità.

Le gemme possono essere vitree (riproduzioni in vetro antiche, distinte dalle paste vitree), oppure vere e proprie pietre dure – es. diaspro, calcedonio, zaffiro, corniola, ametista, etc. – lavorate, tagliate e opportunamente incise (o intagliate) dagli artigiani attraverso una punta rotante di varia misura, il cui segno si può individuare, in alcuni casi, attraverso l’utilizzo del microscopio sulla superficie delle pietre, mentre particolari dettagli possono essere definiti con la punta di diamante.

Eppure, anche questi preziosi reperti sono stati replicati o falsificati. Sono di certo numerose le copie di età moderna, momento in cui si riprendeva il gusto per l’antico, ma anche le contraffazioni. Com’è possibile individuarle? Si dovrà dire che il loro studio è molto complicato: bisogna possedere una grande conoscenza delle gemme, dei contesti di produzione e di ritrovamento più frequenti, delle collezioni museali, così come dell’iconografia e della lavorazione.

Diaspro inciso con scorpione, II-III secolo a.C., Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria (tratta da: https://artsupp.com/it/artisti/anonimo/gemma-romana-di-eta-imperiale-incisa-in-diaspro-raff-scorpione)

In qualche modo, i reperti liberi dall’incastonatura sono più semplici da analizzare sia con esame visivo, che attraverso mezzi scientifici. Delle gemme si può studiare la composizione e il conseguente trattamento.  Alcune di esse, infatti, appaiono trattate con specifiche sostanze che possono farle assomigliare ad altre pietre; sulla loro superficie, inoltre, è possibile notare altri dettagli, come minuscole fratture conseguenti ai repentini sbalzi di temperatura (riscaldamento/raffreddamento) cui erano sottoposte per far sì che il loro stesso colore si modificasse. Si trovano, talvolta, vetri artificiali lavorati in modo che assomigliassero a gemme specifiche, come il topazio di colore giallognolo.

Tuttavia, molti esemplari di imitazioni provengono da Pompei: già nell’antichità, dunque, si procedeva con lavorazioni di gemme, di materiali organici (ambra, corallo, perle) o di paste vitree. Plinio il vecchio ne parla nella sua Naturalis Historia, libro XXXVII, LXXVI, 13:

«Noi all’incontro insegneremo piuttosto a conoscere le false (poiché è bisogno ancora la morbidezza sia difesa contro l’inganno). Oltra i segni dunque, i quali abbiamo mostri di per sé in ogni sorte di gioia, dicono che le trasparenti si vogliono provare la mattina, o, a’egli è pur bisogno, fino a quattro or di giorno: dipoi non vogliono che si guardino altrimenti. La pruova si fa in più modi. Prima col peso, s’elle sono troppo gravi; poi si considera la materia. Perciocché alle gioie contraffatte si veggono certe bolle in profondo, e nella superficie sono ronchiose; ne’ peli non è fermezza di splendore; e la lucentezza manca prima che venga all’occhio. I gioielleri ricusano una eccellentissima esperienza, cioè che si pesti quello che si leva della gioia in piastre di ferro. Ricusano ancora la pruora della lima. I pezzi della obsidiana non scarificano le vere gioie: le contraffatte fuggono la scalfittura delle bianche. V’è tanta differenza, che alcune non si possono lavorare col ferro, alcune altre non si lavorano se non col ferro, che abbia rintuzzato il taglio; ma tutte si lavorano col diamante. Assaissimo giova in queste la forza de’ trapani. I fiumi, che producono gioie, sono l’Acesine e il Gange, ma l’India più che tutti gli altri paesi».

Al giorno d’oggi, per riconoscere la contraffazione, il gemmologo deve affidarsi sia ad esami iconografici e tecnico-stilistici – riferiti quindi alla rappresentazione incisa e al possibile contesto di produzione – sia alle analisi fisico/chimiche (spettrofotometria I.R., U.V. e VIS) per comprendere i trattamenti cui sono stati sottoposti questi preziosi reperti.

In epoca più recente, si può definire come più “incriminato” il secolo XVIII, momento in cui gli incisori imitano, o modificano gemme antiche (quindi effettuano alterazioni) aggiungendo firme di autori antichi. Ancora oggi alcune gemme di questo tipo sono credute appartenenti all’antichità, cosa che è parzialmente vera e parzialmente falsa: il supporto, infatti, può essere antico, ma l’incisione invece moderna (o in parte antica e in parte moderna).

Tra i centri di produzione di gemme nell’antichità ricordiamo, invece, sicuramente Aquileia, Alessandria d’Egitto, Roma, Pompei ed Ercolano dove erano anche case botteghe di gemmarii, la Britannia, le Gallie dopo la conquista romana, la Siria, la Palestina e l’Asia Minore anche per le gemme a tema cristiano.

Quello della glittica è certamente un mondo affascinante, composto di splendore, gioielli e collezionismo che collega il mondo antico con le più grandi corti reali europee, fino ai musei internazionali dei giorni nostri; un mondo, questo, anche e soprattutto complesso, in cui autenticità, contraffazione e alterazione si fondono fino a diventare, a volte, difficilmente distinguibili.

Bibliografia essenziale:

E. Butini, F. Butini, Archeogemmologia: tecniche, imitazioni e sofisticazioni nel mondo antico, in M. Cavallini, E. G. Gigante (a cura di), De Re Metallica: dalla produzione antica alla copia moderna, Roma 2007, pp. 249-267.

G. Tassinari, La produzione glittica a Roma: la questione delle officine nel mondo romano in epoca imperiale, in Rivista di Studi Liguri, LXXIV (2008), pp. 251-317.

G. Tassinari, Per una storia della glittica “di propaganda”: alcune riflessioni. II – Il post-antico, in Engramma, 170, dicembre 2019: http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=3720

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Cristina Cumbo

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Foto di copertina: Cameo raffigurante il re sasanide Sapore I che cattura l’imperatore romano Valeriano (BnF Museum, CC BY 2.5 https://creativecommons.org/licenses/by/2.5, via Wikimedia Commons)

Scritto in data: 9 gennaio 2022

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Pubblicato da Cristina Cumbo

Archeologa e ricercatrice; Dottore di ricerca in Archeologia Cristiana; amministratrice, fondatrice e responsabile del blog #LaTPC, nonché della pagina Facebook "La Tutela del Patrimonio Culturale". Ha frequentato il primo corso di perfezionamento in tutela del patrimonio culturale in collaborazione con il Comando Carabinieri TPC presso l'Università di Roma Tre (2013) e il Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” attivo presso il medesimo ateneo (2019). Dal mese di gennaio 2022 al marzo 2024 ha collaborato con l'Institutum Carmelitanum di Roma conducendo ricerche su alcune chiese Carmelitane demolite e ricostruendone la storia. Attualmente è assegnista di ricerca presso l'ISPC - CNR, dove si occupa di analizzare storicamente il fenomeno del vandalismo sul patrimonio naturale e culturale in Italia per la redazione di linee guida funzionali alla mitigazione del rischio.