Pietro Toesca: uno storico dell’arte all’avanguardia

Ritratto fotografico di Pietro Toesca (Sconosciuto, Public Domain, via Wikipedia.org)

Pietro Toesca (Pietra Ligure 12.07.1877 – Roma 09.03.1962) è stato uno dei maggiori storici dell’arte italiani. La sua vastissima attività lo vide impegnato anche in numerosi altri settori, diretto anche verso la tutela del patrimonio culturale. Spesso, le sue teorie si sono rivelate ante litteram rispetto ai tempi in cui furono pensate, soprattutto in merito al tema del restauro, se si considera che alcuni fondamentali principi, che faranno scuola poi, ancora non esistevano.

Dopo averne tracciato una breve biografia, si riporterà parte della relazione che lo storico dell’arte redasse in occasione di un sopralluogo, avvenuto nel 1928, all’interno della Basilica romanica di Sant’Angelo in Formis a Santa Maria Capua Vetere (CE), dando una dimostrazione del suo avanguardistico pensiero di studioso.

Compiuti gli studi letterari all’Università di Torino con una tesi sulla trattatistica d’arte tra il Trecento ed il Cinquecento (1898) e quelli di perfezionamento in Storia dell’Arte presso l’Università di Roma (1900-1902) con Adolfo Venturi, nello stesso Ateneo ricoprì il ruolo di libero docente di Storia dell’Arte Medioevale e Moderna (1904) e, dal 1905 al 1906, quello di ispettore incaricato nella Pinacoteca di Brera; nello stesso periodo, insegnò all’Accademia scientifico-letteraria di Milano.

Sfumata la possibilità di andare a lavorare presso la Soprintendenza veronese, tornò a Torino e dal 1907 sino al 1914 fu docente di Storia dell’Arte Medioevale e Moderna all’Università; tra i suoi allievi, si ricordano figure del calibro di Roberto Longhi e di Antonio Gramsci.

Dal 1914 al 1926 fu chiamato a ricoprire la cattedra di Storia dell’Arte presso l’Università di Firenze. Di questi anni, si vuole qui ricordare il suo arrivo a Corneto Tarquinia: lì per caso, in visita alla chiesa di Santa Maria in Valverde, fece una scoperta fortuita, unica, e cioè il ritrovamento della tavola della Madonna di Tarquinia del celebre pittore Filippo Lippi: luce viva e temperata in contrasto alle ombre dense, colorito «che ha note squillanti e nell’incarnato una finezza perlacea» sono alcune delle caratteristiche che Pietro Toesca, preso dall’entusiasmo del momento, riuscì ad attribuire alla tavola.

A partire dal 1919, fu chiamato in qualità di consigliere della Giunta del Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti, lavorandovi, dopo una breve interruzione, per dieci anni. Era qui che approdavano le questioni più spinose, «quali ad esempio i ricorsi dei privati contro le decisioni dello Stato in materia di vincoli, esportazioni e restauri». Negli anni in cui Toesca entrò nella Giunta, furono prese infatti numerose ed importanti decisioni in merito alla salvaguardia e alla tutela del nostro patrimonio culturale: si decise di autorizzare importanti cantieri di restauro come l’Andrea Mantegna nella chiesa degli Eremitani a Padova, o il Piero della Francesca nella Basilica di San Francesco ad Arezzo; in particolare, tra i casi più interessanti, si ricorda quello relativo alla rimozione della figura di una Santa Caterina cinquecentesca dall’affresco quattrocentesco raffigurante la Madonna in trono col Bambino e angeli di Gentile da Fabriano, sito nel Duomo di Orvieto: era il gennaio del 1928 e Pietro Toesca venne invitato dai colleghi della Giunta a vigilare poiché si temeva che il trono – su cui era assisa la Vergine – potesse venire ridipinto dal restauratore.

Oppure, si vuol menzionare l’episodio del Crocifisso di Giotto a Padova sul quale si decise di non intervenire, poiché la Giunta, dando prova di estrema cautela verso l’opera d’arte, col fine di evitarne inutili ripristini spesso dannosi, così si espresse: «le scrostature della parte anteriore della tavola non si sono più estese da molti anni […] e non c’è segno di altri prossimi sollevamenti di colore», pensando di limitarsi a «togliere le macchie bianche da cui è offeso l’effetto generale dell’opera», «con una semplice leggera tinta locale, che non intenda di accompagnare il modellato originale».

Dunque, si può constatare che, in tema di restauro, la Giunta del Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti avesse adottato una posizione unica al tempo, che fu quella della cautela, autorizzando quindi interventi che evitassero, altrimenti, per la loro incisività, danni all’opera.

Un’altra questione affrontata fu quella della tutela del paesaggio: si ricorda un viaggio che Toesca fece a Genova per preservare la veduta del centro storico della città, minacciata infatti dalla costruzione di un palazzo; egli si espresse totalmente a favore della tutela del posto, invitando a limitare l’altezza degli edifici da costruire, cosa che poi avvenne con la progettazione di palazzi “a gradoni”.

Genova, panorama da Spianata Castelletto (Bbruno, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)

In tema invece di esportazioni illecite, si sa che Toesca negò al conte Giovanni Visconti di Modrone il nullaosta per l’alienazione dell’Uffiziolo di Gian Galezzo Visconti ed alcune carte da tarocchi di sua proprietà, evitando quindi che un acquirente estero potesse, così, sottrarre quei beni all’Italia; oppure, nel caso del polittico di Lorenzo Lotto della chiesa di San Domenico a Recanati, lo storico dell’arte si oppose all’indicazione della stessa Giunta che, a fronte della mancanza di sussidi per il restauro del duomo, aveva suggerito di acquistare l’opera per le Gallerie di Urbino. Il polittico, quindi, non venne mai spostato dalla sua sede originaria.

A partire dal 1926, Toesca iniziò a insegnare Storia dell’Arte Medioevale all’Università di Roma e, dopo la morte del maestro Adolfo Venturi (1931), Storia dell’Arte del Rinascimento e Moderna sino al 1952.

Quando il mondo fu inghiottito dalla Seconda Guerra Mondiale, egli entrò a far parte della Commissione ministeriale per la salvaguardia e la messa in sicurezza dei tesori d’arte del Paese: il suo lavoro avrebbe dovuto consistere nella registrazione delle opere della Toscana e del Nord Italia, minacciate dall’esercito tedesco e dai bombardamenti degli Alleati, da trasferire successivamente in Vaticano, ma purtroppo non riuscì mai ad occuparsene.

Gli stessi anni romani lo impegneranno anche presso l’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte (dal 1944 al 1952), dove svolse il ruolo di presidente, all’Istituto Centrale per il Restauro come membro del Consiglio Tecnico in numerose commissioni ministeriali e, a partire dal 1946, all’Accademia dei Lincei come socio.

A ottantacinque anni, mentre stava attendendo alla stesura di un libro sul Rinascimento, Pietro Toesca morì nella sua casa romana il 9 marzo del 1962. Geza De Francovich, in occasione della morte del maestro, gli rivolse quest’ultimo pensiero: «Schivo di ogni forma esteriore di pubblicità, il Toesca, dedito con ammirevole tenacia e costanza al suo lavoro di ricerca, ci ha dato un luminoso esempio di indefessa operosità scientifica».

Pietro Toesca pubblicò la sua prima opera a venticinque anni: è infatti il 1902 quando viene dato alle stampe il saggio sugli affreschi della cattedrale di Anagni, testo fondamentale per la storia dell’arte medievale; il 1960 è l’anno invece della sua ultima opera, dedicata alle pitture e alle sculture del Battistero di Parma.

In quasi sessant’anni, Toesca si è dimostrato uno storico dell’arte poliedrico, capace di parlare nei suoi studi di arti maggiori e minori, di Medioevo e di Rinascimento; in particolare, la disamina di tutte le sue opere ha rilevato una importante conoscenza delle tecniche artistiche e del restauro, che emerge ad evidenza nella relazione che realizzò sugli affreschi di Sant’Angelo in Formis, una Basilica benedettina ubicata nell’omonimo borgo a pochi chilometri da Santa Maria Capua Vetere (CE), che proprio in quegli anni veniva sottoposta ad una serie di interventi che ne coinvolsero tanto la struttura, quanto la decorazione degli interni.

Nella primavera del 1928, quindi, quasi a lavori terminati, Pietro Toesca venne sollecitato dal Ministro della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, Francesco Pellati, a redigere un resoconto sull’intervento; probabilmente, la pulitura degli affreschi era stata considerata troppo energica ed era necessario un autorevole giudizio.

Santa Maria Capua Vetere (Ce), Basilica di Sant’Angelo in Formis, interno, navata centrale (foto dell’Autrice)

Si riportano alcune frasi della relazione: «Ho esaminato i lavori di restauro, ora in corso, a S. Angelo in Formis presso Capua. La ricostruzione del tetto e del soffitto sulla navata maggiore della chiesa è riuscita in tutto soddisfacente, e ha portato a scoprire il fregio superiore della decorazione pittorica con una parte di questa che ancora era ricoperta di calce. (…) Gli affreschi di S. Angelo mi erano sempre sembrati quasi immuni da restauri: e in questa opinione mi sono riconfermato osservandoli da vicino, dall’alto dei ponti (…). Le pitture di S. Angelo sono tutt’altro che “a buon fresco”: esse furono eseguite a vero fresco soltanto in parte, e forse nelle grandi masse. Quasi tutte le tinte vi sono assai poco incorporate alla calce: molte di esse sono sovrapposte all’intonaco già dipinto, e presentano un debole grado di coesione, variabile di palmo in palmo a seconda della forza della tempera oppure a seconda della diversa umidità che aveva la parete quando vi furono applicate. Per esempio, l’oltremare degli sfondi aderisce soltanto in minima parte all’intonaco: e quando venga sottoposta a lavatura, scompare quasi tutto lasciando sulla superficie del muro soltanto una leggiera velatura azzurra, in cui si distinguono anche i tratti del pennello. (…) Nei visi, le carni sono ordinariamente a buon fresco, e perciò resistono al lavaggio; ma nelle vesti e nei cartelli iscritti, e negli ornati, soltanto le tinte di fondo hanno la qualità dell’affresco mentre le altre (cioè le mezzetinte, le lumeggiature, le iscrizioni) presentano un’aderenza assai inferiore all’intonaco, e una dopo l’altra spariscono quando si insista nel lavare il dipinto. È errore credere che quanto non resiste ad una lavatura, sia pur cauta, debba giudicarsi opera di restauro ed essere asportato. (…) Gli affreschi lavati sembrano avere acquistato nuova vivacità di colore: in realtà, dopo essere stati liberati dal velo di polvere che li copre leggermente, se la lavatura sia stata appena più prolungata del necessario essi hanno perduto tutte le parti più superficiali, e più delicate, a cominciare dalle iscrizioni e dagli ornati; qualora si insistesse nel lavarli, sarebbero ridotti alle tinte di fondo ed alle masse generali, con irreparabile danno».

Quindi, Pietro Toesca ebbe modo di constatare la delicatezza con cui le pitture santangiolesi fossero state eseguite, cioè prevalentemente “a secco” e, dunque, con una tecnica molto più fragile rispetto a quella “ad affresco”. Purtroppo, la già avviata – e quasi terminata – pulitura aveva causato la perdita definitiva di molti dettagli ma, dal momento in cui alcune zone pittoriche non furono toccate da quel dannoso restauro – condotto in una fase storica in cui non erano state ancora gettate le basi di questa disciplina – si può credere che ciò sia dipeso dalle sollecitazioni di questo vigile storico dell’arte.

Bibliografia essenziale:

  • G. Bertelli, P. Bertelli, Pietro Toesca, cenni biografici, in E. Parlato (a cura di), Altro Rinascimento, Milano 2017, pp. 112-116.
  • R. Longhi, Omaggio a Pietro Toesca, in Proporzioni, III, (1950), pp. V-IX.
  • A. Melograni, Pietro Toesca e il Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti (1919-1928): discussioni che posero le basi per la tutela del patrimonio artistico italiano e la legge del 1939, in Bollettino d’arte, s. VII, XXXV-XXXVI, (luglio-dicembre 2017), pp. 291-316.
  • S. Rinaldi, Storia tecnica dell’arte. Materiali e metodi della pittura e della scultura (secc. V-XIX), Roma 2011.
  • L. Speciale, Dall’alto dei ponti. Toesca in Sant’Angelo in Formis, in F. Abbate (a cura di), Ottant’anni di un Maestro: omaggio a Ferdinando Bologna, Napoli 2006, pp. 49-57.
  • P. Toesca, Una tavola di Filippo Lippi, in Bollettino d’arte, XI, (1917), pp. 105-110.
  • J. Wettstein, Sant’Angelo in Formis et la peinture médiévale en Campanie, Genève 1960.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

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Scritto in data: 17 febbraio 2021

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Storica dell’arte. Ha frequentato il corso di Master annuale di II Livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale”, organizzato dal Dipartimento di Studi Umanistici presso l’Università degli Studi di "Roma Tre", e ha conseguito il diploma di Specializzazione in Biblioteconomia presso la Scuola Vaticana.