Raccontando un volto scomparso della Capitale: sulle tracce del ghetto di Roma

Nell’articolo di oggi torniamo a parlare di un’area del centro di Roma non più visibile, ma di cui la maggior parte dei romani – e non soltanto loro – avrà sentito parlare almeno una volta. Sono molte le storie sulla città di Roma, così come ancora sono presenti segni e tradizioni che fanno rivivere quel passato mai dimenticato, ancora vivo tra rovine e palazzi moderni. Andiamo, perciò, ad esaminare la storia del ghetto di Roma.

Ci troviamo non troppo distanti dall’isola Tiberina. Risalendo il Lungotevere de’ Cenci, veniamo colpiti dal grande edificio della Nuova Sinagoga, o Tempio Maggiore, con la sua cupola dalla forma smussata, diversa da tutte quelle delle chiese cristiane. Proseguendo, alla nostra destra ci affacciamo, incuriositi, sull’aerea archeologica del Teatro di Marcello, per poi essere subito rapiti dalle rovine del Portico d’Ottavia.

Il Portico d’Ottavia (foto di Marco Abbatiello)

La pace e lo stupore della contemplazione vengono però presto distratte dal via vai dei turisti su Via del Portico d’Ottavia, alla nostra sinistra, dove si allineano bar, forni e ristoranti che rimandano alla cucina giudaico-romanesca.

Crediamo però che queste rapide coordinate geografiche siano forse limitanti ed in parte fuorvianti dal momento in cui non chiariscono certo, se non in minima parte, l’aspetto originario di quello che fu il ghetto romano.

Corre l’anno 1555: papa Paolo IV Carafa emana la bolla Cum nimis absurdum con la quale ordina la costruzione di un ghetto, all’interno di un preesistente quartiere medievale, dove già erano molti gli ebrei che vi abitavano; tutt’attorno fa innalzare un muro, inserendo degli ingressi attraversabili in specifiche ore del giorno. In poche parole, a partire da quel momento alla comunità ebraica viene imposto di condurre la propria vita in quelli che saranno non oltre tre ettari di quartiere. Infatti, il ghetto ebraico si estendeva in lunghezza dall’attuale Piazza delle Cinque Scole fino a Ponte Fabricio, mentre in larghezza dal Tevere al Portico d’Ottavia.

Si è posto in evidenza il perimetro del ghetto prima della sua demolizione avvenuta alla fine dell’Ottocento (foto tratta da Google Maps)

A ridosso di quest’ultimo, in direzione dell’attuale Piazza Mattei, si era già fuori dal ghetto: qui correva Via di Pescheria, così chiamata per la presenza del mercato del pesce e che oggi è Via del Portico d’Ottavia. Contro uno dei muri del monumentale rudere, è ancora collocata una curiosa targa in cui si legge che ai Conservatori della città era riservato il privilegio di ricevere le teste dei pesci di una determinata lunghezza.

L’ingresso principale si trovava in quella che un tempo era Piazza Giudìa – e che oggi è la parte bassa di Piazza Costaguti – dove sorgeva la fontana di Giacomo Della Porta poi spostata nella vicinissima Piazza delle Cinque Scole; a ricordo di questa presenza, pochi anni fa è stato tracciato il profilo della sua base a terra.

Le frecce indicano le due posizioni della fontana di Giacomo della Porta: quella di colore rosso indica l’originaria sede nella ex Piazza Giudìa; quella in blu, invece, l’attuale posizione in Piazza delle Cinque Scole (foto tratta da Google Maps)
Fontana di Piazza delle Cinque Scole (foto di Cristina Cumbo)

Varcata l’entrata, ci saremmo subito trovati nella principale via del ghetto, ovvero Via Rua, oggi non più esistente ma sulla quale si affacciavano decine di case e di botteghe. Raggiunti i cinquemila abitanti, per sovvenire al problema del sovraffollamento, papa Leone XIII nel 1825 fece aggiungere al perimetro di cui sopra una piccola appendice, Via Reginella, l’unica strada che, con le demolizioni che seguirono di lì a breve e di cui parleremo più avanti, ricalca ancora l’urbanistica del ghetto. Perciò, in questa area così piccola della città, bisogna immaginare una “foresta” di case, piuttosto sviluppate in altezza affinché tutti gli abitanti potessero trovarvi spazio. Inoltre, come in ogni quartiere, esisteva la parte “dei benestanti” che era quella di Via Rua e la più popolare che era a ridosso del Tevere dove i piani più bassi venivano sommersi dall’acqua durante le alluvioni; si dice, a tal proposito, che durante questi drammatici episodi gli abitanti fuggissero dai loro appartamenti salendo sui tetti, a loro volta comunicanti attraverso precari pontili di legno. Non a caso, un tempo quello che oggi è il Lungotevere de’ Cenci era Via della Fiumara, priva naturalmente dei muraglioni di contenimento che verranno costruiti soltanto alla fine dell’Ottocento.

Via della Fiumara durante un’alluvione in un acquerello della fine dell’Ottocento di Ettore Roesler Franz. Le case visibili sono quelle del ghetto (Ettore Roesler Franz, Public domain, Wikimedia Commons)

Accennando ad alcune caratteristiche degli abitanti del posto, sappiamo che nella bolla di papa Paolo IV erano state stabilite delle limitazioni da imporre ai cittadini ebrei; tra queste c’erano quelle riguardanti le attività lavorative che avrebbero dovuto ricoprire, quasi esclusivamente la vendita di stoffe usate, di stracci e la riparazione di oggetti. A tal proposito, settimanalmente in Piazza delle Cinque Scole si apriva il mercato con i banchi degli ebrei, che in seguito sarà trasferito nel noto ed attuale mercato di Campo de’ Fiori.

Accadde perciò che, a seguito del crollo dello Stato Pontificio e dei moti risorgimentali, nel 1885 ebbero inizio le prime demolizioni del ghetto; i lavori furono così celeri che, nell’anno a venire, già erano stati portati a compimento. Dunque, è in questo momento storico che il vero ed originario volto del quartiere, oggi un rione romano denominato Sant’Angelo, scomparve completamente. Poco dopo, al giugno del 1901, risale la messa in posa della prima pietra della Nuova Sinagoga, portata poi a termine nel 1904 dagli architetti Vincenzo Costa e Osvaldo Armanni.

La Sinagoga in uno scatto del 1906. Lo spazio antistante venne ricavato a seguito della demolizione del ghetto avvenuta qualche decennio prima (Sconosciuto, Public domain, da Wikimedia Commons)

Da quel momento, sarebbe diventata il Tempio Maggiore di Roma, a sostituzione delle cinque sinagoghe, o “scole”, che si affacciavano sull’omonima piazza, ovvero l’odierna Piazza delle Cinque Scole, demolite pochi decenni prima. La suddivisione in cinque lo si deve alla diversa provenienza delle componenti più numerose della comunità ebraica: c’erano infatti la Scola Catalana e quella Castigliana per gli ebrei di Spagna, la Scola Siciliana, la Scola Nova e la Scola Tempio per gli ebrei romani.

Infine, ricordiamo uno tra gli episodi a noi più vicini, nonostante siano oramai passati ottant’anni: il rastrellamento degli ebrei dal ghetto di Roma da parte delle SS, avvenuto il sabato del 16 ottobre del 1943.

In conclusione, ci piace sottolineare che, nonostante spesso ci sia un patrimonio culturale e del paesaggio non più visibile e tangibile ai giorni nostri, siamo convinti che lo studio, la ricerca ed anche la passione comune di noi cittadini possano contribuire enormemente alla sua ricostruzione. È per questo motivo che si tornerà in futuro su questi argomenti.

Bibliografia essenziale:

S. Caviglia, Guida inutile di Roma. Luoghi e storie dalla città di un tempo, Napoli 2020.

Touring Club Italiano, Guida d’Italia, Roma, Milano 2013.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 22 gennaio 2023

Per quel che riguarda le foto di Giulia Abbatiello, Marco Abbatiello e Cristina Cumbo, ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autrice e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

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Pubblicato da Giulia Abbatiello

Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.