Ricercando un dettaglio nell’opera d’arte: il Metodo Morelliano

Metodo morelliano (Giovanni Morelli, Public domain, via Wikimedia Commons)

Avete mai provato a disegnare, accorgendovi di riuscire a riprodurre un particolare ogni volta in modo uguale senza che voi riflettiate su quel che state facendo? Sembra quasi che sia un vostro “marchio di fabbrica” del tutto involontario, un automatismo. Ebbene, Giovanni Morelli nell’Ottocento si accorgeva di alcuni dettagli che avrebbero mutato il metodo di osservazione delle opere d’arte, fino a giungere a quella conosciuta oggi come connoisseurship, fondamentale oltretutto per l’attribuzione artistica.

Morelli, però, non nasce come storico dell’arte, bensì come uomo di scienza. Studiò medicina e venne in contatto con il mondo dell’arte solo a Milano, dove conobbe sia Alessandro Manzoni, che Giovanni Battista Cavalcaselle.

Oltre ad essere divenuto un collezionista, Morelli è noto per aver applicato i suoi ragionamenti scientifici all’arte, facendo confluire tutto questo in alcuni scritti pubblicati sotto lo pseudonimo di Ivan Lermolieff, anagramma del suo stesso nome.

Giovanni Morelli (Franz von Lenbach, Public domain, via Wikimedia Commons)

Ma cosa sosteneva nello specifico questo studioso? Egli riteneva che ogni pittore ripetesse in modo meccanico, o per meglio dire, automatico, alcuni motivi divenuti perciò ricorrenti e, a prima vista, del tutto insignificanti.

Analizzando una figura umana, per esempio, la forma del lobo dell’orecchio, oppure la conformazione delle dita sarebbe stata riprodotta dallo stesso artista nel medesimo modo, senza che quest’ultimo lo facesse intenzionalmente. Tali automatismi, percepibili nei dipinti, sarebbero stati definiti “motivi sigla” o “cifre morelliane” e avrebbero potuto, secondo Morelli, effettivamente aiutare nell’individuazione della mano di un artista. Allo stesso modo dei dettagli anatomici, anche pose, atteggiamenti, forma del viso e panneggi avrebbero potuto rivelare informazioni “celate” riguardanti lo stesso esecutore.

Lo storico dell’arte si sarebbe trasformato, quindi, in un detective, uno Sherlock Holmes che attraverso piccoli dettagli riesce a risalire all’origine delle opere, perciò anche all’autore.

Se per un verso il metodo morelliano certamente era riuscito a fare luce sullo studio delle produzioni artistiche analizzando, in un certo senso, la psiche dello stesso pittore riflessa nei dettagli – Freud nominerà Morelli nel suo saggio sul Mosè di Michelangelo –, dall’altro invece vi erano dei grossi limiti da considerare.

Morelli stesso sosteneva che il suo metodo fosse applicabile esclusivamente alle opere rinascimentali poiché, con le imitazioni di queste ultime da parte di artisti successivi, il margine di errore sarebbe drasticamente aumentato. 

Ne scrissero in molti tra cui Roberto Longhi, Federico Zeri e Carlo Ginzburg. Le critiche che seguirono furono numerose, anche per il fatto che il metodo morelliano fosse ormai considerato quasi infallibile riguardo le attribuzioni. Nonostante oggi si tenga certamente in considerazione, si ritiene tuttavia che la profonda conoscenza di un artista, del contesto in cui si formò e visse, dell’opera d’arte nella sua totalità possa fare la differenza, coadiuvata dagli immancabili e fondamentali documenti d’archivio.

Del resto, anche lo stesso Morelli sosteneva: «L’unico vero documento per l’attribuzione dell’opera d’arte deve alla fine essere l’opera stessa».

Bibliografia essenziale e consigliata:

– C. Camanzi, L’attribuzione. Storia di vari metodi, tra scienza e intuizione, in Artesplorando (20/07/016): https://www.artesplorando.it/2016/07/lattribuzione-storia-di-vari-metodi-tra-scienza-e-intuizione.html

– A. Carnevale, Giovanni Morelli, connoisseur pioneristico e controverso, in Conceptual Fine Arts (19/02/2020): https://www.conceptualfinearts.com/cfa/it/2020/02/18/giovanni-morelli-connoisseur-pionieristico-e-controverso/

– P. D’Angelo, Giovanni Morelli e l’estetica positivistica, in Aisthesis, 10/2 (2017), pp. 7-17.

– F. Giannini, Come si attribuisce un dipinto: Giovanni Morelli e i suoi “motivi sigla”, in Finestre sull’Arte (01/12/2015): https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/giovanni-morelli-attribuzioni-motivi-sigla

– C. Ginzburg (a cura di), Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Torino 1986, pp. 158-193.

– G. C. Sciolla, Appunti sulla fortuna del metodo morelliano e lo studio del disegno in Italia, ‘fin de siècle’, in Prospettiva, 33/36 (aprile 1983-gennaio 1984), pp. 385-389.

– Voce “Giovanni Morelli“, in Treccani online (https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-morelli/#:~:text=Applic%C3%B2%20alla%20critica%20d’arte,%22scientificamente%22%20l’identit%C3%A0)

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Cristina Cumbo

Scritto in data: 4 maggio 2021

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About Cristina Cumbo 115 Articles
Archeologa e ricercatrice; Dottore di ricerca in Archeologia Cristiana; amministratrice, fondatrice e responsabile del blog #LaTPC, nonché della pagina Facebook "La Tutela del Patrimonio Culturale". Ha frequentato il primo corso di perfezionamento in tutela del patrimonio culturale in collaborazione con il Comando Carabinieri TPC presso l'Università di Roma Tre (2013) e il Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” attivo presso il medesimo ateneo (2019). Dal mese di gennaio 2022 al marzo 2024 ha collaborato con l'Institutum Carmelitanum di Roma conducendo ricerche su alcune chiese Carmelitane demolite e ricostruendone la storia. Attualmente è assegnista di ricerca presso l'ISPC - CNR, dove si occupa di analizzare storicamente il fenomeno del vandalismo sul patrimonio naturale e culturale in Italia per la redazione di linee guida funzionali alla mitigazione del rischio.