Ricordo di una stagione: distruzioni, rifacimenti ed attentati negli edifici di Roma medioevale

Particolare del mosaico della facciata della basilica di San Paolo fuori le mura (Dietmar Rabich / Wikimedia Commons / “Rome (IT), Sankt Paul vor den Mauern -- 2013 -- 4057” / CC BY-SA 4.0)

In questo nuovo contributo, si cercherà di illustrare uno scenario piuttosto singolare che si verificò, tra l’Ottocento ed il secolo successivo, riguardo una serie di edifici romani d’età medievale. Nonostante sia accaduto quasi sempre lo stesso evento, ovvero la totale o parziale distruzione di un monumento o di una parte di esso cui seguì la relativa ricostruzione, la causa invece fu diversa, a seconda dei casi che andremo ora ad analizzare.

La storia e l’arte di un periodo, cui diamo il generico nome di Medioevo, si videro così in poco tempo trasformate nel ricordo di una stagione artistica, che ogni volta, tuttavia, sembra rinascere nei documenti e nelle immagini che ne preservano la memoria.

Roma, Basilica di San Paolo fuori le mura (foto tratta da wikipedia.org)

Il primo esempio che si intende portare è costituito dalla Basilica di San Paolo fuori le mura, santuario innalzato dall’imperatore Costantino il Grande in onore dell’apostolo delle Genti, trasformato poi in un’immensa chiesa a cinque navate alla fine del IV secolo d. C. Il luogo di erezione, lungo la Via Ostiense, fu scelto seguendo il criterio del sito in cui avvenne il martirio di San Paolo: come è noto, gli venne recisa la testa che, cadendo, rimbalzò tre volte, dalle quali sgorgarono tre fontane. Ecco, quindi, spiegata anche la fondazione di un altro polo importante legato alla memoria dell’apostolo, quella dell’Abbazia delle Tre Fontane, rara testimonianza architettonica, in Roma, dell’edilizia cistercense.

Ma torniamo alla nostra Basilica. Nella notte tra il 15 ed il 16 luglio del 1823, un fulmine si abbatté sul sacro edificio generando un grave incendio. Nonostante le distruzioni non abbiano coinvolto interamente la basilica, venne presa tuttavia la decisione di ricostruirla quasi per intero. Infatti, un’incisione dell’epoca mostra che ad essere stato maggiormente colpito fosse stato tutto il fianco sinistro dell’edificio, mentre il presbiterio – dall’arco trionfale fino al baldacchino di Arnolfo di Cambio ed abside inclusa – ed il fianco destro furono in realtà lievemente sfiorati dai danni.

Perciò, dopo averne deciso la ricostruzione, si meditò a lungo sulla seguente decisione: la basilica di San Paolo avrebbe dovuto essere eretta su pianta longitudinale – dunque a croce latina, come era sin dall’origine –, oppure, al contrario, sarebbe stato opportuno offrirle un invaso centrale, ovvero con i quattro bracci uguali, sulla tipologia degli edifici bizantini? La stessa querelle, pensandoci, era già sorta tre secoli prima, durante i lavori di ricostruzione di un’altra Basilica, quella di San Pietro in Vaticano: se in un primo momento, infatti, per l’edificio petrino era stato pensato l’impianto centrale quasi a conclusione dei lavori, Paolo V ordinò a Carlo Maderno di aggiungere tre cappelle su ciascun lato della Fabbrica, di realizzare l’attuale facciata e optò invece per la croce latina. Anche nel caso della basilica ostiense, questa fu la decisione definitiva.

Così i lavori iniziarono nel 1830 per terminare, con l’ultimazione del porticato, nel 1913. Ora però si vuole tornare all’incisione precedente. Poniamo l’attenzione sulla nave centrale, dove parte della sua parete di destra era scampata all’incendio: queste decorazioni, che riproducevano da una lato episodi veterotestamentari e, dall’altro, episodi della vita di Paolo, risalivano al V secolo d.C. ed erano, perciò, una delle più antiche testimonianze artistiche della Basilica. Ciononostante, nulla fu salvato. Sorte leggermente migliore toccò al magnifico arco trionfale, cosiddetto di Galla Placidia, visibile in foto. Si dice infatti che alla fine del VI secolo l’imperatrice ne commissionò la decorazione, ma non si ha alcuna certezza che la donna possa aver avuto un ruolo in quest’opera; alcuni studiosi, perciò, propendono per l’identificazione del committente con papa Leone Magno. Curiosamente, nonostante l’arco fosse quasi scampato al terribile incendio, si decise di ricostruirlo poiché si lamentavano problemi statici nella muratura; quindi, il mosaico venne staccato, riposto in locali interni alla Basilica e, vent’anni dopo, ricollocato in situ solo parzialmente. Il resto era stato infatti ricostruito in stile, pur risentendo del corrente gusto ottocentesco. E’ naturale domandarsi, perciò, che fine abbia fatto il resto della decorazione paleocristiana, se si fa eccezione per una testa, identificata in quella del santo Pietro, oggi visibile nelle Grotte Vaticane.

Roma, Basilica di San Paolo fuori le mura, interno, l’arco trionfale di Galla Placidia (foto di Mario Cerasari)

Di qualche decennio più antica è la Basilica di San Giovanni in Laterano, primo edificio di culto cristiano fondato, anche questa volta, dall’imperatore Costantino. Nonostante la chiesa avesse subito nel corso dei secoli importanti rifacimenti – tra cui, il più incisivo, fu certamente quello del Borromini nel Seicento –, si vantava di conservare quasi inalterato il mosaico absidale di Jacopo Torriti, risalente al pontificato di Niccolò IV (1288-1292). Si precisa che l’opera duecentesca non fu il primo intervento ad essere stato effettuato su questa zona dell’edificio, perché sappiamo che nel V secolo un’altra decorazione ornava l’abside; quando perciò Torriti fu chiamato dal papa, quella venne quasi totalmente rimossa. Perché quasi? Perché nel Duecento si parlava ancora di un’acheropita – ovverossia di un’immagine non dipinta da mano umana, dunque divina – raffigurante l’immagine di Cristo posta in alto e al centro del mosaico paleocristiano. Niccolò IV, a fronte della sacralità di quella porzione di mosaico, dette il preciso ordine di conservarla, perché fosse integrata della nuova decorazione.

Arriviamo perciò agli ultimi anni, quando tra il 1875 ed il 1886 l’abside lateranense fu sottoposta ad un radicale restauro di ampliamento. Prima che venisse abbattuta, fu liberata dei suoi 296 metri quadrati di mosaico. Lo scopo, naturalmente, sarebbe stato quello di ricollocare la decorazione, appena ultimata, nella nuova abside, ma misteriosamente andò completamente perduta. Il fatto appare davvero strano, se si considerano le accuratissime operazioni eseguite su tutta la superficie musiva che, prima di essere rimossa dalla muratura, venne “replicata” per mezzo di calchi in cartone dipinto; questo affinché, in un secondo momento, potesse tornare esattamente in situ. A fronte della perdita inestimabile del mosaico torritiano, seguì l’operazione di rifacimento in stile, prendendo come riferimento proprio i calchi che erano stati realizzati. Oggi, perciò, ammiriamo una decorazione tardo-ottocentesca, che di “antico” sembrerebbe conservare soltanto il fondo aureo. Per chi volesse ammirare la decorazione del Duecento, con l’immagine acheropita di Cristo al centro, potrà farlo attraverso uno scatto fotografico del 1870 che qui vi proponiamo.

Salutiamo ora l’Ottocento per introdurre altri due episodi di distruzioni/rifacimenti accaduti nel secolo seguente: quelli riguardanti la Basilica di San Lorenzo fuori le mura e la Chiesa di San Giorgio al Velabro. Questa volta la causa del loro stravolgimento fu comune, perché in ambo i casi si trattò di un’esplosione: l’attacco allo scalo merci di San Lorenzo nel luglio del 1943 per la prima, l’attacco terroristico del luglio del 1993 per la seconda. Cinquant’anni esatti.

Roma, San Lorenzo al Verano, mosaico (Lalupa, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)

La Basilica di San Lorenzo fuori le mura sorge sulla Via Tiburtina. Come già era stato per il santuario sulla Via Ostiense e per la Basilica di San Giovanni in Laterano, anche in questo caso ci troviamo davanti ad un edificio eretto durante l’impero costantiniano. Molto bella è la decorazione, di influsso orientale, dell’arco absidale, risalente al tempo di papa Pelagio II (579-590), dove sono rappresentati Cristo sul globo celeste al centro con San Pietro, San Lorenzo e papa Pelagio II alla sinistra dell’osservatore e San Paolo, Santo Stefano ed infine Sant’Ippolito sulla destra.

Sebbene non fosse stata incolume a modifiche nel tempo, la Basilica era giunta in tutta la sua bellezza di architettura medievale fino a quell’estate del 1943, quando quattromila bombe si abbatterono sul popoloso quartiere di San Lorenzo. Morirono 3.000 persone, i feriti furono 11.000. La Basilica, a sua volta, subì molti danni: tra questi, si segnalano quelli al portico esterno e al tetto dell’edificio. Ancora oggi, entrando in San Lorenzo, è possibile rivivere parte di quei disastrosi effetti se si osservano le colonne della navata centrale, sbeccate in più punti.

Roma, Basilica di San Lorenzo fuori le mura, esterno: l’aspetto odierno (Livioandronico2013, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons)

La Chiesa di San Giorgio al Velabro risale al VII secolo, edificata per volontà di Leone II (682-683) e dedicata al martire San Sebastiano. Quando il papa greco Zaccaria (741-752) riportò dall’Oriente il cranio di San Giorgio, depositandolo nella chiesa, essa mutò la sua intitolatura. Tra le bellezze artistiche ivi conservate, si segnala ad esempio l’affresco dell’abside, attribuito ora a Giotto ora a Cavallini, dove sono ritratti Cristo tra la Vergine, San Pietro ed i due santi cavalieri Giorgio e Sebastiano.

Roma, Chiesa di San Giorgio al Velabro, interno, abside (foto di Mario Cerasari)

Anche qui, diversi furono i rifacimenti, ultimo quello condotto dallo storico dell’arte Antonio Muñoz negli anni Venti nel Novecento, miranti a ristabilire l’aspetto primitivo della chiesa, un po’ come già era accaduto nella Santa Sabina all’Aventino. Si arriva perciò a quel luglio del 1993, precisamente alla notte del 27, quando un’auto riempita con 100 kg di esplosivo venne fatta saltare in aria. L’ordigno, che provocò la distruzione del portico esterno e danni alla struttura muraria, verrà poi attribuito a Cosa Nostra come gesto di eversione politica. In quelle stesse ore, la Mafia fece esplodere un’altra bomba nei pressi della Basilica di San Giovanni in Laterano, davanti agli uffici del Vicariato, ed un’altra ancora a Milano, vicino al Padiglione d’Arte Contemporanea. Tirando le somme, oltre a quanto sopra, nel capoluogo lombardo si contarono ben 5 vittime, mentre nella Capitale 22 feriti. Questi episodi, cui ne precedettero e seguirono degli altri, segnarono la triste stagione delle bombe che i mafiosi collocavano in luoghi simbolici per cercare di “indebolire” lo Stato e venire così a trattative nei processi di Mafia.

Si vuole pertanto chiudere questo breve intervento attraverso alcune parole che Antonio Cederna espresse su quegli eventi:

«Oggi che succede, di fronte a spettacoli come questi, non possiamo avere più i grandi sentimenti che avevano i viaggiatori dei secoli scorsi che, davanti ai monumenti in rovina, meditavano sulla caducità delle cose umane, sull’invidia del tempo e la varietà e la fortuna. Qui siamo di fronte, per la prima volta, davanti ad una deliberata esplosione, manovrata da criminali che non sappiamo, i quali colorando di sangue queste distruzioni, colpiscono gli emblemi della nostra identità culturale, della nostra memoria storica. Quindi, in sostanza, aveva ragione Goethe tutto sommato che, contemplando i monumenti, diceva che gli antichi costruivano per l’eternità. Tutto hanno previsto tranne la demenza dei devastatori […]».

San Giorgio al Velabro dopo l’attentato (indeciso42, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons)

Bibliografia essenziale:

Sitografia:

  • Video-intervista ad Antonio Cederna sull’attentato alla Chiesa di San Giorgio al Velabro (link).

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 15 giugno 2021

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Foto di copertina: Dietmar Rabich / Wikimedia Commons / “Rome (IT), Sankt Paul vor den Mauern — 2013 — 4057” / CC BY-SA 4.0

In relazione alla foto di Mario Cerasari, gentilmente concessa per la redazione dell’articolo, ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autore e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

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About Giulia Abbatiello 31 Articles
Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.