Roma e le sue metamorfosi: il caso di Via dell’Impero

Giuseppe Vasi, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

Torniamo a parlare di Roma e degli stravolgimenti a cui essa venne sottoposta nella storia a noi più recente. Nello scorso contributo, si è parlato del tempo in cui la città, da poco eletta Capitale d’Italia, iniziò a trasformarsi con l’arrivo della monarchia: strade più grandi, piazze solenni e monumenti a coronamento vennero a disporsi, come una nuova veste, sul corpo di una città ancora essenzialmente medievale.

Abbiamo quindi preso ad esempio le importanti trasformazioni che coinvolsero Piazza Venezia, cui seguì la costruzione dell’Altare della Patria – o, per rimanere a quei tempi, del Monumento a Vittorio Emanuele II –, per offrire al lettore l’idea di una nuova era cittadina di cui la fine dell’Ottocento segnò soltanto l’inizio. Infatti, in questo nuovo contributo continueremo ad illustrare questa storia ripartendo dagli anni Venti e Trenta del Novecento con l’esempio della realizzazione di Via dell’Impero, oggi nota come Via dei Fori Imperiali.

Come noto, in età moderna il Foro romano veniva spesso anche chiamato Campo vaccino perché lì si organizzava il mercato del bestiame e si facevano pascolare gli animali. Alla fine del Settecento, un viaggiatore colto come Charles Dupaty si esprimeva a tal riguardo:

«Sarebbe questo il Foro? Luogo un tempo pieno di templi, palazzi, archi di trionfo? Luogo che fu al centro di Roma e, quindi, centro del mondo? (…) Ora, dove Cicerone parlava, muggiscono le vacche! Questo luogo, già noto in tutto il mondo come Foro romano, oggi a Roma viene chiamato Campo vaccino: cioè campo delle vacche! (…)».

Soltanto a partire dall’inizio dell’Ottocento, con le prime norme in materia di tutela, papa Pio VII Chiaramonti iniziò a risollevare il Foro da quella situazione, eliminando il mercato di bestiame. Di lì a breve, una sensibilità del tutto nuova, che si concretizzò in una sistematica operazione di scavo, investì le rovine del Foro che si trovavano infatti ancora in gran parte sottoterra.

Tuttavia, negli anni Venti del Novecento quelle stesse antiche vestigia non erano venute completamente alla luce: la foto che vi mostriamo, scattata dopo l’anno dell’inaugurazione del Monumento alla Patria, dunque dopo il 1911, ci mostra una zona dei Fori quasi completamente nascosta dal quartiere “Alessandrino”, così chiamato perché a farlo costruire fu Michele Bonelli, nipote di papa Pio V, originario della provincia di Alessandria.

A partire dal 1924, durante l’epoca del “culto del littorio” in cui tornò forte il desiderio di emulare la Roma repubblicana ed imperiale, il quartiere iniziò ad essere abbattuto. La volontà di far riemergere i Fori venne accompagnata perciò anche dall’intenzione di creare un legame con quella storia, legame che prese forma in Via dell’Impero.

Il progetto iniziale della strada prevedeva che ad essere coinvolta dalle demolizioni fosse l’attuale zona che, dall’Altare della Patria, termina ad inizio di Via Cavour. Allora, ci domandiamo, come mai vediamo oggi una strada più lunga il doppio? La risposta sta nel fatto che a metà dell’odierna Via dei Fori Imperiali svettava a quel tempo un’altura, la collina Velia, su cui fioriva un giardino d’epoca rinascimentale noto come Villa Rivaldi. Infatti, nei disegni del primo progetto era stata disegnata una strada con un tracciato a gomito o, come veniva detto all’epoca, “a baionetta”. Che la collina non venisse rimossa dipendeva dal timore che, al di sotto, fossero presenti beni archeologici.

Tuttavia, la data dell’inaugurazione, prevista il 28 ottobre del 1932, giorno della commemorazione dei dieci anni della marcia su Roma, premeva sempre di più ed i dubbi sul da farsi permanevano. Che fare? Al tempo c’era chi, come l’archeologo Corrado Ricci, si schierò contro la distruzione della collina Velia e chi, come lo storico dell’arte Antonio Muñoz, decise di sposare posizioni meno caute credendo che sotto l’altura non ci fosse nulla di così rilevante. La storia andò così: l’allora governatore di Roma, Francesco Boncompagni Ludovisi, propose a Mussolini un secondo progetto che, anziché chiudersi “a baionetta”, avrebbe continuato il suo percorso congiungendo l’Altare della Patria al Colosseo. Il Capo del Governo acconsentì. Così, nel settembre del 1932, ad un solo mese dall’inaugurazione, la collina Velia venne sbancata. Da quel momento in poi, una strada “dritta come la spada di un legionario” prese forma con i suoi 900 metri di lunghezza e 30 di larghezza.

Vogliamo concludere il nostro breve intervento ricordando due dei progetti mancati che sarebbero dovuti seguire a quello di Via dell’Impero: la costruzione di una fila di portici, a destra e a sinistra, che avrebbero congiunto Piazza Venezia al Colosseo, e Palazzo Littorio, sede del partito fascista; quest’ultimo avrebbe dovuto prendere forma di fronte alla basilica di Massenzio ma, infine, la sua realizzazione avvenne da tutt’altra parte, accanto cioè al Foro Italico (ex Foro Mussolini) e che oggi è Palazzo della Farnesina, sede del Ministero degli Esteri.

Bibliografia essenziale:

S. Caviglia, Guida inutile di Roma. Luoghi e storie dalla città di un tempo, Napoli 2020.

La citazione utilizzata nel testo è stata tratta da C. Dupaty, Lettere sull’Italia, Ferrara 2016.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 10 novembre 2021

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About Giulia Abbatiello 31 Articles
Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.