Ugo Ojetti e la Grande Guerra: cronaca di bombardamenti e salvataggi delle opere d’arte

Ugo Ojetti (tratta da: https://www.interris.it/)

Si parla sempre tanto delle barbarie perpetrate durante la Seconda Guerra Mondiale nei confronti dell’arte e della bellezza italiane, eppure la Prima Guerra Mondiale vide distruzioni, bombardamenti e saccheggi forse meno narrati, ma altrettanto gravi.

Ugo Ojetti è uno dei protagonisti del periodo che ci accingiamo ad esaminare. Nato a Roma, si laureò in Legge, proseguendo a coltivare la passione verso la letteratura e, in particolare, verso il giornalismo nell’ambito del quale iniziò collaborazioni con vari quotidiani.

Allo scoppio della guerra, sostenendo l’entrata dell’Italia nelle azioni belliche, volle prendere attivamente parte al conflitto, partecipando prima a un corso di addestramento militare e arruolandosi poi nell’esercito con il grado di Sottotenente. Ojetti riceverà, a questo punto, incarico dal Governo di vigilare i monumenti di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige per la loro salvaguardia.

Proprio a questo momento della sua vita risalgono le testimonianze fotografiche (confluite nel fondo conservato presso l’archivio dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini di Venezia), le lettere alla moglie (presenti nel fondo donato alla Biblioteca nazionale di Firenze), la stampa propagandistica, la corrispondenza epistolare (nel fondo della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea) e, in generale, i suoi scritti derivati dall’esperienza diretta al fronte. Quando la guerra, ormai terminata, avrà lasciato dietro di sé quella triste scia di morte e macerie, Ojetti, devastato inoltre dalla malattia della figlia, deciderà di occuparsi, oltre che di giornalismo, anche di storia dell’arte, organizzando eventi e mostre.

Come si diceva, però, Ugo Ojetti è testimone oculare di quanto avvenne durante la Prima Guerra Mondiale, della distruzione eseguita con crudeltà dall’esercito nemico e dei tentativi di difesa dei monumenti e dei luoghi storici da parte della popolazione. Non è semplice lasciar andare via i capolavori con il timore che non tornino più a caratterizzare chiese, musei e gallerie; non è semplice nemmeno preparare sacchi di sabbia e avvolgere ciò che non può essere spostato, creando vere e proprie trincee di protezione intorno alle architetture secolari.

Si riportano, così, le parole di Ojetti:

«L’ira degli eserciti d’Austria contro i monumenti e le opere d’arte italiane non è cominciata nel 1915 con questa guerra quando i cannoni della flotta imperiale hanno colpito San Ciriaco d’Ancona e gl’idrovolanti hanno bombardato Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna e gli Scalzi a Venezia. È un’ira tenace che dura da secoli, fatta di invidia e viltà: invidia di quello che i nemici non hanno, che non potranno mai avere e che è il segno dovunque e sempre riconoscibile della nostra nobiltà, così che feri l’Italia nei suoi monumenti e nella sua bellezza dà a costoro quasi l’illusione di colpirla sul volto: viltà perché sanno che questa nostra singolare bellezza è fragile e non si può difendere, e percuoterla e ferirla è come percuotere davanti alla madre il suo bambino».

La chiesa degli Scalzi dopo la bomba del 24 ottobre 1915 (foto tratta da: U. Ojetti, I Monumenti italiani e la guerra, Milano 1917)

Ojetti si concentra proprio sulle opere d’arte italiane che costituiscono la ricchezza del nostro paese: ferirle o, ancor peggio, distruggerle significa depauperare della propria identità la Repubblica Italiana. È questo un concetto che sarà alla base del nostro di tutela: tutelare il patrimonio culturale di una nazione significa preservare, di conseguenza, le basi identitarie di un popolo.

Ojetti prosegue, entrando nel vivo di un’azione di devastazione e sacrilegio, ricordando gli eventi del 1848. Gli austriaci avevano assediato il Santuario di Monte Berico sopra Vicenza e non ebbero il benché minimo rispetto per la santità del luogo, così come mancò del tutto la consapevolezza circa l’importanza rivestita dall’arte ivi presente:

«[…] I soldati austriaci traevano intanto fuor dagli armadii della sacrestia i paramenti sacri, se ne vestivano per ludibrio e ballavano così mascherati davanti agli altari. Nella notte saccheggiarono il convento e penetrati nel refettorio squarciarono con le baionette il gran quadro di Paolo Veronese che raffigura la Cena di San Gregorio Magno sotto due angeli volanti che reggono un cartiglio con l’augurio “Pax Domini sit semper vobiscum”. La mattina all’alba il padre Ferdinando Mantovani entrando lì col Generale Culoz vide i Croati calpestare i brandelli del dipinto. Li tolse di sotto i piedi di quei forsennati per ordine dello stesso generale: erano cinque o sei pezzi. Vi tornò nel pomeriggio per porli al sicuro: lo scempio era stato continuato, a freddo: i brandelli erano trentadue. Quando il Generale Culoz lo seppe, obbligò il Padre Mantovani ormai prigioniero di guerra a firmare una dichiarazione che il dipinto del Veronese era stato ridotto in quelle condizioni dai soldati italiani durante la difesa del convento».

Sul dipinto del Veronese abbiamo persino una dichiarazione falsa: gli austriaci se ne lavano le mani e gettano sull’Italia stessa le colpe di una distruzione effettuata volontariamente, ma spacciata per casuale e attribuita ad azioni difensive.

Dopo Vicenza, tocca a Venezia. Il bombardamento comincia un anno dopo, il 13 giugno del 1849 e termina ad agosto, quando la fame e il colera costrinsero i veneziani ad arrendersi, ma intanto 11 chiese e 14 palazzi erano stati colpiti.

Dopo i primi bombardamenti ci fu chi pensò di segnalare, seguendo la convenzione dell’Aja del 1907 (quella del 1915 non ebbe luogo per lo scoppio della guerra), i monumenti indicati nell’articolo 56 attraverso due triangoli, uno bianco e uno nero. Il lavoro venne cominciato, ma anche sospeso quando ci si accorse che tre quarti di Venezia avrebbe dovuto essere segnalata in questo modo.

Corrado Ricci, direttore generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della pubblica Istruzione, propose anche di portare via i beni mobili da Venezia per metterli in sicurezza, ma trovò lo sbarramento dei veneziani stessi: non si fidavano, avevano paura che le opere non sarebbero tornate mai più a guerra terminata.

Non bastarono i sentimenti della popolazione: la guerra non ne tiene mai conto. La mattina del 24 maggio 1915, già 4 bombe erano state sganciate dagli idrovolanti nemici. E quella stessa mattina bombardarono Ancona e la chiesa di San Ciriaco, per non dimenticare la basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.

Almeno la basilica di San Marco, gioiello della Serenessima, doveva essere messere al riparo; nessuno poteva permettersi di osservarne le macerie causate dai bombardamenti. I veneziani, così, cominciarono l’opera di prevenzione: i cavalli di bronzo furono riposti provvisoriamente in un luogo sicuro senza che fossero allontanati da Venezia, ma successivamente si optò per il trasferimento a Roma. Era il 27 maggio 1915. Tutto il resto fu protetto come possibile attraverso l’utilizzo di sacchi di sabbia, o all’interno di casse, con ovatta, sabbia cotta e materassi di alga secca.

La discesa e la messa in sicurezza dei cavalli di San Marco a Venezia (foto tratta da: U. Ojetti, I Monumenti italiani e la guerra, Milano 1917)

Tra il 24 e il 25 ottobre 1915, la volta del Tiepolo nella chiesa degli Scalzi a Venezia andò in frantumi per il rilascio di una bomba, ma anche a Padova furono danneggiati seriamente parte del museo civico, il Duomo, Palazzo Maldura e il teatro Verdi. E poi ancora il castello di Andraz (Belluno), la Gipsoteca di Canova nel vicentino, la città di Rimini, i palazzi di Bari e di Manfredonia.

Ugo Ojetti si è quindi trasformato in cronista, oltre che protagonista di un evento bellico particolarmente tragico per le perdite subite in senso umano, ma anche per le distruzioni cui si dovette assistere, a volte del tutto impotenti. Insieme ad altri importanti personaggi coordina gli spostamenti delle opere d’arte da un luogo all’altro senza fermarsi mai e gestisce le operazioni di censimento soprattutto nell’area di Udine.

La lezione, purtroppo, appresa durante la Prima Guerra Mondiale servirà poi qualche anno più tardi, quando il secondo conflitto Mondiale busserà alle porte dell’Italia, per provare a difendere il patrimonio diffuso sul territorio dal nemico tedesco e dai bombardamenti alleati. Ma questa è ancora un’altra storia.

Bibliografia essenziale:

Archivio digitale della Galleria Nazionale: https://opac.lagallerianazionale.com/gnam-web/fondi/tree//IT-GNAM-ST0010-000011

M. Bassanello, Ugo Ojetti: Sottotenente “Soprintendente” ai monumenti nelle Terre Redente (1915-1919), Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Corso di Laurea magistrale in Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici (a.a. 2011-2012).

Fondazione Giorgio Cini, La salvaguardia dei Monumenti durante la Grande Guerra. La raccolta fotografica di Ugo Ojetti alla Fondazione Giorgio Cini: https://www.cini.it/eventi/i-danni-monumenti-durante-grande-guerra-raccolta-fotografica-ugo-ojetti-fondazione-giorgio-cini

Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Salvaguardia del patrimonio artistico. Distruzione e conservazione. La tutela del patrimonio artistico durante la prima guerra mondiale: https://movio.beniculturali.it/mcrr/immaginidellagrandeguerra/it/257/percorsi-tematici/show/83/86

La salvaguardia delle opere d’arte in Italia nella Prima guerra mondiale: protezione dei monumenti durante il conflitto, su 1418. Documenti e immagini della grande guerra

P. Morpurgo, 1919: recuperare l’arte e ricostruire la scuola, su Professione Docente (15.02.2016).

U. Ojetti, I Monumenti italiani e la guerra, Milano 1917.

G. P. Treccani, Monumenti e centri storici nella stagione della Grande guerra, Milano 2015, pp. 22-30.

Ugo Ojetti, la Grande guerra e le ferite dell’arte. A Venezia una mostra sul patrimonio storico-artistico italiano sotto le bombe, su Fogli d’Arte (23.06.2015)

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Cristina Cumbo

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Scritto in data: 5 dicembre 2021

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About Cristina Cumbo 115 Articles
Archeologa e ricercatrice; Dottore di ricerca in Archeologia Cristiana; amministratrice, fondatrice e responsabile del blog #LaTPC, nonché della pagina Facebook "La Tutela del Patrimonio Culturale". Ha frequentato il primo corso di perfezionamento in tutela del patrimonio culturale in collaborazione con il Comando Carabinieri TPC presso l'Università di Roma Tre (2013) e il Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” attivo presso il medesimo ateneo (2019). Dal mese di gennaio 2022 al marzo 2024 ha collaborato con l'Institutum Carmelitanum di Roma conducendo ricerche su alcune chiese Carmelitane demolite e ricostruendone la storia. Attualmente è assegnista di ricerca presso l'ISPC - CNR, dove si occupa di analizzare storicamente il fenomeno del vandalismo sul patrimonio naturale e culturale in Italia per la redazione di linee guida funzionali alla mitigazione del rischio.