Stern e Valadier: i restauri sul Colosseo

Diliff, CC BY-SA 2.5 , via Wikimedia Commons

Tutti noi conosciamo l’Anfiteatro Flavio, meglio noto come Colosseo, monumento che, in genere, identifica la capitale d’Italia.

Pochi di noi, invece, conoscono realmente la sua storia conservativa che può rispondere ad una serie di interrogativi, sicuramente posti da chi, passandogli accanto ed osservandolo con ammirazione, si sarà soffermato su alcuni dettagli. Come mai, dunque, alcune parti della struttura del Colosseo sono di colore diverso? Perché c’è quel muro diagonale sporgente in mattoni in corrispondenza dell’anello più esterno?

Cercheremo perciò di rispondere a tali quesiti, procedendo però con ordine e iniziando con il ricordare che il Colosseo, costruito nel I secolo d. C., trascorse un passaggio della sua esistenza non particolarmente felice durante il Medioevo, quando divenne una vera e propria cava di materiali utilizzati per le nuove costruzioni; a questo stato di lenta decadenza, si affiancò anche la serie di gravi danni causata dai numerosi terremoti che, nei secoli, avevano colpito la città e il suo territorio.

Dipinto ad olio su tela di Caspar Van Wittel, detto il Vanvitelli, del lato orientale del Colosseo, prima metà del XVIII secolo (Gaspar van Wittel, Public domain, via Wikimedia Commons)

Poi con il Settecento qualcosa iniziò finalmente a cambiare grazie a papa Benedetto XIV, che decise di dedicare il Colosseo alla memoria dei martiri cristiani; da quel momento in avanti, infatti, ed anche grazie alla nascita di una nuova sensibilità nei confronti del patrimonio culturale, il Colosseo iniziò ad essere tutelato e restaurato.

Tra i primi interventi di restauro si vuole ricordare quello eseguito dall’architetto Raffaele Stern, chiamato ad intervenire sulla parte orientale della struttura, tra il 1806 ed il 1807. Il suo progetto previde un consolidamento della zona interessata del monumento, che è consistito infatti nel murare le arcate poco stabili e nell’inserimento di uno sperone di mattoni – il muro diagonale precedentemente menzionato – al fine di sostenere l’estremità dell’anello più esterno del Colosseo che, nei secoli, era rimasta mutila e quindi priva di un solido supporto.

Trascorsi pochi anni, precisamente tra il 1823 ed il 1826, un nuovo architetto, Giuseppe Valadier, venne chiamato ad occuparsi della parte occidentale dell’Anfiteatro. Gli esiti del suo intervento furono molto diversi da quelli del predecessore: per prima cosa venne costruito un contrafforte in mattoni e in travertino che, come lo sperone di Stern, potesse svolgere la funzione di sostegno dell’anello più esterno andato infatti parzialmente perduto, oltre agli archi del secondo e terzo piano.

A seguire ci fu la (ri)costruzione di tutte le arcate distrutte che l’architetto eseguì “per analogia”, ovvero imitando perfettamente la forma, lo stile ed il materiale originari. Ad oggi, infatti, chi passeggia attorno al Colosseo e si trova ad ovest dello stesso, con difficoltà potrà distinguere le parti autentiche da quelle restaurate, se non fosse per la differenza di colore.

Valadier, oltretutto, si occupò di un altro intervento, quello operato sul vicino Arco di Tito, progetto inizialmente preso in considerazione dallo Stern, “passato” però molto presto al collega a causa della sopraggiunta morte. L’architetto si mosse non troppo diversamente rispetto a quanto già fatto per il Colosseo: infatti, dopo aver liberato l’arco dalle aggiunte medievali, decise di smontare i marmi danneggiati del monumento, che quindi vennero restaurati ed infine adeguatamente risistemati in loco. Tuttavia, dove mancanti, i conci furono impiegati ex novo facendo uso del travertino in modo da distinguersi nel colore e nella fattura rispetto al marmo; nonostante, però, queste soluzioni adottate, distinguere le parti originarie da quelle frutto di restauro non è semplice. Infine, in tale operazione Valadier ridisegnò per analogia e in forme più semplificate anche i capitelli e le cornici.

A terminare i restauri ottocenteschi sul Colosseo fu infine Gaspare Salvi tra il 1836 ed il 1845, il quale si limitò ad inserire un contrafforte in mattoni sul lato meridionale dell’edificio, con un risultato molto vicino allo sperone di Stern.

Giunti quasi alla conclusione del nostro breve intervento sulla storia dei primi restauri di uno dei monumenti più famosi al mondo, è certo che il lettore si sarà fatto una sua idea se sia stato corretto o meno agire alla maniera degli architetti Stern e Valadier, ma soprattutto se il restauro per analogia messo in atto da quest’ultimo sia stato, per così dire, “giusto”. Noi, comunque, sottoponiamo alla sua pazienza una breve citazione di Stendhal che, durante le sue lunghe ed indimenticabili giornate romane, così si espresse in merito alle operazioni di restauro di Valadier:

«[L’Arco di Tito] è il più antico [monumento] di Roma e fu anche il più bello fino all’epoca in cui fu restaurato dal signorValadier. Questo sciagurato, che nonostante il nome francese è romano di nascita, invece di rafforzare l’arco che pericolava con delle ‘armature’ di ferro e con una gettata di mattoni assolutamente distinta dal monumento pensò bene di ricostruirlo di nuovo… Insomma, dell’arco di Tito non ci resta che una copia».

Più volte siamo tornati su questi temi, di cui si vuole in modo particolare ricordare quanto detto dal pioniere della scuola del restauro italiano, ovvero Cesare Brandi, nella sua Teoria del restauro: «[…] il restauro deve mirare al ristabilimento della unità potenziale dell’opera d’arte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo». In questo caso, perciò, crediamo sia legittimo pensare che questi interventi di restauro siano andati oltre al “ristabilimento della unità potenziale dell’opera d’arte” in questione, cioè il Colosseo, dal momento che v’è stata una ricostruzione ex novo di alcune sue parti, senza limitarsi perciò alla sola conservazione di quelle ancora parzialmente integre; inoltre, è stato commesso tanto un “falso artistico” – perché, dopo questi interventi, il Colosseo non è più certamente quello concepito al tempo dei Flavi, – quanto un “falso storico”, non essendosi i restauri stessi distinti come interventi del XIX secolo. Ragionamenti analoghi li abbiamo fatti già in un precedente articolo, dedicato al confronto tra due personalità coeve di Stern e di Valadier, ovvero Ruskin e Viollet-le-Duc. Ci preme, però, ribadire che al tempo non esistevano certo le teorie e le pratiche oggi pedissequamente seguite, che mai proporrebbero un restauro di analogia – almeno in Italia – come quello condotto dai due architetti.

Bibliografia essenziale:

– Stendhal, Passeggiate romane, Roma 1991.

– C. Brandi, Teoria del restauro, Torino 1963.

– Appunti del corso “Conservazione e restauro del libro” del Professore Carlo Federici della Scuola Vaticana di Biblioteconomia, anno accademico 2021-2022, da una lezione incentrata sulla storia del restauro del patrimonio culturale.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Foto di copertina: Diliff, CC BY-SA 2.5 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5, via Wikimedia Commons

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Scritto in data: 20 novembre 2022

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About Giulia Abbatiello 31 Articles
Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.