Evoluzioni del falso: il Settecento

L’attività falsaria nel corso dei secoli, come visto nei contribuiti precedenti scritti per il blog LaTPC, per molteplici ragioni, non ha avuto tregua. Non si esime in questo senso il secolo nei quali ci avvicenderemo in questo nuovo appuntamento: il Settecento, in cui proprio in Italia ci fu una vastissima produzione e un conseguente fiorente commercio derivante dall’attività fraudolenta, che più tardi il cronista d’arte francese Paul Eudel (1837-1911), nella sua guida per collezionisti, definì «terra benedetta di contraffattori»[1]. Si falsificò di tutto.

Il Settecento

Per comprendere meglio le ragioni di un fenomeno che non ha mai visto crisi, occorre inquadrare brevemente il contesto culturale e le innovazioni nell’ambito del commercio artistico che andavano affermandosi nell’Europa del tempo: a partire dalla seconda metà del Settecento alcuni venditori iniziarono ad organizzare in maniera sistematica vendite d’arte. Tra questi fu precursore Johann August Gottlob Weigel (1773-1846), commerciante e collezionista, che organizzò vendite pubbliche di opere d’arte a Lipsia; nel 1766 a Londra, James Christie (1730-1803), fondatore della celebre casa d’aste Christie’s, organizzò la prima asta dedicata esclusivamente alle opere d’arte. Se in un primo momento i prezzi ottenuti dalle aggiudicazioni si rivelarono insolitamente bassi, già nel 1778 si assistette ad un forte incremento dei valori di vendita. Le richieste dei ricchi collezionisti (in particolare dal Regno Unito, dalla Germania e dall’Austria), desiderosi di trasformare le loro dimore in veri e propri depositi museali, determinarono un’ascesa notevole dei costi di manufatti che interessarono ogni campo della produzione artistica. Si investirono ingenti somme di denaro in opere d’arte, antichità, arredi e beni artistici di varia natura. Il numero di mercanti pian piano crebbe esponenzialmente e con essi, naturalmente, il proliferarsi di falsi e falsari, che nella crescente domanda, accompagnata dalla smisurata disponibilità economica, trovarono florido terreno. Tra gli ambiti preferiti dai contraffattori del tempo, considerata la costante fiorente richiesta, fu ancora una volta quello della statuaria romana. Rappresentanti d’eccellenza in qualità di copisti, le cui opere furono poi spesso diffuse come originali, furono Bartolomeo Cavaceppi (1715/17-1799) scultore e celebre restauratore, che dedicò gran parte della sua produzione alla copia di statue antiche, assieme allo scultore francese Pierre-Étienne Monnot (1657-1733), anch’egli restauratore di frammenti di antichità (si veda al riguardo la copia del Discobolo di Mirone conservato ai Musei Capitolini di Roma e menzionato in  Evoluzioni del falso: la cultura mediterranea antica). Un altro ambito oggetto di ampia contraffazione fu quello della ceramica. La produzione artistica in questo campo è stata vastissima e come tale la sua falsificazione: dalle porcellane dell’Estremo Oriente sino alle maioliche fiorentine, passando per i vasi e le statue sacre dell’America precolombiana, sino alle porcellane di Meissen (Dresda) a quelle di Sèvres (Parigi). Proprio a partire dal Settecento, quando nel 1710 viene fondata la prima manifattura di porcellane europee sulla scia della raffinata porcellana cinese,  che della diffusione di false ceramiche non si ha più avuto contezza, tanti furono i quantitativi riprodotti: dalle produzioni più rozze di uso quotidiano alla porcellana più fine, i piccoli produttori imitavano lo stile delle manifatture divenute più celebri. Tra le forme adottate per perpetuare l’inganno, oltre la produzione ex-novo, vi era la trasformazione di marchi minori in manifatture di pregio, l’apposizione di un marchio di epoche relativamente più antiche in produzioni successive o addirittura in realizzazioni anonime. Questo poteva essere fatto con diverse modalità quali il semplice ritocco a pennello, oppure mediante operazioni più complesse che richiedevano l’abrasione di un timbro preesistente e la realizzazione del marchio da falsificare attraverso il ricalco. Con tali espedienti, ad esempio, furono alterati i marchi della Manifattura di Meissen (Fig.1), che dal 1720 introdusse un proprio simbolo per proteggerne la produzione, subendo varie modifiche nel corso del tempo: l’intento di questo sistema fraudolento era quello di far sembrare una determinata porcellana più antica (e quindi più costosa) rispetto ad una produzione relativamente più recente (per comprendere meglio l’importanza di questa tipologia di manufatti, si tenga presente che oggi un vaso di Meissen del 1725 viene stimato mediamente 50.000/70.000 Dollari)[2].

Dell’ampia casistica aneddotica che investe tutto il Settecento, in questa circostanza, si dovrà necessariamente fare una breve selezione. Da questa selezione emerge il nome di Giuseppe Guerra (1755-1765), le cui lodi vengono narrate nel 1742 dallo storico dell’arte e biografo Bernardo De Dominici (1683-1759) — di cui abbiamo parlato anche in relazione a Evoluzioni del falso: il Seicento — i quali raccontò che il Guerra, uno dei primi allievi di Francesco Solimena (1657-1747), copiò assai bene le sue opere e si espresse con meritevoli originali collocati in varie chiese. Ma a discapito di una morigerata e virtuosa esistenza narrata dal De Dominici e nota sino a quel momento, il Guerra, più che per la sua produzione inedita, viene ancora oggi ricordato per l’attività di falsario intrapresa dal 1750 in poi. Secondo le fonti, l’artista avrebbe rifiutato l’incarico di restauratore di pitture antiche a causa del compenso troppo basso, per dedicarsi alla ben più remunerativa attività illecita, specializzandosi nella riproduzione di frammenti di pitture in stile pompeiano, commerciandole a collezionisti e aristocratici di tutta Europa. Nel 1738 infatti furono intrapresi gli scavi di Ercolano e Pompei che misero in luce il fascino dell’antica pittura parietale, condizionando i gusti collezionistici degli appassionati dell’epoca; forte di questo rinnovato interesse culturale e della smania di possesso che offuscava un adeguato occhio critico, Giuseppe Guerra, allestì una vera e propria macchina produttiva: grazie alla collaborazione di strette conoscenze riuscì a visitare gli scavi (allora ancora inaccessibili al pubblico), da cui trasse ispirazione per composizioni e modelli iconografici funzionali alla riproduzione di pitture in stile,  con la tecnica dell’encausto (colori miscelati alla cera d’api) su intonaco. L’inganno fu svelato qualche anno dopo, a seguito della misteriosa comparsa di ben quaranta opere (alcuni studiosi ne indicano trenta) offerte al Museo Kircheriano di Roma e per i quali fu aperta un’inchiesta per esportazioni clandestine provenienti da Pompei. Per difendersi dall’accusa il falsario confessò la frode e, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non fu incarcerato, grazie alla protezione di alti prelati, i quali rivendicarono il diritto per il pittore di imitare le antichità, adducendo velatamente con tale pretesto, il fatto che tutto sommato pur conoscendo l’inganno, tutti si ritenevano soddisfatti: i collezionisti che potevano avere le loro pitture antiche o presunte tali e il falsario, che traeva lauti guadagni.

Al riguardo, sovvengono alla mente le parole scritte da Noah Charney nel suo celebre manuale L’arte del falso (2015) : «la percezione conta più della verità»[3], che si addice perfettamente all’episodio narrato, ma che racchiude in fondo il senso distorto di tutto il mondo dell’arte, in particolar modo quando entra in campo il concetto di autenticità, dall’antichità ai giorni nostri.

Bibliografia essenziale:

  • F. Arnau, Arte della falsificazione, falsificazione dell’arte, Milano 1960.
  • G. Calcani, Falsi e archeologia in “Falso, il patrimonio culturale e la difesa dell’autenticità”; Atti del convegno interdisciplinare Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, Roma, 25-27 ottobre 2018,  Roma 2020, pp. 415-442.
  • N. Charney, The Art of Forgery, Londra 2020.
  • B. De Dominici, Notizie de Discepoli del Solimena in Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, Tomo III, Napoli 1742, pp. 639-726.
  • P. Eudel, Le truquage: les contrefaçons dévoilées, Parigi 1884.
  • T. Griggs, Ancient Art and the Antiquarian: The Forgery of Giuseppe Guerra, 1755–1765
  • in “Huntington Library Quarterly”, Volume 74, n. 3, (Settembre 2011), pp. 471-503 https://doi.org/10.1525/hlq.2011.74.3.471.
  • F. Leone, Guerra Giuseppe in “Dizionario Biografico degli Italiani”, Volume 60, 2003.
  • O. Kurz, Falsi e falsari, Venezia, 1961.
  • P. Preto, L’arte del Rinascimento e dell’età moderna in Falsi e falsari nella storia dal mondo antico a oggi, di W. Panciera, A. Savio (a cura di), Roma 2020, pp. 1-58 (versione E-book).

Sitografia essenziale:

Abstract:

In the 18th century, the great request of artistic artifacts by collectors, contributed to the spread of forgeries.  Italy was one of the major centers for forgeries creation. The opening of Europe’s first porcelain factory led to a vast production of copyists: the best manufactures were imitated and forged. In the middle of the 18th century there was a sudden and massive presence of fragments of wall paintings from Pompei on the antique market, which were in actually forgeries created by the painter and restorer Giuseppe Guerra.

Keywords: forgery; forger; fraudulent; fresco; porcelains; 18th century

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Tamara Follesa

Scritto in data: 23 luglio 2023

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Link Immagini:

Copertina:     https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k2032139/#   

Fig. 1: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Meissen-Porcelain-Sign.JPG


[1] P. Eudel, Le truquage: les contrefaçons dévoilées, Parigi, 1884, p. 320.

[2] Fonte Sotheby’s New York, Asta del 14 settembre 2021, Collezione Oppenheimer, Importanti Porcellana di Meissen in https://www.sothebys.com/en/buy/auction/2021/sammlung-oppenheimer-important-meissen-porcelain (ultima consultazione il 10 luglio 2023).

[3] N. Charney, The Art of Forgery, Londra 2020, p. 23.

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Pubblicato da Tamara Follesa

Storica dell'Arte, Perito d’Arte Moderna e Contemporanea del Tribunale di Cagliari, Perito Calligrafo. Specializzata al Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di Roma Tre con la Tesi “Metodologie di Indagine e approcci multidisciplinari nell'autenticazione dell'arte contemporanea per il contrasto al fenomeno della falsificazione”, a cui ha fatto seguito la Borsa di studio del Centro Di Eccellenza Del Distretto Tecnologico Culturale Della Regione Lazio (DTC Lazio-Italia). All’interno del percorso di formazione ha svolto uno stage di sperimentazione operativa presso il Laboratorio del Falso a Roma, centro di studio per il contrasto alla falsificazione dei beni culturali e d’arte. Attualmente continua ad ampliare la propria formazione con il Master Biennale di II livello "Esperti nelle attività di valutazione e tutela del Patrimonio Culturale", presso l'Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Studi Umanistici, in collaborazione con il Ministero della Cultura (MiC) e il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (CC TPC). Presta la sua professionalità in qualità di Perito del Tribunale e Consulente Tecnico per la Procura della Repubblica nell’ambito del processo penale occupandosi della verifica dell’autenticità di opere d’arte poste sotto indagine e sequestro; ha svolto, inoltre, incarichi di accertamento tecnico preventivo nel corso di procedimenti cautelari. Collabora con laboratori di diagnostica scientifica e studi di consulenze nel campo dell’autenticazione in Italia e all’estero. Si è occupata dell’inventariazione e la stima di importanti collezioni d’arte di Fondazioni/Archivi d'Artista e Collezioni Aziendali di Istituzioni pubbliche. Attualmente è Professore a contratto per il Workshop "Le Professioni dell'Arte: sistema, economia, legislazione" istituito presso l'Università degli Studi di Teramo, Dipartimento di Scienze della Comunicazione. Dal 2024 infine svolge attività di supporto alla comunicazione culturale per il progetto editoriale CoRes-Project (Conservazione e Restauro).