I sepolcri del Giovedì Santo: una tradizione della Cristianità

Leonardo: Quando ero piccolo non ne conoscevo il significato, per me era quasi una festa il girovagare per i sepolcri allestiti all’interno delle chiese del paese qualche giorno prima della Pasqua. Mia madre mi ci portava sempre, ma anche lei non sapeva quale fosse il significato cristiano di quegli allestimenti cereo-floreali. Poverina lei, che non aveva che la quinta elementare, ripeteva quel rito perché gliel’aveva trasmesso la sua famiglia, la tradizione, la sua povertà. E alle mie insistenze, lei non rispondeva se non obbligandomi a tacere all’interno della chiesa perché da quel giovedì e fino alla mezzanotte del sabato l’umanità cristiana era in lutto e l’unica cosa che si potesse fare era stare in silenzio.

Con l’età adulta, gli studi e le mie letture avrei poi concepito una sorta di significato “metafisico” di quel silenzio al quale, quasi con violenza, mia madre mi obbligava: le domande non potevano avere risposte se non basate su un atto di fede, ed era tutta lì la risposta che io, piccolo curioso com’ero, cercavo. Mia madre, che non aveva studiato, non poteva sapere tutto questo, quindi si limitava con la saggezza delle persone ignoranti ad attuare un principio di fede che solo in quest’ultima poteva trovare la propria giustificazione.

Ritengo che le brevi narrazioni personali possano introdurre molto più efficacemente un argomento, avvicinandosi a un pubblico eterogeneo ed è proprio per tale ragione che, forse con un pizzico di presunzione, lo farò di nuovo, parlandovi – insieme a Cristina Cumbo – di una tradizione cristiana che è quella dei sepolcri del Giovedì Santo.

La maggior parte della mia esistenza si è svolta nel Sud Italia e nelle regioni del Meridione dove ho vissuto – Puglia, Campania e Sicilia – per tradizione, in occasione del Giovedì Santo, è usanza allestire all’interno delle chiese i cosiddetti sepolcri. Si tratta di una tradizione cristiana, legata essenzialmente alla morte e alla resurrezione di Cristo in un duplice ambivalente significato di sofferenza e speranza: sofferenza per la morte del Signore per mano dell’uomo, e speranza nella sconfitta della morte e del dolore.

Anticamente accadeva che soprattutto le famiglie più povere e umili, a metà Quaresima, seminassero del frumento (e legumi vari) all’interno di piccoli vasi, facendolo germogliare e crescere in un luogo buio (fonti letterarie di tradizioni popolari riferiscono che i vasi venivano riposti per quasi un mese all’interno di cassapanche) cosicché potesse germogliare di colore giallo e non verde come sarebbe accaduto se fosse stato esposto alla luce grazie al processo clorofilliano. Così germogliato, di quella tonalità giallo paglierino, tutti i vasi venivano portati in chiesa e posti ai piedi dell’altare (cosiddetta «cappella della reposizione») in prossimità del luogo in cui era custodita, nel tabernacolo, l’ostia consacrata. Tutto ciò poteva essere visitato dai fedeli che, dal primo pomeriggio e fino a sera, si recavano in visita per esprimere una preghiera, fare un voto o semplicemente ammirare, perché l’allestimento recava in sé una vera e propria esposizione artistica. Era ed è usanza portare anche ceste di pane fatto in casa intrecciato, raffigurante agnelli, colombe, oppure uova.

È evidente il valore simbolico, ma capita anche che al rito venga inoltre associato un ulteriore significato. Accade, infatti, che, nella cittadina siciliana dove ho vissuto (e per certi aspetti ancora vivo), il fedele sia tenuto a visitare contemporaneamente almeno tre chiese che espongono i sepolcri affinché tutto gli sia “propizievole”. In alcune località della Campania e nella stessa Napoli, invece, le visite devono essere sette: «tradizionalmente si parla di ‘giro delle 7 chiese‘», o di Struscio (come chi in passato voleva ottenere l’indulgenza doveva girare 7 chiese, per esempio). In quest’ultimo caso, però, il significato ha una valenza più propriamente legata alla religione. Ma al di là della simbologia e dei suggestivi aspetti quasi scaramantici, occorre chiedersi quale sia il significato autentico del messaggio legato alla tradizione dei sepolcri.

Cristina: La Pasqua è il momento più elevato della vita di ogni cristiano, in cui si celebra la Resurrezione di Cristo, la vittoria della vita eterna sulla morte, la speranza che dopo il buio della sofferenza che caratterizza, talvolta, gli ultimi istanti dell’esistenza mortale di ogni uomo possa esserci qualcosa di più elevato, un eden paradisiaco, lo stesso che gli antichi cristiani riproducevano nei colorati cubicoli e arcosoli delle catacombe, contornati da ghirlande di fiori e frutta.

Tradizionalmente visitare il sepolcro significa recarsi verso quel luogo in cui Giuseppe d’Arimatea depositò il corpo di Cristo, avvolto in un telo di lino, chiudendolo con una grande pietra. Era un sepolcro nuovo, proprietà di quell’uomo e mai usato prima. E non solo questo. Non si tratta solamente della contemplazione che segue il momento della morte, ma è anche e soprattutto una promessa di rinascita, esattamente come quei germogli di grano che, tenuti al buio, spuntano timidamente, fino a crescere, sviluppandosi infine in una spiga.

Dobbiamo specificare, però che “sepolcro”, nonostante sia il termine in voga per eccellenza, è errato. In realtà il cristiano, oltre che a meditare sulla morte di Gesù, quindi sulla sua sofferenza e sul sangue versato per noi, durante il Giovedì Santo è incline ad adorare l’Eucarestia come segno che Gesù è vivo e risorto. Al termine della celebrazione del Giovedì Santo (Missa in Coena Domini), l’Eucarestia – contenuta nella pisside – viene, perciò, riposta e custodita in un tabernacolo chiuso e “provvisorio”, solitamente collocato sull’altare di una cappella laterale, senza esporla attraverso l’ostensorio. Il tabernacolo sull’altare maggiore rimane aperto e vuoto.

Tornando a quella che è comunque la tradizione diffusa, pur con i suoi errori interpretativi, in tempi relativamente più recenti, anche presso la mia parrocchia a Roma, il sacerdote ci consegnava alcuni chicchi di grano da piantare. «Mi raccomando, fateli crescere al buio. Voi siete come loro: germoglierete», ci diceva, e questi spuntavano esili e lunghi lunghi, quasi bianchi. Poi con una certa soddisfazione, noi bambini del catechismo li posavamo vicino all’altare, quasi imbandito a festa con bellissimi fiori bianchi e drappi viola. Il viola dominava ovunque: sull’altare maggiore veniva coperto il tabernacolo; il crocifisso dell’altare laterale era ammantato dello stesso colore, così come le statue devozionali.

Il viola, ancora oggi, è un colore che allude al lutto e, come ben sappiamo, viene adottato nei paramenti sacerdotali durante il periodo quaresimale, come simbolo di penitenza e sacrificio.

Un salto indietro nel passato, mi riconduce ancora al Giovedì Santo di tanti anni fa, quando il parroco introduceva il concetto di Pesach. Un nome esotico per quei bambini di 11/12 anni che non ne avevano mai sentito parlare, eppure molto importante perché si tratta della Pasqua ebraica, ovvero la celebrazione della liberazione del popolo ebraico dall’Egitto. Gesù era un ebreo e, con ogni probabilità, l’Ultima Cena era proprio un “preambolo” alla Pesach, chiamata Seder. Prendemmo dunque del pane azzimo e un po’ di rucola, dal sapore amarognolo, a ricordare le erbe amare, comprendendo – forse per la prima volta – che ebraismo e cristianesimo erano religioni sorelle, non opposte, ma strettamente unite.

Abbiamo parlato di rinascita e forse sarà bene introdurre anche il tema del battesimo. Perché mai, vi chiederete. Ebbene, il battesimo, anticamente, ma talvolta ancora oggi, era celebrato nella notte di Pasqua, immergendosi nel battistero. Il battesimo conduceva a una vita di resurrezione, a una esistenza da cristiano e questo lo ricorda San Paolo nella lettera ai Romani (Rm 6, 3-4): «Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova».

In attesa, quindi, della resurrezione, della luce della vita, nella tradizione ormai diffusa il cristiano aspetta pregando davanti a un sepolcro, quello stesso che le pie donne troveranno vuoto, con un angelo ad attenderle e i teli che avevano avvolto Cristo ripiegati: «L’angelo disse alle donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: «È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”» (Mt 28, 5-7; CEI 2008).

Ancora l’iconografia del primo cristianesimo vuole insegnarci proprio questo: ad attendere. Nei sarcofagi c.d. dell’Anàstasis è raffigurata una croce sormontata dal cristogramma, segno della resurrezione, mentre alla base sono due soldati romani addormentati: Cristo è risorto, non è fuggito dal sepolcro, ma i soldati questo non possono saperlo. Sono ancora i Vangeli ad essere la nostra guida: «Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, dicendo: “Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse: “Dopo tre giorni risorgerò”. Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”. Pilato disse loro: “Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete”. Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie».

Liturgia e tradizione sono quasi contrastanti nel caso del Giovedì Santo, ma è proprio questo l’aspetto, composto di riti, preghiera e fede, che forse affascina maggiormente.

Leonardo: A volte ci chiediamo quali siano i significati dei nostri atti e tentiamo di dare risposte al di fuori della nostra portata, correndo così il rischio di apparire banali. Mia madre, che sicuramente non aveva studiato, ma tutto era tranne che banale, saggiamente non mi ha mai dato alcuna risposta del perché si facessero i sepolcri, limitandosi a obbligarmi al silenzio. Già, il silenzio. Qualità molto rara oggigiorno.

Davanti alla morte sono le cose che la rappresentano, come i germogli seminati al buio, e il silenzio delle persone, sì ignoranti ma sagge, a farci capire il senso dell’umanità. Ecco perché davanti a quei sepolcri, che la tradizione cristiana ogni anno rinnova come la vita stessa quotidianamente si rinnova, noi siamo tenuti a fermarci e a riflettere sul significato del nostro stare al mondo e a narrare a noi stessi, nonostante «l’essere del nulla», la speranza di rinascere.

Sitografia essenziale:

A. Tarallo, L’altare della reposizione, ossia “i sepolcri”. Origine e tradizioni, su San Francesco: https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/fede/l%E2%80%99altare-della-reposizione-ossia-%E2%80%9Ci-sepolcri%E2%80%9D-origine-e-tradizioni-45397

Altari di reposizione, su Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri in Acireale: http://www.oratorioacireale.org/altari-di-reposizione.html

Domande sull’altare della reposizione che in passato veniva chiamato santo sepolcro, su Amici Domenicani: https://www.amicidomenicani.it/domande-sullaltare-della-reposizione-che-in-passato-veniva-chiamato-santo-sepolcro/

Autori del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci e Cristina Cumbo

Foto di Avola di Leonardo Miucci; foto di Roma di Cristina Cumbo

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Scritto in data: 15 aprile 2022

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

La nostra attività sul blog e sui social viene effettuata volontariamente e gratuitamente. Se vuoi sostenerci, puoi fare una donazione. Anche un piccolo gesto per noi è importante.

Ti ringraziamo in anticipo!

Admin. Cristina Cumbo e #LaTPC team

Puoi inquadrare il QR-code tramite l’app di PayPal, oppure cliccare su:

Sostieni #LaTPC blog

Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa