L’imbrattamento dei beni culturali: riflessioni in merito a fatti di attualità

A chiusura di questa prima parte dell’anno editoriale, in attesa di godere del meritato periodo di vacanze estive, desideriamo parlarvi di un fenomeno che proprio in questi ultimi giorni è alla ribalta della cronaca e che ha suscitato tanto clamore mediatico in seno all’opinione pubblica. Desideriamo parlarvi, infatti, del deturpamento o dell’imbrattamento dei beni culturali ultimamente attuati sia da forme di protesta condotte con azioni civili non violente da parte degli attivisti per l’ambiente con il lancio di vernice sui beni culturali, sia da pratiche goliardiche da parte di turisti che, evidentemente presi dal “gusto dell’immortalità”, lasciano le proprie iscrizioni sui nostri monumenti.

Ovviamente i due fenomeni sono ispirati da motivazioni diverse, ma non diverse sono tuttavia le conseguenze cui i rispettivi responsabili si espongono.

Ci soffermeremo, tuttavia, ad analizzare quali sono i motivi a fondamento delle azioni di protesta, che ci sembrano più importanti rispetto alle goliardie turistiche, e perché gli attivisti prendano di mira proprio i beni o i siti culturali, nonché qual è la risposta dell’ordinamento giuridico e, quindi, le conseguenze cui i responsabili vanno incontro.

Possiamo dire che, recentemente, abbiamo assistito a forme di protesta in cui gli attivisti hanno lanciato vernice (lavabile) su beni o siti culturali. Ne citiamo due: “Blitz di un gruppo di attivisti a Roma in piazza di Spagna, due uomini e una donna hanno versato del liquido nero nella fontana della Barcaccia in segno di protesta contro l’utilizzo dei combustibili fossili, per sensibilizzare sulle conseguenze del cambiamento climatico”; “Due giovani attivisti di Letzte Generation hanno imbrattato il vetro protettivo dell’opera di Gustav Klimt conservata al Leopold Museum di Vienna: non può esserci arte pulita con soldi sporchi”.

I fatti balzati alla cronaca sono stati tanti e le azioni poste in atto hanno riguardato non solo opere d’arte ma anche monumenti storici, o comunque beni riconducibili alla sfera del patrimonio culturale.

I beni culturali rappresentano una cassa di risonanza in virtù della loro importanza mondiale e, quindi, così facendo, gli autori della protesta ne innalzano i toni; ne consegue che l’imbrattamento delle opere d’arte diventa strumentale alla loro causa, provando a raggiungere una moltitudine sempre più vasta della società con lo scopo di risvegliare le coscienze su un problema grave che sta affliggendo il nostro pianeta.

Ora, fermo restando che la protesta in favore dell’ambiente e contro il rischio climatico è più che legittima, specie in questi ultimi giorni in cui fenomeni a noi sconosciuti hanno provocato terribili conseguenze in un’Italia divisa in due, dove al sud si sono registrate temperature vicine ai cinquanta gradi e al nord alluvioni e inondazioni mai viste prima, ciò che tuttavia occorre domandarsi è se sia veramente utile porre in essere tali azioni contro il patrimonio culturale e, soprattutto, quali sono le conseguenze cui i fautori si espongono e quali i rischi per il patrimonio culturale.

Le azioni di protesta così attuate dal movimento in favore del clima possono integrare il reato di imbrattamento di beni culturali la cui ipotesi è prevista all’art. 518-duodecies del codice penale, quale “Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici”.

Come si può notare, ci troviamo di fronte a una norma omnicomprensiva nel senso che contempla tutta una serie di condotte di aggressione violenta in danno dei beni culturali o paesaggistici.

Vediamo ora in concreto cosa ci dice la norma.

L’art. 518-duodecies c.p. afferma: “Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000.

Chiunque, fuori dei casi di cui al primo comma, deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 10.000.

La sospensione condizionale della pena è subordinata al ripristino dello stato dei luoghi o all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna”.

La disposizione è costituita da tre commi, ognuno dei quali ha una sua ratio: il primo comma punisce il comportamento del soggetto che pone in essere condotte atte a concretizzare alternativamente la distruzione, dispersione, deterioramento, oppure rendere in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici.

Si tratta di condotte che mirano sostanzialmente a danneggiare, alcune volte anche in modo irreversibile, il patrimonio culturale o paesaggistico, laddove nell’ipotesi di danneggiamento è da intendersi ricondotta anche quella della dispersione e del deterioramento, e che pertanto vengono sanzionate con una pena più grave; il secondo comma sanziona il comportamento di chiunque deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione. In tali ipotesi il legislatore ha voluto prevedere e sanzionare tutti quei casi in cui l’azione del soggetto è mirata a compiere atti vandalici, anch’essi di danneggiamento, ma superabili e non irreversibili tant’è che essi sono sanzionati con una pena più mite rispetto all’ipotesi precedente. Questa disposizione, nell’ultimo capoverso, sanziona inoltre un uso diverso del bene culturale o paesaggistico, incompatibile con la sua essenza storico-artistica e quindi pregiudizievole per la sua conservazione.

L’ultimo comma prevede la possibilità per l’autore del reato di godere della sospensione condizionale della pena. In sostanza si tratta della decisione adottata dal giudice in sede di sentenza con la quale, nel decidere sulla vicenda, può subordinare la concreta espiazione della pena al previo ripristino dello stato dei luoghi o all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato.

Va precisato che la tutela penale apprestata dall’art. 518-duodeceis c.p. si applica ai beni culturali (o paesaggistici) indipendentemente dalla loro appartenenza pubblica o privata, beninteso che per questi ultimi sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art. 13 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs.vo n. 42 del 2004).

Alcune volte appaiono sui giornali titoli dal tenore: “Troppi sfregi al Colosseo, il parco prova a scoraggiare i vandali: rischiate carcere e multa”. In questo caso viene fatto riferimento propriamente ai comportamenti goliardici cui si accennava prima. Occorre fare alcune precisazioni di ordine giuridico, che prevedono però una diretta conseguenza fattuale.

È assai improbabile che gli autori di simili atti possano essere tratti in arresto nella flagranza del reato: sicuramente non possono essere obbligatoriamente arrestati ai sensi dell’art. 308 c.p.p. perché la pena edittale prevista non consente alla polizia giudiziaria di procedere in tal senso; potrebbero esserlo, invece, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 381 c.p.p., ma in presenza di tutti i presupposti di legge, quali la gravità del fatto e la pericolosità del soggetto.

Insomma, l’arresto nella flagranza del delitto, che sia obbligatorio o facoltativo, rimane quasi un miraggio.

La possibilità che gli autori dell’imbrattamento di beni culturali possano incontrare il carcere si può prevedere all’esito del giudizio, cioè a sentenza di condanna intervenuta.

Ma anche qui vi sono forti perplessità. Infatti, grazie agli sconti di pena applicati in conseguenza del calcolo delle circostanze e al riconoscimento della sospensione condizionale della pena, è assai improbabile che l’autore del reato, ancorché condannato, vada effettivamente in carcere.

Può, quindi, andar bene parlare di deterrenza attraverso la minaccia del carcere, ma sul piano giuridico-penale occorre essere chiari e aderenti alla realtà.

La partita dovrebbe giocarsi invero sempre e comunque sul piano preventivo-culturale, piuttosto che su quello repressivo.

A ben pensare, gli attivisti utilizzano un bene costituzionalmente protetto per attirare l’attenzione della protesta verso un bene altrettanto costituzionalmente protetto e, quasi ironia della sorte, entrambi tutelati dallo stesso art. 9 Cost.: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Ecco perché, a parere di chi scrive, può essere controproducente condurre la protesta in favore dell’ambiente attraverso l’imbrattamento dei monumenti e delle opere d’arte: l’opinione pubblica si rifiuta di capirne il motivo sebbene sia chiaro a tutti. Il messaggio che ne scaturisce da tali atti vandalici non annette positività alla causa in favore dell’ambiente, anzi, la oscura perché i nostri monumenti e tutte le opere d’arte in qualche modo ci rappresentano e nessuno potrebbe mai giustificare atti che minano la nostra identità, sebbene – si vuole ribadire – la causa condotta a favore dell’ambiente non solo è legittima ma necessaria.

Tuttavia, come in tutti i fenomeni che minacciano la nostra vita, la partita si gioca sul piano culturale.

Per la tutela dell’ambiente e per quella dei nostri beni culturali non occorrono forme di protesta come quelle che qui abbiamo citato, oppure incarcerazioni di persone perché deturpano il patrimonio culturale. Occorre piuttosto un cambiamento di rotta, che preveda seriamente forme di investimento sulla formazione culturale per far capire già alle nuove generazioni che l’ambiente, come il nostro patrimonio culturale, va rispettato perché costituisce parte della nostra identità.

Bibliografia essenziale:

  • Codice penale e di procedura penale, edizione Dike giuridica, Roma 2023.
  • A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino 2011.
  • Giovanni Fiandaca, Enzo Musco, Diritto Penale, Parte generale, ul. ed.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 30 luglio 2023

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa