Breve storia di uno spazio che evolve: biblioteche italiane tra ieri ed oggi

Sapete che l’abitudine di mettere i libri in verticale negli scaffali di una biblioteca o nella libreria di casa si affaccia soltanto a partire dal Cinquecento? Prima di questo tempo, come venivano disposti? E, un’ulteriore domanda che ci poniamo, perché si verificò un simile cambiamento tra un secolo e l’altro? Con questi interrogativi vogliamo di nuovo accompagnare per mano il lettore all’interno dell’affascinante mondo delle biblioteche italiane, approfondendo un loro aspetto peculiare, ovvero lo spazio ed i suoi cambiamenti nel corso della storia. Cercando perciò di rispondere alla prima questione, e cioè quale fosse la precedente sistemazione dei libri, è necessario andare indietro lungo la linea del tempo per arrestarci al Medioevo, precisamente al XIII secolo, quando abbiamo testimonianze certe che i libri disponibili alla consultazione venissero disposti in orizzontale e che inoltre fossero ancorati tramite catene a dei banchi di legno.

Leggio con manoscritti ancorati a catene (John Willis Clark, Public domain, attraverso Wikimedia Commons)

È per questo motivo che le coperte dei libri erano tempestate da borchie, affinché si evitasse che la coperta – in genere in pelle od in pergamena – venisse sfregata, danneggiandosi, contro la superficie di appoggio.

Come mai, invece, venivano legati con delle catene? Ebbene, chi scrive trova che questo dettaglio sia sintomo di un sentimento di precoce democrazia: ancora oggi sono numerosi i libri che risultano scomparsi dalle biblioteche per una serie di cause, tra cui una mancata restituzione dopo la richiesta di prestito; incatenarli non era perciò un segno di barbarie. Si cercava una sicurezza, affinché nessuno potesse sottrarre dalla biblioteca il libro che stava leggendo, consegnando ai futuri lettori la possibilità di poterne giovare allo stesso modo. Ad oggi, comunque, esistono diversi sistemi come le classiche bandelle elettromagnetiche sistemate all’interno della risorsa che, al passaggio del metal detector, provocano l’attivazione di un segnale acustico, oppure il sistema RFID che funziona leggendo a distanza le onde elettromagnetiche contenute nel chip inserito nel libro. A partire dall’occupazione napoleonica e continuando poi con il periodo postunitario, quando i beni ecclesiastici vennero allontanati dalle loro sedi originarie andando a finire nelle mani di qualche privato o in quelle dello Stato, lo spazio delle biblioteche mutò senza tornare più come prima: si pensi alla biblioteca del convento domenicano di San Marco a Firenze, primo tentativo riuscito da parte di Cosimo de’ Medici di aprire al pubblico dei dotti studiosi una biblioteca, la cui sala principale, disegnata dal suo architetto di fiducia Michelozzo Michelozzi negli anni Quaranta del XV secolo, presentava un’articolazione a tre navate in cui erano disposte le file di banchi con i libri ad essi legati; come è noto, durante la demanializzazione dei beni della Chiesa tra il 1866 ed il 1873, la maggior parte del patrimonio librario e documentario della biblioteca di San Marco finì alla Biblioteca Medicea Laurenziana alla Nazionale Centrale di Firenze. Oggi, perciò, quello spazio non presenta più i suoi banchi lignei, risultando incredibilmente vuoto.

Esiste però un caso fortunato, che può quindi restituirci l’idea di questo tipo di spazio, e che è quello della Biblioteca Malatestiana sorta all’interno del convento di San Francesco a Cesena per volere del signore Domenico Malatesta: questi invitò, per l’occasione, l’architetto Matteo Nuti ad imitare il modello michelozziano di Firenze; le ragioni della sua salvezza stanno nel fatto che, sin dall’inizio, la Biblioteca Malatestiana venne considerata patrimonio pubblico della città, possibilità questa che le ha garantito di mantenere il suo aspetto originario. Osservando questa foto, oltre ad osservare i banchi ed i libri ad essi ancorati, è possibile inoltre scorgere l’antica tinteggiatura verde delle pareti. La scelta del colore non è affatto casuale se pensiamo che Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia lo consigliava affinché gli occhi del lettore potessero riposarsi dalla lettura.

Continuando con la storia della morfologia degli spazi e delle funzioni delle biblioteche, si arriva al XVII, momento questo in cui la disposizione dei volumi venne destinata nei cosiddetti vasi librari, ovvero elaborate scaffalature lungo le pareti della sala di consultazione, alti dal pavimento fino al soffitto. Un esempio ad emblema di questa tipologia di spazio è la Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma voluta da Alessandro VII Chigi e realizzata dall’architetto Francesco Borromini nell’anno 1670. La tipologia di vaso librario si può trovare nella stessa città anche nella Biblioteca Casanatense e in quella Angelica.

Le ragioni di un simile cambiamento dipesero principalmente dall’aumento esponenziale dei libri stampati – la stampa aveva iniziato il suo galoppo incontrollato già nel Quattrocento –, portando perciò ad un ripensamento degli spazi – dai banchi agli scaffali – e alla posizione dei libri in verticale.

Arriviamo infine ai giorni nostri. In Italia pochissimi sono i casi di progetti che prevedono la costruzione di una biblioteca ex novo a causa della presenza cospicua dei molti vincoli esistenti; perciò, da decenni c’è la tendenza a riorganizzare lo spazio di un precedente edificio mutandolo in quello di una biblioteca che, non sempre, dà i frutti sperati. In genere, il protocollo che si segue per la costruzione di una biblioteca è il seguente: l’Amministrazione definisce, prima di tutto, uno studio di fattibilità cui segue uno studio preliminare. A questi due documenti seguono le tre fasi della progettazione architettonica che possono essere affidate o alla stessa struttura tecnica della stazione appaltante attraverso bando di gara, o ad un architetto attraverso un bando di concorso di idee; in quest’ultimo caso, l’Amministrazione analizza il progetto dell’architetto, che viene remunerato, ma facendola propria e quindi suscettibile di eventuali modifiche. Come accennato sopra, in Italia si sceglie spesso una progettazione architettonica che possa destinare a nuova funzione, e quindi ad una ridefinizione degli spazi, un edificio preesistente. A tal proposito, è possibile ricordare la biblioteca pubblica Elio Crise di Trieste: quando nel 1958 la città entrò nello Stato, venne proclamata “Biblioteca del Popolo” e tale fu la funzione che ricoprì per anni, cioè quella di essere una biblioteca di pubblica lettura; accadde però che, nel 1998, se ne decise il trasloco in Palazzo Brambilla Morpurgo nato, ad evidenza, come edificio storico. Nel tempo, quindi, molti sono stati i problemi riscontrati, tutti principalmente legati alla originaria funzione dell’immobile; inoltre, negli anni è accaduto che i progetti che si sono realizzati abbiano avuto un maggiore focus sul palazzo, dimostrandosi particolarmente funzionale ad accogliere mostre temporanee e, quindi, relegando a tale finalità anche la biblioteca. Altro caso è quello della Biblioteca Nazionale di Bari e del suo Archivio di Stato, che ha trovato una nuova sede nell’ex mercato ittico ed ex frigorifero della città, dimostrandosi poco funzionale a causa dei numerosi dislivelli dei locali, nonché per la loro posizione eccessivamente periferica.

Bibliografia essenziale:

A. Manfredi, Per una storia delle biblioteche dall’antichità al primo Rinascimento (con la collaborazione di F. Curzi e S. Laudoni), Città del Vaticano 2019.

M. Vivarelli (a cura di), Lo spazio della biblioteca. Culture e pratiche del progetto tra architettura e biblioteconomia, Milano 2013.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 24 luglio 2022

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Pubblicato da Giulia Abbatiello

Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.