Cimitero Monumentale Verano: passeggiando tra i volti del cinema e della poesia

Oggi torniamo al Cimitero Monumentale Verano di Roma, di cui in passato ci siamo già occupati illustrando una serie di tombe interessanti sotto il loro profilo architettonico ed artistico (link).

Questa volta la nostra passeggiata ci vedrà alla scoperta di personaggi che qui riposano e che presenteremo in due gruppi, iniziando da quello del cinema.

A Trastevere c’è una targa che ricorda allo sguardo distratto del passante che il 15 giugno del 1920, in una casa oggi non più esistente, l’interprete della “storia di ogni italiano” veniva alla luce. Il nome di quel bambino era Alberto Sordi.

La carriera dell’attore romano inizia a muovere i primi passi a partire dagli anni Trenta prima come doppiatore – è lui a dare l’inconfondibile voce ad Oliver Hardy nel personaggio di Olio – e poi nell’avanspettacolo, proseguendo dieci anni dopo nel mondo del cinema con il primo film I tre aquilini (1942).

Un americano a Roma (1954), Il vigile (1961), Il medico della mutua (1968), Un borghese piccolo piccolo (1977), Il marchese del Grillo (1981), Nestore, l’ultima corsa (1994) ed Incontri proibiti (1998) sono soltanto alcuni dei titoli di una lunga lista in cui l’attore indossa la maschera dell’italiano medio con tutti i suoi limiti ma anche pregi. Nonostante Sordi venga ricordato soprattutto come attore comico, nel citato Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli egli diede prova della sua infinita bravura anche come attore drammatico: il personaggio da lui interpretato, Giovanni Vivaldi, è un semplice impiegato che a breve andrà in pensione; per questo motivo, le aspettative per cui il figlio Mario possa ricoprire il suo posto sono tante, al punto da arrivare ad umiliarsi davanti ai suoi superiori, o addirittura pensando di appellarsi alla loggia massonica. Un giorno, però, ogni speranza viene purtroppo distrutta dall’accidentale morte di Mario, rimasto coinvolto in una sparatoria. Oramai diventata sopravvivenza, da quel momento in poi la vita di Giovanni avrà un unico e preciso scopo: vendicare suo figlio.

Tra i riconoscimenti, si ricordano almeno quelli artistici: Sordi verrà premiato con quattro Nastri d’argento, un Orso d’argento a Berlino (1972), un Leone d’oro (1995) ed un Donatello alla carriera (1999).

Morirà nel 2003 nella città che gli diede i natali.

Roma, Cimitero Monumentale Verano, cappella della famiglia Sordi (foto dell’Autrice)

Il secondo personaggio del cinema che vi presentiamo è un altro attore, Aldo Fabrizi, nato nel 1905 da due fruttivendoli che avevano il banco in Campo de’ Fiori. Esordisce nel 1931 nel Varietà, declamando versi di alcune sue poesie in dialetto romanesco. L’anno seguente, sposa la compagna di scena e di vita Beatrice Rocchi, in arte Reginella. Dagli anni Quaranta agli anni Settanta, con il coronamento della consegna del Premio di Donatello alla carriera (1988), la sua attività cinematografica lo vede spesso interpretare i panni del personaggio malinconico ma che, per la sua inconfondibile stazza robusta, riesce a connotarlo anche di grande comicità. Tra le sue interpretazioni si vuole ricordare il ruolo del prete nel film Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, vincitore di tantissimi premi.

Roma, Cimitero Monumentale Verano, cappella della famiglia Fabrizi (foto dell’Autrice)

E proprio con Rossellini vogliamo continuare questa passeggiata, perché anche il regista, pilastro del cinema Neorealista italiano, riposa al Verano. Nato a Roma nel 1906 in una famiglia borghese, durante la giovinezza tenta di conciliare l’attività edile del padre con l’amore per il cinema, decidendo in un secondo momento di dedicarsi soltanto a quest’ultimo. Moltissimi i film girati: oltre a Roma città aperta, si possono ricordare Paisà (1946), Germania Anno Zero (1947), Stromboli, terra di Dio (1949), Europa 51 (1952), Viaggio in Italia (1953), pellicole queste in cui emerge chiaramente la costante ricerca filmica di Rossellini: impregnare l’occhio della telecamera di realtà, proprio come si presenta, e della psicologia degli attori che si muovono dietro di essa.

Una curiosità: nei pressi della cappella di famiglia, si trova ciò che resta di una colonnina telefonica che nel 1946 la T.E.T.I. installò per permettere a Rossellini di lavorare a distanza per il suo film Germania Anno Zero. Tutto nacque a seguito della morte, avvenuta a soli nove anni, del primogenito Romano sulla cui tomba i genitori passarono intere giornate a vegliare. Muore a Roma nel 1977.

Roma, Cimitero Monumentale Verano, la colonnina T.E.T.I. installata in prossimità della cappella della famiglia Rossellini (foto dell’Autrice)

Altro regista che incontriamo al Verano è il grande Vittorio De Sica. Nato a Sora (FR) nel 1901, inizia a scrivere la sua carriera nel cinema recitando negli anni Trenta e Quaranta, ma terminata la Seconda Guerra abbraccia poi la regia. Tra i suoi primi film del genere neorealista non si può non ricordare Ladri di biciclette (1948): un uomo arriva a mettere in pegno le sue lenzuola per acquistare una bicicletta da lavoro che presto, però, gli viene rubata; la ricerca del ladro è lunga e sfinente finché, preso dalla disperazione, non pensa di compiere lo stesso gesto ricevuto, sennonché alcuni passanti, accorgendosi del misfatto, gli si rivoltano contro. Soltanto il pianto del figlio Bruno, che lo aveva assistito dall’inizio in quella ricerca, eviterà al padre il carcere. Il film gli farà vincere l’Oscar.

La serie dei film che De Sica ha girato è davvero lunga, ma si possono ricordare L’oro di Napoli (1954) in cui vediamo recitare insieme grandi del cinema quali Totò, Eduardo de Filippo e Sophia Loren, oppure La Ciociara (1960), tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia. Allo stesso modo lunga è la lista dei premi ricevuti: oltre in Ladri di biciclette, riceverà la Palma d’oro a Cannes per Miracolo a Napoli (1951) ed altri due premi Oscar per Ieri, oggi e domani (1963) e per Il giardino dei Finzi Contini (1970). Muore quattro anni dopo, a Parigi, per una complicanza dovuta ad un’operazione.

Roma, Cimitero Monumentale Verano, Vittorio De Sica (foto dell’Autrice)

Proseguiamo con Marcello Mastroianni, nato nel 1926 in provincia di Frosinone. Giovanissimo, viene notato da Visconti che lo chiama come protagonista di Un tram che si chiama desiderio (1948). Dopo quest’esordio, l’attore si incammina nel mondo del cinema: verrà per sempre ricordato nel ruolo del cronista Marcello ne La Dolce Vita (1960) di Federico Fellini e nella figura di Guido nel film Otto e mezzo (1963), dello stesso regista.

Indimenticabili le pellicole recitate insieme alla collega Sophia Loren come Ieri, oggi e domani (1963) e Matrimonio all’italiana (1964) di De Sica; Una giornata particolare di Ettore Scola (1977) e, dello stesso regista, commovente il ruolo che interpreterà in Che ora è (1989): qui Mastroianni recita la figura del padre avvocato che tenta in tutti i modi di avvicinare il figlio Michele – Massimo Troisi – alle proprie aspirazioni; in un dialogo fatto di distanze, l’unico oggetto che riuscirà infine ad avvicinare i due sarà il vecchio orologio del nonno ferroviere e quel gesto, tanto semplice, di prenderlo tra le mani e domandarsi «Che ora è?». Muore a Parigi nel 1996.

Roma, Cimitero Monumentale Verano, Marcello Mastroianni (foto dell’Autrice)

Non distante da Mastroianni riposa Nino Manfredi, anche lui nato nella provincia di Frosinone nell’anno 1921. Gli studi lo portano a laurearsi in legge, ma presto viene attratto prima dal teatro e poi dal cinema: i suoi primi ruoli riguardano la figura del provinciale popolano, le cui semplici ma oneste virtù si contrappongono ai vizi mondani e alla cecità dell’uomo di città.

Successivamente, Manfredi riuscirà a crearsi una pelle attoriale tutta sua, che tanto lo farà assomigliare alla comicità malinconica di Eduardo De Filippo. Vince diversi Nastri d’argento: due nel 1970 in Per Grazia ricevuta di cui fu il regista, un altro nel 1980 in Café Express di Nanni Loy.

Nei nostri ricordi rimarrà per sempre la sua interpretazione come Geppetto in Le avventure di Pinocchio (1972) nella miniserie televisiva di Luigi Comencini. Muore a Roma nel 2004.

Roma, Cimitero Monumentale del Verano, Nino Manfredi (foto dell’Autrice)

L’ultimo attore che abbiamo incontrato e con il quale si chiude il gruppo del cinema è Vittorio Gassmann, nato a Genova nel 1922. Da giovane, una volta giunto nella Capitale, si iscrive all’Accademia d’arte drammatica e ben presto il teatro gli apre le sue quinte: da interpretazioni classiche a quelle più moderne, Gassmann dà prova di non avere alcuna difficoltà nel vestire ruoli tra loro così poliedrici. Tra le amicizie della giovinezza, si vuole ricordare quella con Luigi Squarzina, che gli permetterà di brillare sul palco nel ruolo protagonista in Amleto.

L’amore e la bravura per la recitazione lo spingono a muovere i primi passi nel mondo del cinema, con il rapporto risulterà però problematico a causa dei suoi modi teatrali. Tuttavia, l’amicizia con Monicelli lo porterà ad interpretare ruoli per cui verrà per sempre ricordato come nel ladro balbuziente, “Peppe er pantera”, ne I soliti ignoti (1959). Oltre a Monicelli, non si può non menzionare la collaborazione avuta con un altro grande regista, Ettore Scola, con il quale lavorò in film intramontabili come C’eravamo tanto amati (1974), storia di una profonda amicizia nata tra tre uomini durante la Guerra di Liberazione.

Vittorio Gassmann muore a Roma nel 2000. In ricordo della sua notevole altezza, sulla lapide è stato ironicamente scritto: Non fu mai impallato!

Roma, Cimitero Monumentale Verano, Vittorio Gassmann (foto dell’Autrice)

Proseguendo il nostro percorso per il Cimitero, passiamo ora al secondo ed ultimo gruppo di personaggi noti a cui diamo il nome di poesia: Giuseppe Gioachino Belli, Cesare Pascarella e Carlo Alberto Salustri sono tre penne che verseggiarono, nel loro personale stile, la variopinta società romana.

Belli nasce a Roma nel 1791. La sua infanzia sarà travagliata dalla povertà e, qualche tempo dopo, anche dalla morte di entrambi i genitori. Dopo aver ricevuto un’istruzione gesuita, al 1805 risale la sua prima opera poetica, La Campagna, e poco più che ventenne entra nell’Accademia Tiberina con il nome di Linarco Dirceo. L’immissione in quell’ambiente gli permette di ritagliarsi un ruolo sociale cui tanto aveva ambito, ma la sicurezza economica arriva soltanto quando, a venticinque anni, sposa la ricca vedova Maria Conti, dal cui matrimonio deriverà un’agiatezza tale da potersi finalmente dedicare allo studio e alla poesia. A questo periodo risalgono infatti i suoi Sonetti romaneschi, ben 2279 componimenti nei quali Belli ha saputo incredibilmente cogliere le infinite anime della plebe romana, la corruzione dei poteri forti, la lascivia e scontentezza dell’imbelle aristocrazia romana.

Roma, Piazza Giuseppe Gioachino Belli, monumento al poeta (foto tratta da wikipedia.org)

Nonostante avesse dato prova di un’inesauribile produzione poetica, più tardi il poeta rinnegherà tutto il suo operato al punto da ordinarne l’intera distruzione. Per fortuna, ciò non avverrà. I suoi Sonetti, a quell’epoca considerati “clandestini” per la natura del loro contenuto, riceveranno un’enorme ondata di successo arrivata, però, soltanto postuma; Belli infatti muore nel 1863 a Roma, mentre la prima edizione dei Sonetti seguirà l’anno successivo.

Da cristiano! Si mmoro e ppo’ arinasco, Pregh’Iddio d’arinassce a Rroma mia!

Roma, Cimitero Monumentale Verano, Giuseppe Gioachino Belli (foto dell’Autrice)

Il secondo poeta è Cesare Pascarella, nato a Roma nel 1858. I suoi esordi lo vedono impegnato come pittore, ma presto sarà la poesia a chiamarlo: dopo i primi scritti in dialetto romanesco, Pascarella consacra la sua carriera nel 1886 con i sonetti Villa Gloria, che riceveranno persino l’encomio di Giosuè Carducci.Certamente, però, a rimanere impressa nella memoria è la raccolta dal titolo La scoperta de l’America (1893), 50 sonetti articolati come un racconto corale dove la gente del popolo, trovatasi in una bettola, ricorda la storia di Cristoforo Colombo. Rispetto a Belli che non si esimie dal dare il proprio giudizio esterno, al contrario Pascarella non fa commenti, riuscendo incredibilmente a riportare in vita sentimenti e fatti di una Roma oggi intangibile.

“Ma lui, capischi, lui la pensò fina!
Lui s’era fatto già l’esperimenti,
E dar modo ch’agiveno li venti,
Lui capì che la terra era vicina;
Percui, lui fece: intanto se cammina,
Be’, dunque, dice, fàmoli contenti,
Ché tanto qui se tratta de momenti…
Defatti, come venne la matina,
Terra… Terra…! Percristo!… E tutti quanti
Ridevano, piagneveno, zompaveno…
Terra… Terra…! Percristo!… Avanti… Avanti!
E lì, a li gran pericoli passati
Chi ce pensava più? S’abbraccicaveno,
Se baciaveno… E c’ereno arrivati!”

Muore nella Capitale nel 1940.

Roma, Cimitero Monumentale Verano, sepoltura famiglia Pascarella (foto dell’Autrice)

L’ultimo personaggio, con cui chiudiamo la nostra passeggiata, è il poeta Carlo Alberto Salutri, in arte Trilussa, nato a Roma nel 1871. Terminata la scuola, si dedica alla lettura dei suoi poeti preferiti, Belli e Zanazzo, decidendo di mutare il suo nome nell’anagramma del cognome; presto, perciò, inizia a scrivere brevi poesiole sul Rugantino dello stesso Zanazzo e su altri quotidiani come Il Messaggero firmandosi a quel modo.

Accanto all’incipiente attività di scrittore, Trilussa inizia anche ad esibire pubblicamente i suoi versi dialettali e, in queste sue esperienze, scoprirà presto quel terreno che lo renderà tanto unico nel suo genere: capisce infatti che la favola sia la giusta formula con cui raccontare i fatti – dalla politica alla cronaca, fino al fanatismo dei potenti –, offrendo una morale.

Si ricordano alcune pubblicazioni come Cento favole (1934), Libro muto (1935), Duecento sonetti (1937), Lo specchio e altre poesie (1938), La sincerità e altre fiabe nove e antiche (1939). Della collana “I Classici” della Mondadori, uscirà postuma (1951) in un solo volume l’intera raccolta delle sue poesie.

Il primo dicembre del 1950, pochi giorni prima di morire, a Trilussa arriva la comunicazione che Luigi Einaudi, l’allora Presidente della Repubblica, lo aveva nominato senatore a vita. Malato e costretto a rimanere a letto, così si sente di esprimersi: M’hanno nominato senatore a morte.

Concludiamo questo nostro contributo con una breve poesia. I versi sono stati incisi presso la sepoltura del poeta e costituiscono una bella visione della vita.

“C’è un’ape che se posa
Su un bottone de rosa
Lo succhia e se ne va...
Tutto sommato la felicità
È una piccola cosa.”

Roma, Cimitero Monumentale Verano, Trilussa (foto dell’Autrice)

Sitografia essenziale:

https://www.comingsoon.it/

https://visite.cimitericapitolini.it/

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

In relazione alle foto di Giulia Abbatiello, ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autrice e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

Le foto sono state scattate su gentile concessione della Direzione Cimiteri Capitolini.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Scritto in data: 15 luglio 2021

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Pubblicato da Giulia Abbatiello

Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.