Città in fiamme: bombardamenti e beni culturali durante la Seconda Guerra Mondiale

L’avanzare delle operazioni belliche nel corso della Seconda Guerra Mondiale determinò presto l’utilizzo di un tipo di azione di guerra fino a quel momento poco conosciuta: il bombardamento aereo. Infatti, se nella Prima Guerra Mondiale soltanto alcune azioni mirate avevano visto l’uso di questo tipo di offensiva, con il secondo conflitto mondiale tale pratica divenne sempre più frequente in quanto capace di creare danni particolarmente ingenti e diffusi al nemico, oltre che minarne anche morale e psicologia sociale. La distruzione della città belga di Lovanio e il bombardamento della cattedrale di Reims già nel 1914, però, spinsero ad effettuare una profonda riflessione sulla vulnerabilità del patrimonio culturale in caso di bombardamento[1].

La cattedrale di Amiens protetta dai bombardamenti, 1940 (foto di Emmanuel Louis Mas, tratta da: https://lasottilelineadombra.com/2016/11/16/opere-arte-guerra-mondiale-amiens-emmanuel-louis-mas/)

Sin dalla fine degli anni ’30, infatti, furono avviati censimenti ed inventari di beni mobili ed immobili vulnerabili ai bombardamenti; già in questa fase giocarono un ruolo fondamentale le Soprintendenze, cui era affidato il compito di censire il patrimonio artistico e culturale, predisponendo appositi registri per ogni tipologia di bene: “per i beni mobili si riportò il numero approssimativo di casse, i metri cubi di materiali da imballo, il costo per il tempo dell’imballo ed il trasporto alla sede destinata, segnalando la località di ricovero, i mezzi di trasporto impiegati ed il personale incaricato. Nella scelta dei beni mobili da includere negli elenchi sottoposti ad un rilievo fotografico sistematico era necessario svolgere una classificazione preliminare: un primo gruppo rientrava nella voce opere di «preminente interesse artistico e più esposte ai pericoli di guerra»; un secondo gruppo era composto da «opere di qualche interesse artistico esposte ai pericoli bellici» e per ultimo le opere rimanenti. Nel trasporto nelle località di destinazione si era studiata meticolosamente ogni strategia per mantenere segreto il percorso di viaggio. Ogni ente privato proprietario di beni da tutelare e interessato alle attività di sgombero doveva elaborare un piano particolareggiato[2]”.

Con il passare del tempo e lo scoppio e l’avanzare del conflitto, le indicazioni divennero maggiormente operative: “nel 1942 il Ministro Bottai […] diede alcune direttive di protezione antiaerea comuni. Dopo un’iniziale constatazione dell’ottima riuscita dell’opera protettiva condotta in tutta Italia, il Ministro si raccomandò di estendere queste opere protettive, rafforzandole, soprattutto in rapporto alla prevenzione dai danni da incendi. Ritenne inoltre opportuno che ogni Soprintendenza si dotasse di un gruppo di restauratori capaci ad intervenire d’urgenza per salvare affreschi danneggiati con opere di consolidamento in situ o distacco, addestrati al rapido recupero di elementi ornamentali o frammenti architettonici caduti e confusi con le macerie [3]”.

Questi accorgimenti permisero, nel corso dei mesi, di salvare una grande parte del patrimonio culturale; infatti, come si era temuto, i bombardamenti sulle città italiane (e non solo) furono una costante per quasi tutta la durata della Seconda Guerra Mondiale. In tale periodo, molti luoghi di conservazione artistica e culturale e tantissimi monumenti vennero colpiti. Con il passare del tempo e dei bombardamenti emerse, poi, l’esigenza di tenere traccia delle conseguenti distruzioni e del livello di protezione adottato per quei beni immobili che, naturalmente, era stato impossibile spostare e inviare nei rifugi. Così Bottai invitò le Soprintendenze a “compilare e mantenere aggiornato uno speciale schedario, nel quale andavano conservate tutte le indicazioni relative ai monumenti ed alle opere d’arte protette in situ [4]”.

Poco tempo dopo il nuovo Ministro Seviri “dispose che tutti gli inventari dei musei e delle gallerie statali venissero spediti al Ministero, che avrebbe provveduto a conservarli in luogo sicuro [5]”.

Particolarmente a rischio erano i centri industriali del Nord del paese: Genova, Milano e Torino subirono moltissimi bombardamenti; stessa sorte toccò alle città portuali con importanza strategica e militare come Messina, Napoli e La Spezia; tuttavia “i primi bombardamenti sull’Italia, condotti negli anni di guerra precedenti all’armistizio del settembre 1943, furono i più indiscriminati, perché non erano solo mirati verso obiettivi strategici, avevano anche una funzione psicologica, d’intimidazione verso la popolazione civile di una nazione nemica. In questa fase i danni causati al patrimonio furono molto ingenti (e calcolati al 95% dei danni complessivamente causati dagli alleati): basterà citare i bombardamenti a Milano, a Viterbo, a Pompei e Benevento (con la distruzione della cattedrale)[6]”.

Proprio a Milano, bombardata più o meno costantemente per lunghi mesi, operò uno dei principali artefici dei piani di inventariazione e messa al sicuro dei beni culturali: Gino Chierici [7]. L’architetto toscano, che all’epoca del conflitto era soprintendente dell’Arte medievale e Moderna di Milano, pianificò il “Programma Difesa Antiaerea”, con il quale effettuò interventi di messa in sicurezza e spostamento in rifugio dei beni mobili contenuti nel Palazzo Reale di Milano e presso la Certosa di Pavia, contribuendo inoltre a segnare la sorte, in questo caso benevola, di uno dei più importanti dipinti di Leonardo: “L’Ultima Cena”. Quest’ultimo, infatti, uscì indenne dal conflitto anche grazie al fatto che nel piano di Chierici si prevedeva la protezione attraverso impalcature e sacchi di sabbia di quegli affreschi per i quali non vi era la possibilità di spostamento in luogo più sicuro. Grazie alla sua azione, Milano si dotò in poco tempo di oltre 370.000 sacchi di sabbia da utilizzarsi per la protezione di questa tipologia di bene culturale; l’operazione apparve di fondamentale importanza quando, in due successive riprese particolarmente distruttive, il 15 e il 16 agosto 1943, i bombardamenti cancellarono buona parte delle opere murarie del refettorio di Santa Maria delle Grazie, ove si trova il noto affresco sopra menzionato.

Tuttavia, Milano fu obiettivo di innumerevoli bombardamenti che segnarono profondamente la popolazione, che si trovò a contare oltre 2.000 morti [8], e il suo patrimonio monumentale: si riscontrarono, infatti, ingenti danni a tutto il tessuto urbano, crolli al Teatro La Scala e alla Pinacoteca di Brera, oltre che al Duomo.

Il bombardamento di Pompei fu poi uno dei più discussi e che più colpirono l’opinione pubblica: diventato, nel 2006, oggetto di una pubblicazione appositamente dedicata curata dalla Soprintendenza Archeologica (Danni di guerra a Pompei: una dolorosa vicenda quasi dimenticata: con numerose notizie sul Museo pompeiano distrutto nel 1943), il sito archeologico era già stato oggetto di interesse di Ugo Ojetti nel suo “I monumenti italiani e la guerra” del 1917, ma con l’inizio del secondo conflitto mondiale la vulnerabilità del sito era ormai chiara a tutti, compreso Marino Lazzari [9] che, a tal proposito, affermava: “una delle chiacchere preferite dalle commissioni e sottocommissioni ginevrine era questa: che la guerra s’avesse a fare, fosse almeno una guerra docile e senza troppi guai, umanitaria, dicevano: e del passato… distruggesse il meno possibile… E i mezzi proposti non potevano apparire più imparziali, anche se ingenui: convenzioni internazionali […] ciò premesso, dichiaro subito che tutte le misure umanamente possibili sono state prese per impedire che le bombe nemiche abbiano a mietere vittime innocenti tra i documenti storici della civiltà artistica italiana. […] quanto ai grandiosi complessi monumentali di Pompei e di Ercolano, le opere di protezione si sono dovute necessariamente limitare a pochi edifici, fra i più insigni (la villa dei Misteri, la Casa dei Vettii) e alla rimozione delle opere d’arte amovibili”. Le misure di sicurezza si rivelarono fondamentali, anche se non decisive, fin da subito: “dal 1940 in poi vi sono segnalazioni di caduta di ordigni bellici vari, e non sempre nemici, ma provocati anche dai pezzi della difesa antiaerea del Gruppo che a Castellammare di Stabia doveva proteggere il porto e il cantiere navale. Il 19 febbraio 1941 si ha la prima avvisaglia di quello che poteva capitare: durante una incursione aerea nemica caddero due bombe esplosive nelle adiacenze della Villa dei Misteri, ad oriente del monumento. Per fortuna, nessun danno. La sera del 22 ottobre del 1941 caddero nel Viale dei Platani […] alcuni spezzoni incendiari lanciati dai velivoli inglesi della RAF. Tutti questi fatti erano sporadici eventi, quasi normali per una nazione in guerra. Ma l’inferno arrivò nel 1943, quando le sorti della guerra […] cambiarono completamente prospettiva, facendo presagire l’imminente crollo dell’Asse italo-tedesco. Per preparare i successivi sbarchi in Italia gli alleati martellavano il territorio con massicci bombardamenti [10]”.

A partire da quell’anno, Pompei venne ripetutamente bombardata insieme ad Ercolano e a tutto il territorio circondario di Napoli: una prima ondata di bombardamenti, il 24 agosto, colpì il settore sud-occidentale degli scavi e il Museo pompeiano; mentre una seconda, ancora più distruttiva, investì Pompei nel mese di settembre, quando gli Alleati, puntarono ad eliminare definitivamente le batterie antiaeree che gli occupanti tedeschi avevano sciaguratamente installato “a nord e a sud del Santuario della Madonna di Pompei […] e nel viale presso la Villa dei Misteri e di qualche autocarro militare tra il Piazzale di Porta Marina e l’esedra dell’Anfiteatro”. I danni, molti dei quali irreparabili, furono ingentissimi e difficilmente elencabili [11]; basti pensare che solo all’inizio del 2021 [12] è terminato il restauro delle colonne della Casa del Fauno gravemente danneggiate da una delle bombe del bombardamento di settembre 1943.

Bombardamenti su Pompei (foto tratta da: Luciana Iacobelli, Pompei ed Ercolano tra le due guerre, http://www.isses.it/Convegno230208/iacobelli/iacobelli.htm)
Bombardamenti su Pompei (foto tratta da: Luciana Iacobelli, Pompei ed Ercolano tra le due guerre, http://www.isses.it/Convegno230208/iacobelli/iacobelli.htm)

Il 1943 fu anno funesto anche per Benevento, centro di importanza strategica vista la centralità per le comunicazioni tra la capitale e il sud–est dell’Italia; la città subì bombardamenti angloamericani ripetuti già dal 21 agosto e fino al 15 settembre, quando ben cinque ondate di bombardieri rasero quasi al suolo il centro storico e la cattedrale.

Secondo alcuni, il triste primato della città più bombardata, spetterebbe a Torino: diventata fin dagli anni ’20 un sito strategico per la produzione industriale e l’innovazione tecnologica del paese, ad inizio conflitto la città ospitava numerose industrie ed imprese, prima fra tutte la FIAT. Passarono solo due giorni dalla dichiarazione di guerra di Mussolini prima che la città subisse il primo bombardamento, il 12 giugno 1940; ad esso seguirono oltre 40 incursioni fino all’aprile 1945, causando oltre 2.100 vittime.

La mappa dei danni nel centro di Torino. Le varie gradazioni di rosso indicano gli edifici danneggiati (foto tratta da: https://www.museodiffusotorino.it/news/1335/percorsi-nei-luoghi-dei-bombardamenti-e-dei-danni-di-guerra)

Per la protezione del patrimonio culturale, particolare attenzione fu posta alla tutela dei beni mobili, per i quali era stato previsto lo spostamento verso luoghi sicuri, previa compilazione degli elenchi indicati dal Ministero: “il 26 giugno 1940 lo sgombero del patrimonio artistico del Piemonte era ultimato. In totale furono depositate nei ricoveri 580 opere, per le quali si organizzò un adeguato servizio di custodia in loco [13]”. Lo spostamento di così tanti beni mobili generò problematiche di organizzazione del trasporto e richiese una attenta valutazione per la scelta delle località di ricovero. In taluni casi furono scelte località del circondario della città: si trattava soprattutto di ville o castelli privati, riadattati alla conservazione delle opere su richiesta della Soprintendenza; in altri casi, invece, il patrimonio mobile fu inviato in località più lontane, come il “castello di Fénis che ospitò diversi materiali della Biblioteca Civica e […] il Castello di Racconigi dove furono depositati i cerimoniali della Biblioteca Reale [14]”.

Come si è visto per gli altri centri urbani, anche nel capoluogo sabaudo si provvide alla protezione dei beni immobili e ai monumenti in loco: “si pensò alla difesa dei più importanti monumenti isolati situati nelle piazze di Torino, come quelli dedicati al Principe Amedeo, all’Esercito Sardo, al Re Carlo Alberto, al Conte verde, ad Emanuele Filiberto, a Cavour e ai Dioscuri [15]”. Particolarmente sentita rimane ancora oggi la vicenda del cosiddetto “Caval d’Brons [16]”: protetto da uno scrigno difensivo fatto in legno che lo ricopriva interamente già dal dicembre 1940, conobbe la violenza dello scoppio di uno spezzone incendiario durante il bombardamento dell’8 agosto 1943 che determinò l’incendio dello scrigno protettivo che venne completamente distrutto, ma dal quale la statua uscì praticamente indenne.

L’incendio della protezione in una foto dei vigili del fuoco del 1943 e la statua quasi indenne (foto tratta da: AA.VV., Salvare Torino e l’arte. Storie di interventi per la tutela del patrimonio umano e artistico durante la II Guerra Mondiale, Graphot Editrice, 2018).

Già nel 1944, a conflitto non ancora concluso e in una Italia non ancora completamente liberata dagli occupanti, “si iniziarono a quantificare i danni procurati dalla guerra e il Ministero ne dispose una catalogazione. Essa doveva consistere in un doppio schedario fotografico: il primo, redatto dalle Soprintendenze ai Monumenti, doveva riguardare gli edifici monumentali e le eventuali opere d’arte presenti al loro interno; il secondo, redatto dalle Soprintendenze alle Gallerie, avrebbe riguardato le sole opere d’arte mobili. Un terzo schedario, per autore, sarebbe poi stato redatto dal Ministero in base ai dati forniti dai due precedenti. Il Ministero richiese la collaborazione delle Soprintendenze per facilitare le riprese fotografiche che l’Istituto Luce stava eseguendo [17]”.

Tale conta dei danni, verosimilmente ancora oggi incompleta, colpì in modo fortemente negativo la parte di patrimonio costituita dai beni immobili: nonostante i vari piani di difesa antiaerea e gli accorgimenti adottati negli anni ’30 e nel corso del conflitto stesso, i monumenti furono quelli che maggiormente pagarono il conto delle azioni belliche.

La distruzione dell’Abbazia di Montecassino e del Camposanto di Pisa sono le perdite più note, ma ogni città italiana bombardata ebbe una parte più o meno importante del proprio patrimonio monumentale distrutta o gravemente danneggiata. [Per quanto riguarda le opere antiche] a soffrire furono soprattutto i ponti romani. Fra le perdite più serie: le Galere di Nemi, i ponti romani di Capri e di Verona, la collezione archeologica di Ancona (distrutta per due terzi.). I monumenti medievali e moderni ebbero perdite maggiori. Fra i monumenti romanici forse la perdita più seria fu la Cattedrale di Benevento e le sue porte bronzee. Di monumenti distrutti molto gravemente, la chiesa di S. Ciriaco di Ancona, il tempio Malatestiano di Rimini, una serie di architetture e interni palladiani a Vicenza[18]”.

Una idea di massima dei danni a monumenti italiani si ha con la raccolta di immagini creata dal progetto  “A story map [19]”, ma il censimento completo di bombardamenti, danni e vicende ad essi legate è ancora oggi, come molta storia recente, oggetto di studio e di indagine storiografica.

Ciò che rimane tristemente attuale sono le motivazioni per le quali, in alcuni casi, le azioni belliche puntano alla distruzione di siti archeologici, di musei e centri storico monumentali: essi diventano obiettivi strategici in quanto parte fondante ed integrante di una cultura nazionale e di una identità sociale. In questo senso la cancellazione di un bene culturale diventa la metafora di distruzione di un patrimonio storico identitario della popolazione stessa e la manifestazione della capacità del nemico di annientare la società sotto tutti i punti di vista.

Terminata la Seconda Guerra Mondiale questa tendenza pare essersi ancora maggiormente acuita con episodi come la distruzione dello storico ponte di Mostar, nell’attuale Bosnia-Erzegovina, in occasione dei conflitti nell’ex Jugoslavia nel 1993; il saccheggio del Museo Archeologico di Baghdad e l’incendio dell’Archivio di Stato del 2003 durante la seconda guerra del golfo; i furti nel Museo del Cairo durante gli scontri civili di piazza Tahrir del 2011 o la distruzione dell’area archeologica di Palmira operata dall’Isis nel 2015. Per queste ragioni appare sempre attuale la necessità di tutela e protezione di ciò che è fondamento delle civiltà anche, e soprattutto, in periodo di guerra.


[1] V. Pacini, La tutela delle opere d’arte tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, pubblicato su La Tutela del Patrimonio Culturale – Blog (09.11.2020)

[2] AA.VV., Salvare Torino e l’arte. Storie di interventi per la tutela del patrimonio umano e artistico durante la II Guerra Mondiale, Graphot Editrice, 2018.

[3] Ibidem

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] R. Raineri, Protezione e recupero del patrimonio culturale durante i conflitti, Atti della Conferenza “I Lunedì della Crociera” Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma 23 novembre 2009.

[7] Per approfondimenti, si veda: SIUSA – Chierici Gino (beniculturali.it) e patrimonio sos: in difesa dei beni culturali e ambientali

[8] A. Rastelli, Bombe sulla città, Milano, Ugo Mursia Editore, 2000,

[9] Marino Lazzari fu un letterato italiano, stretto collaboratore del Ministro Bottai, particolarmente attento alle questioni relative alla tutela del patrimonio culturale; a questo riguardo pubblicò: M. Lazzari, La protezione del patrimonio artistico nazionale dalle offese della guerra aerea, Le Monnier, Firenze, 1942.

[10] Laurentino Garcìa y Garcìa, Danni di guerra a Pompei: una dolorosa vicenda quasi dimenticata, Soprintendenza Archeologica di Pompei, 2006.

[11] Per una elencazione puntuale dei danni subiti dagli scavi, si veda Laurentino Garcìa y Garcìa, Danni di guerra a Pompei: una dolorosa vicenda quasi dimenticata, Soprintendenza Archeologica di Pompei, 2006.

[12] Pompei: tornano le colonne della Casa del Fauno – Campania – ANSA.it

[13] AA.VV., Salvare Torino e l’arte. Storie di interventi per la tutela del patrimonio umano e artistico durante la II Guerra Mondiale, Graphot Editrice, 2018.

[14] Ibidem

[15] Ibidem

[16] In piemontese, significa letteralmente “cavallo di bronzo” ed è usato per definire la statua equestre dedicata ad Emanuele Filiberto collocata in Piazza San Carlo.

[17] AA.VV., Salvare Torino e l’arte. Storie di interventi per la tutela del patrimonio umano e artistico durante la II Guerra Mondiale, Graphot Editrice, 2018.

[18] R. Ranieri, La tutela del patrimonio culturale in Italia durante la Seconda guerra mondiale, in Protezione e recupero del patrimonio culturale durante i conflitti. Atti della Conferenza “I Lunedì della Crociera” Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma 23 novembre 2009, Fondazione Ranieri Di Sorbello, pp. 53-67.

[19] Alcune immagini dei monumenti e dei palazzi distrutti in Italia dai bombardamenti nella 2 guerra mondiale (arcgis.com)

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Simona Pons

Scritto in data: 30 gennaio 2021

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Pubblicato da Simona Pons

Architetto; laureata in Beni Culturali (ambito di interesse: architettura fortificata )