Finalborgo (SV) e il Museo Archeologico del Finale

La bellezza salverà il mondo”, con queste parole rimaste mitiche nella letteratura mondiale, Fëdor Dostoevskij consegna al principe Miškin nel romanzo “L’Idiota” quasi un testamento morale, cui fior fiore di filosofi – tra i quali il grande Friedrich Nietzsche, che considerò Dostoevskij come l’unico vero cristiano – hanno dedicato le loro fatiche.

La bellezza di cui parla il principe nel romanzo non fa, però, riferimento all’aurea di esteriorità che banalmente caratterizza la realtà, quanto piuttosto – e aggiungo io esclusivamente – “all’inequivocabile manifestarsi del bene”.

Quindi: è bello ciò che è bene per l’umanità.

Vi starete certo chiedendo dove si vuole andare a parare con queste elucubrazioni “filosofiche” quando non vanaglorie erudizioni. Il motivo è presto detto: vogliamo parlarvi di un’esperienza vissuta nel Comune di Finale Ligure, in provincia di Savona, e più precisamente del borgo medievale, denominato Finalborgo, e del suo museo archeologico.

Finalborgo è definito, a ragione, “uno dei borghi più belli d’Italia”. Ad esso si accede attraverso due porte monumentali, Porta Testa e Porta Reale, valicando le quali ci si immette in una realtà dove i monumenti e i siti culturali rendono tangibile e “respirabile” il clima medievale. Attraversata la Porta Reale, immediatamente alla sua sinistra, vi è la cattedrale in stile barocco dedicata a San Biagio; all’interno del borgo possono, inoltre, ammirarsi il Complesso Monumentale di Santa Caterina, sede del museo archeologico, il Palazzo del Tribunale, già sede giudiziaria dal 1311 al 2013, ora adibito a museo e utilizzato per eventi culturali di spessore, e il Teatro Aycardi, realizzato tra il 1804 e il 1806 e recentemente ristrutturato.

Non potendo in questa sede dedicare esaustiva descrizione di ogni singolo sito culturale, ci si limiterà al museo archeologico, che, agli occhi e all’anima del visitatore, mostra tutta la sua essenza del bello.

Il “Museo Archeologico del Finale”, di proprietà comunale, è gestito dalla Sezione Finalese dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri ed è inserito all’interno del complesso monumentale di Santa Caterina in Finalborgo, dove è stato allestito nel 1976-1977 per opera dell’allora direttore Oscar Giuggiola. Nelle sue dieci sale, sono esposti reperti e informazioni che ripercorrono la storia del territorio e dell’uomo che lo ha vissuto dal Paleolitico all’età medievale e moderna.

Al nostro arrivo ci accoglie il direttore, Prof. Daniele Arobba, specializzato in archeobotanica, che ci farà compagnia per tutta la durata della visita, spiegandoci nel dettaglio la nascita, lo sviluppo e le attuali progettualità del museo.

Nella prima sala sono esposti i pannelli con le illustrazioni delle informazioni geologiche, che forniscono dettagli relative alla formazione e all’evoluzione rocciosa del territorio finalese. Si scopre che la formazione del territorio ha avuto luogo da un affioramento di rocce risalenti a circa quindici milioni di anni fa, già sedimentate sul fondale marino, che hanno poi portato alla formazione della Pietra di Finale. L’origine marina del sedimento terraneo è confermata, in particolare, dalla presenza di diverse specie fossili rinvenute e anch’esse esposte. Col tempo, su queste rocce, grazie anche all’azione dell’acqua, si sono formate delle caverne, che sono andate, poi, a costituire l’habitat delle prime comunità preistoriche.

Nelle sale, nello specifico dalla seconda alla settima, è ricostruita, attraverso i reperti esposti – sebbene alcuni dei quali siano delle riproduzioni –, la presenza antropica dal Paleolitico all’Età dei Metalli e possiamo così apprendere della prima comparsa dell’Homo erectus risalente al Paleolitico inferiore, giunto in Europa circa 1,8 milioni di anni fa. La sua presenza è confermata dal rinvenimento in situ di pietre scheggiate su ambo i lati e per questo dette “bifacciali” dalle quali, a mezzo di percussione, si otteneva una lama. Via via che si procede nella visita ci si rende conto di come la “tecnica” di queste prime comunità si evolvesse: se nell’età del Paleolitico le pietre apparivano rudimentali nella loro fattezza perché essenzialmente usate per tagliare e scuoiare, nel periodo del Mesolitico esse vengono levigate e affinate perché utilizzate anche come arnesi per la caccia e la difesa dagli animali. È strabiliante assistere a questo passaggio antropologico visitando le sale e toccando con mano, è proprio il caso di dire, perché alcuni reperti sono stati replicati affinché i visitatori, tramite un’esperienza tattile, possano rendersi conto dell’evoluzione umana e propriamente di quella culturale. Particolarmente interessante ci sembra il rinvenimento di scheletri all’interno di alcune tombe scoperte nell’area e risalenti al Paleolitico superiore, quello del “giovane principe” delle Arene Candide, la cui sepoltura risale a 24mila anni fa, e quella del “bambino degli scoiattoli”, risalente a 11mila anni circa, conservate ed esposte in originale al Museo di Archeologia Ligure di Genova Pegli.

Lo scheletro del “giovane principe” giace supino, leggermente versato sul fianco sinistro; il suo braccio sinistro e disteso lungo tutto il corpo, mentre quello destro è flesso di novanta gradi e nella mano impugna un’arma; conserva i denti delle due arcate. Il corredo funerario appare ricco: la testa è coronata da una cuffia composta di piccole conchiglie e sicuramente questo dettaglio porta a considerare la sua provenienza regale; sulla spalla sinistra e lungo i fianchi vi sono quattro “bastoncini” con una estremità a punta e l’altra circolare con foro centrale di cui la ricerca non è ancora riuscita a svelarne l’utilità; accanto alle ginocchia sono posti due pendagli a forma di otto, forse per allacciare i gambali. Lo scheletro è mancante della parte destra tra il collo e la clavicola ed è probabile che il “giovane principe” sia stato attaccato da qualche animale, forse un orso, e che sia stata questa la causa della morte, sopraggiunta a distanza di alcuni giorni.

Scheletro del “giovane principe” delle Arene Candide (foto di Leonardo Miucci)

Lo scheletro del “bambino degli scoiattoli” è disteso con il tronco e il cranio leggermente flessi verso destra; le braccia lungo tutto il corpo; giace su uno strato di ocra rossa ed è coperto da un mantello di code di scoiattolo; accanto al cranio vi sono quattro ciottoli levigati di forma quasi rettangolare con gli angoli tondeggianti, probabilmente oggetti di gioco.

Scheletro del “bambino degli scoiattoli” (foto di Leonardo Miucci)

Nella quinta e sesta sala sono allestiti reperti risalenti al Neolitico. Si assiste, infatti, alla presenza di arnesi maggiormente funzionali all’agricoltura e alla pastorizia, quali, per esempio, asce e pietre levigate, nonché di alcune ceramiche dalle quali venivano ricavate brocche a bocca quadrata, tipiche del periodo.

Due particolari reperti destano la nostra curiosità: la pintadera in terracotta (oggetto dalla forma allungata, quasi rettangolare, con superficie inferiore puntellata a mo’ di tampone e su quella superiore, al centro, un occhiello), il cui uso era rituale e destinato alle decorazioni del corpo; il token (oggetto di forma quasi cilindrica, intagliato sulla superficie), probabilmente usato per le misurazioni.

La settima sala del museo è riservata all’età dei metalli, dove sono esposti reperti relativi all’epoca del Rame, Bronzo e Ferro, dai quali è possibile apprendere come le attività e i rapporti umani iniziarono a cambiare radicalmente e a intensificarsi, soprattutto grazie agli scambi commerciali con le altre comunità. Le armi in ferro, un elmo di fattura etrusca e alcune monetazioni depongono a favore di tale tesi e nella sala, alcuni reperti, sono efficacemente esposti.

La sala ottava è dedicata all’età romana, bizantina e altomedievale, la quale viene ripresa sia dalla presenza di reperti di quell’epoca – tra cui vasellame in ceramica, monetazione dell’era repubblicana, una tomba a cassetta con relativo piccolo corredo funerario – sia da alcune raffigurazioni magnificamente realizzate, che rappresentano scene di battaglia e la costruzioni di strade e ponti dell’età romana.

La sala nona è riservata all’epoca medievale e moderna e lo scenario cambia notevolmente. I reperti esposti, per lo più ceramiche e quindi oggetto di uso quotidiano, presentano una superficie lavorata e colorata.

Infine nell’ultima sala, la decima, sono esposte le monete antiche, che completano la visita di una ricca collezione numismatica che parte dalla Grecia fino, possiamo dire, quasi ai giorni nostri.

Il prof. Arobba ci informa della didattica, che il museo conduce ormai da anni, soprattutto a favore dei più piccoli, i quali vengono introdotti all’archeologia attraverso varie attività svolte all’interno dello stesso museo, finalizzate a far comprendere tutto il lavoro dell’archeologo, dal ritrovamento allo studio dei reperti.

Esistono, fortunatamente, realtà del nostro Paese dove la cura della Storia che lo ha contraddistinto e quella delle tradizioni costituiscono un tratto caratteristico della dimensione del bello cui si diceva all’inizio. Una di queste realtà e sicuramente Finalborgo.

Si sente spesso parlare di fruizione e tutela del nostro patrimonio culturale: ebbene, la visita del museo di Finalborgo ci ha restituito il senso di come tali attività – di cui tutti parlano – vengano rese concrete e di come il “bello” si converte autenticamente al “bene”.

Si ringrazia il prof. Daniele Arobba, Direttore del Museo Archeologico del Finale, per aver concesso la pubblicazione degli scatti fotografici.

Foto di Leonardo Miucci. Ne è assolutamente vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autore e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 17 settembre 2023

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa