La prevenzione sismica del patrimonio culturale: realtà o utopia?

È ormai tristemente noto come una delle principali cause di distruzione, perdita o danneggiamento di beni culturali [1], sia costituita da eventi calamitosi di natura sismica, la cui previsione, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, risulta pressoché impossibile e problematica. Sul piano scientifico, è accertata l’impossibilità di previsione della grandezza, del luogo e dell’ora di un evento sismico, in quanto non sono mai stati identificati alcuni “precursori deterministici”, cioè fenomeni la cui osservazione porta con certezza al verificarsi dello stesso evento [2].

L’attività sismica che ha coinvolto ed investito duramente, nell’autunno 2016, molti comuni di quattro regioni del Centro Italia, ci ha posto dinanzi agli occhi, oltre che la fragilità del nostro territorio nazionale, anche e soprattutto le criticità di tutta la macchina organizzativa, dai primi momenti di emergenza alla messa in sicurezza, fino alla ricostruzione. Tutto ciò si presente come molto più di un grave problema e di una altrettanto acuta emergenza: pone, infatti, sfide che possiamo decidere di raccogliere o rimuovere, di riconoscere o di ridimensionare, di affrontare subito o di rinviare. Sfide che per la loro portata, profondità e implicazioni, superano la ristretta dimensione delle tecniche e degli interventi di emergenza, per porre domande squisitamente politiche che riguardano il cuore della società italiana e delle sue istituzioni [3]. Riportando alcuni dati, sarà più facile comprendere i motivi che possano giustificare un intervento legislativo atto a ridurre o eliminare l’elevato rischio sismico in cui versano innumerevoli edifici.

Impalcatura per lavori di messa in sicurezza della chiesa di San Giovanni di Macerata (foto di Antonio Troiano)

Attualmente, si trova nella condizione di elevato rischio sismico quasi il 44% del territorio, il 36% dei comuni, 21,8 milioni di persone, 10,4 milioni di abitazioni. La quota di vetustità o inadeguatezza del patrimonio edilizio equivale al 55% se ci riferiamo ad abitazioni che insistono su edifici di oltre 50 anni, quota che sale al 70% nelle città di medie dimensioni e al 76% in quelle metropolitane.

Gli eventi percepiti dalla popolazione, con magnitudo uguale o superiore a 4,0, dal 1985 ad oggi, sono stati 774, di cui ben 45 hanno avuto una magnitudo superiore a 5,0 [4] .

Nonostante sia risaputo, dunque, che il territorio sul quale viviamo è frequentemente soggetto ad eventi calamitosi tali da far ritenere che la miglior soluzione sia la strada della prevenzione, quest’ultima risulta ancora tristemente poco battuta. È comunque vero che, provare a farlo, porrebbe problemi di portata inimmaginabile. Basti pensare, restando nel campo dei beni culturali, che, riferendoci solamente al sisma del 24 agosto e 30 ottobre 2016, nella zona colpita, gli immobili vincolati o comunque soggetti alla disciplina del Codice dei beni culturali sono più di 6.500. Sarebbe, perciò, richiesta un’azione ciclopica, per mezzi investiti, continuità nel tempo e cooperazione di strutture pubbliche e private, oltre che per la partecipazione, almeno per quanto riguarda l’informazione, della popolazione. Qualsiasi tipo di iniziativa in materia, presuppone una base conoscitiva, condivisa e accessibile a istituzioni, imprese e privati. Per realizzare ciò, tutto ruota intorno alla politica e alle politiche pubbliche. Eppure, a ben guardare, ostacoli maggiori scaturiscono proprio dal fatto che intervenire ad ampio spettro ed in profondità su queste forme di rischio richieda la progettazione e messa in opera di politiche complesse e strettamente integrate fra di loro, vale a dire di segno del tutto opposto alle dinamiche divaricanti tuttora prevalenti nella nostra realtà amministrativa ed istituzionale [5]. Manca una disciplina unitaria di prevenzione sismica, dovuta, tra le altre cause, soprattutto ad una divaricazione nelle politiche pubbliche generata da un rapporto tra amministrazione centrale e periferica che, prima con il decentramento attraverso la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha rimodulato le competenze, e poi con la brusca frenata e il fortissimo riaccentramento di poteri e risorse, hanno creato un forte smarrimento e disuguaglianza tra le varie autonomie locali. Per fare un esempio basti limitarsi all’applicazione regionale dei criteri per la delimitazione delle aree di rischio sismico, che ha generato 20 classificazioni diverse [6], con il risultato di politiche di prevenzione concretamente diverse da regione a regione, anche a parità di condizioni. In questo contesto disorganico si continua, anno dopo anno, con una conseguente tensione tra adozione di vari regimi speciali, a confezionare norme e decreti legittimati dalle singole emergenze, con il risultato di rendere, nello stesso tempo, più difficoltosa l’attività da porre in essere in condizioni di emergenza e le deroghe alla disciplina ordinaria.

I tentativi di prevenzione sono rari, come scarne sono pure le norme che trattano di prevenzione, e tutti i tentativi di innovazione riscontrati fino ad ora, si sono dimostrati soccombenti e limitati da un sistema che non è purtroppo incentrato sulla prevenzione.

Sul piano normativo, nel settore dei beni culturali, la norma vigente più importante che riflette quantomeno una logica di prevenzione è senza dubbio l’art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. In particolare, il primo comma ci enuncia che «la conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro», definendo a sua volta nel suo secondo comma la prevenzione come « il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto», mentre rispetto al rischio sismico, il comma 4, riferito al restauro dei beni immobili culturali, specifica che « nel caso di beni immobili situati nelle zone dichiarate a rischio sismico in base alla normativa vigente, il restauro comprende l’intervento di miglioramento strutturale», affermando come il restauro debba tener conto del rischio sismico su cui il bene è situato e quindi essere finalizzato, oltre che alla conservazione del bene, anche alla prevenzione di eventuali danni causati da terremoti. Siamo di fronte ad una disposizione di grande valore, ma di carattere puramente generale, che mette nero su bianco il principio di prevenzione nei beni culturali, legato ad interventi di restauro del bene stesso, da cui non si può prescindere. Tuttavia tale norma, rispetto alla mancanza di altre norme che rendano realizzabile tale prevenzione in modo unitario su tutto il territorio, assume solamente un forte valore simbolico. Essa conclude infatti un lungo percorso di carattere storico-giuridico partito con la “Carta Italiana del restauro” del 1972 che per la prima volta aveva introdotto il termine salvaguardia, come l’insieme di quei provvedimenti conservativi che non implicano necessariamente l’intervento diretto sull’opera. Sin da quegli anni si auspicava infatti l’introduzione di nuove norme ispirate a principi di conservazione programmata, cioè di attività di tutela incentrata sulla protezione dei beni culturali dai possibili rischi ambientali, al fine di evitarne il deterioramento, e quindi limitare al tempo stesso, la necessità di interventi massicci ed onerosi di restauro [7].

All’art. 29 del Codice, hanno fatto seguito una serie di circolari, direttive e linee guida adottate dal MIBAC, oltre a quelle emanate in condizione di emergenza e di cui si tratterà in seguito, che sono caratterizzate dal fatto di prevedere una serie di obblighi posti in capo a coloro che intendono realizzare interventi di carattere edilizio su immobili situati in zona sismica. Sono perlopiù una serie di indicazioni di carattere tecnico che trovano fondamento nel comma 5 dello stesso art. 29 del Codice, secondo il quale «Il Ministero definisce, anche con il concorso delle regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti, linee di indirizzo, norme tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali». Tra queste, si ricorda la principale, ovvero la circolare MIBAC 2 dicembre 2010 “linee guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 14 gennaio 2008”, costituita da una serie di norme metodiche e tecnico-costruttive, il cui scopo è essenzialmente quello di poter formulare un giudizio sulla sicurezza e conservazione degli edifici in muratura, analogo a quello per gli immobili non vincolati, ma adattato alle peculiarità di un immobile storico, al fine di poterne delineare gli interventi di adeguamento sismico.

Altra circolare è quella del segretario generale MIBAC n.15 del 30 Aprile 2015 intitolata “disposizioni in materia di tutela del patrimonio architettonico e mitigazione del rischio sismico” concernente l’obbligo di allegare una scheda sinottica dell’intervento nella richiesta di autorizzazione.

Appare evidente da questo quadro normativo, come non esistano attualmente norme di una certa rilevanza, se non di carattere puramente tecnico, che rendano omogenei sul territorio nazionale gli interventi di prevenzione sismica, se non interventi normativi regionali, che, solo in alcuni casi, si sono rivelati funzionali al loro scopo di prevenzione. Emerge dunque, che dal punto di vista normativo manca una cultura di prevenzione che attui pienamente il principio espresso dal comma 5 dell’ art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio [8] , la quale (prevenzione) potrebbe evitare, al verificarsi del rischio stesso, la distruzione o il danneggiamento del bene. Importante a tal riguardo potrebbe risultare un recupero funzionale ed un utilizzo corretto della cosiddetta “carta del rischio” ideata negli anni ’90 dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, il cui fondamento giuridico è costituito dall’art. 1, co. 2, lett. b, della legge 19 aprile 1990 n. 84 [9], rendendola un vero e proprio strumento di prevenzione, mediante la segnalazione di beni storico-artistici non solo a fini di catalogazione, ma indicando, tra questi, quelli sui quali occorra intervenire con restauri o adeguamenti sismici, più o meno urgentemente, in base all’area di rischio sulla quale questi si trovano. Tale adeguamento sarebbe possibile solo mediante un intervento legislativo che vada ad istituzionalizzare tale strumento di prevenzione, che ad oggi risulta essere a cura dell’Istituto Centrale di Restauro, in modo tale da renderlo mezzo di coordinazione e scambio di dati al tempo stesso fra pubbliche amministrazioni, soprintendenze, specialisti del settore e cittadini. 


[1] Solo nell’ultimo sisma del 2016 sono stati danneggiati oltre 8500 beni culturali. Sono 3.245, in particolare, i beni culturali immobili danneggiati. Nel 90 per cento dei casi questi beni immobili sono chiese. I beni culturali mobili danneggiati sono, invece, circa 5.300. (Fonte: dati unità di crisi nazionale Mibac, aggiornati al 27 Novembre 2016)

[2] F. Mulargia, Prevedibile/imprevedibile, eventi estremi nel prossimo futuro, Rubbettino editore, Catanzaro, 2015, 259.

[3] M. Cammelli, Rischio sismico, territorio e prevenzione, in Aedon n.2, 2017, pp.1-8.

[4] Fonte: dati INGV, aggiornati al dicembre 2018.

[5] M. Cammelli, Rischio sismico, territorio e prevenzione, in Aedon n.2, 2017, pp.1-8.

[6] Dati dell’Istituto Fisico di Geofisica e Vulcanologia. (INGV), aggiornati al dicembre 2018.

[7] E. Cavalieri, La tutela dei beni culturali, 2011, in Riv. Trim. dir. Pubbl., n.2, 473-494.

[8] Secondo il quale «Il Ministero definisce, anche con il concorso delle regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti, linee di indirizzo, norme tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali».

[9] Legge 19 aprile 1990, n. 84 “Piano organico di inventariazione, catalogazione ed elaborazione della carta del rischio dei beni culturali, anche in relazione all’entrata in vigore dell’Atto unico europeo: primi interventi.”

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Antonio Troiano

Foto di Antonio Troiano. Ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autore e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Scritto in data: 13 maggio 2020

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Il presente contributo è un estratto della tesi in diritto dei beni culturali intitolata “I beni culturali e la P.A. nell’emergenza sismica” (a.a. 2018-2019) discussa dal dott. Antonio Troiano nell’ambito del corso di laurea in Giurisprudenza, Università degli Studi di Macerata.

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