La tutela delle aree demaniali sottoposte a vincolo archeologico e l’eventuale uso dei privati

Quando parliamo di tutela del patrimonio archeologico, dobbiamo sempre domandarci quali sono, in concreto, le attività che le autorità preposte possono e devono attivare a tal riguardo, soprattutto quando si prefigura la possibilità di cedere in concessione ai privati siti o aree archeologiche di proprietà pubblica.

Vi raccontiamo una storia, partendo da una domanda: è possibile concedere in concessione un’area archeologica, quindi di proprietà demaniale, a privati?

La risposta è sì, ma… Ecco a voi la storia.

Supponiamo che Tizio chieda e ottenga in concessione per alcuni anni un’area archeologica di proprietà pubblica al fine di avviare sulla stessa un’attività avente scopo compatibile con la dimensione culturale del sito. A fronte della concessione Tizio si obbliga a corrispondere allo Stato un canone annuo e, soprattutto, a non mutare il vincolo di destinazione dell’area.

Tuttavia Tizio, pur avendo ottemperato per alcuni periodi al pagamento del canone, si rende poi inadempiente verso lo Stato, omettendo di corrispondere il canone e, cosa ancora più grave, muta la destinazione dell’area, realizzando abusivamente alcuni vani abitativi con annesso forno e avviando sulla stessa un’attività commerciale che non ha alcuna attinenza con l’essenza culturale del sito, ma anche completamente avulsa dal vincolo di destinazione.

Passano gli anni, tanti anni, e Tizio, rimanendo inadempiente, continua nella sua attività commerciale, fino al punto di adibire l’area ad una vera e propria discarica nella quale trovano posto, in stato di abbandono, non solo rifiuti definiti ordinari ma anche speciali, tra cui alcuni elementi di amianto posti a copertura dell’abitazione in loco abusivamente realizzata.

Nel frattempo Tizio non dà seguito alle ripetute richieste dell’organo concedente e, in particolare, alla messa in mora di rilasciare l’area. Solo un’azione di forza permetterà, poi, all’Ente di ritornare in possesso del sito con la conseguente sottoposizione di Tizio a procedimento penale.

La storia, sommariamente raccontata e benché tratta dalla fantasia, costituisce motivo di riflessione per meglio inquadrare la questione che ci siamo posti all’inizio.

Vediamo in che termini, secondo il dettato e la ratio della legge, è possibile assegnare in concessione ai privati le aree demaniali sottoposte a vincolo archeologico.

Occorre subito precisare che le aree archeologiche sono beni immobili appartenenti allo Stato secondo la disposizione di legge contenuta all’art. 822 del codice civile, ed infatti: “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia ”.

Inoltre, per ragioni di completezza, occorre citare anche l’art. 826, comma 2°, del codice civile: “Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Statole cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo”.

I beni culturali di proprietà pubblica sono assoggettati ad un particolare regime giuridico, diverso da quelli di proprietà privata, e ciò in quanto essi sono caratterizzati dalla esigenza di soddisfare interessi della collettività e quindi superiori a quelli privati. Ovviamente per tali beni l’interesse della collettività è maggiore e quindi maggiore deve essere la loro tutela. Essi, infatti, non possono formare oggetto di diritti da parte di terzi, nel senso che vige la regola di assoluta inalienabilità, e non possono essere dati in concessione, se non nei modi previsti dalla legge.

Ora, nel tralasciare di considerare quali sono nello specifico le procedure amministrative che consentono di riconoscere l’interesse culturale del bene (la cui disamina rimanda all’art. 12 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, non oggetto del presente intervento), è bene soffermarsi sulla possibilità che l’Ente pubblico ha di concedere ai privati tali beni.

In relazione alla loro destinazione e fruizione, si distinguono tre forme diverse di utilizzazione di beni culturali demaniali: ad uso generale; ad uso speciale; a titolo particolare.

I beni culturali demaniali ad uso generale sono tutti quei beni che ammettono una normale fruizione da parte della collettività senza alcun bisogno di adottare provvedimenti amministrativi. L’esempio più elementare è quello del privato cittadino che acquista il biglietto per visitare un bene monumentale. Di questa tipologia di beni se ne occupa l’art. 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dove al comma 1° così recita: “Ai fini del presente codice sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali”.

L’uso speciale di tali beni, a differenza di quelli a uso generale, è costituito dal fatto che per la loro fruizione è necessaria l’adozione di un atto amministrativo perché, per esempio, su quella determinata area vi insiste un servizio pubblico: l’utenza della rete idrica. Di essi si occupa l’art. 103 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dove, dopo aver precisato che “L’accesso agli istituti ed ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento …” (comma 1°), evidenzia, inoltre, che “Nei casi di accesso a pagamento, il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali determinano … i casi di libero accesso e di ingresso gratuito …” (comma 2°).

Infine, l’uso a titolo particolare o eccezionale può essere attribuito al privato solo previa adozione di un atto di concessione. È questo il caso, per fare un esempio, del Tizio della nostra storia. Di tali beni si occupa l’art. 106 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dove viene affermato che: “Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti” (comma 1°) ed inoltre “Per i beni in consegna al Ministero, il Ministero determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento” (comma 2°).

Quali sono le conseguenze in caso di violazioni delle prescrizioni contenute nell’atto di concessione e, in particolare, in caso di violazione circa la destinazione d’uso del bene?

Ogni caso è a sé, ma diciamo che intanto deve essere revocata al soggetto la concessione ed egli deve essere posto nella condizione di ripristinare a sue spese l’area.

Dal punto di vista delle conseguenze penali, in termini generali il soggetto privato potrebbe, in astratto, rispondere di una serie di reati, tra cui quello previsto all’art. 169 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che punisce con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell’Articolo 10 (potrebbe rientrare in questa fattispecie l’esecuzione di opere abusive nell’esempio di Tizio, sebbene la realizzazione delle stesse comporta una individuazione di reato a sé stante ai sensi delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 380/2001), ovvero ancora per violazione dell’art. 518-duodecies del codice penale, là dove si viene sanzionati con la reclusione da due a cinque anni e la multa da € 2.500 a 15.000 se si destinano beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico, artistico, ecc…

Quindi, in conclusione, rispondendo alla domanda da cui siamo partiti, possiamo dire che sì, certamente i beni culturali di proprietà pubblica (demaniali), sebbene non possano formare oggetto di diritti dei terzi (compravendita, usufrutto, ecc…), possono tuttavia essere momentaneamente ceduti ai privati, previa adozione di un atto amministrativo di concessione limitato nel tempo e dietro pagamento del relativo canone, fermo restando l’obbligo, da parte dello stesso privato, di non destinare il bene ad usi incompatibili con la loro essenza di culturalità.

Un sistema così concepito si propone lo scopo di contemperare alcuni interessi in gioco, che non devono ritenersi contrapposti: da una parte, il bene culturale demaniale dato in concessione viene così offerto ad una fruizione più efficace per la collettività; dall’altra, il privato che lo riceve, ottiene dal suo uso un relativo introito, a patto che ne mantenga inalterata la sua destinazione.

La sintesi che ne consegue dal contemperamento di tali interessi viene espressa attraverso una forma di tutela permanente in cui lo Stato e il privato agiscono in sinergia per il bene della collettività e la tutela del patrimonio culturale.

Bibliografia essenziale:

  • Codice penale e di procedura penale, edizione Dike giuridica, Roma 2023.
  • A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino 2011.
  • L. Mazza (a cura di), Le disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale. Una prima lettura, Pisa 2023.

Sitografia:

https://www.beniculturali.it/carabinieritpc

https://www.altalex.com/

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 9 aprile 2023

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa