La tutela paesaggistica

A chiusura di questo terribile anno, abbiamo deciso di affrontare un argomento che solo apparentemente sembra lontano dalle trattazioni finora analizzate, ma che a ben vedere può – e anzi deve – essere considerato in modo indivisibile dalla dimensione culturale. Stiamo parlando del paesaggio e della relativa tutela.

Il punto di partenza dal quale conviene prendere le mosse è la nostra Costituzione.

Come è noto, la Costituzione afferma, all’art. 9, e quindi nei primi immodificabili dodici articoli, che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Nella previsione del Codice dei beni culturali e del paesaggio (il D.Lgs.vo n. 42 del 2004), all’art. 2 viene definito il patrimonio culturale quale costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici, in perfetta e unitaria visione con la Carta costituzionale.

Abbiamo già spiegato cosa si intenda per beni culturali e quali siano da un punto di vista giuridico.

Dobbiamo ora affrontare la stessa questione in riferimento al paesaggio ed ai beni paesaggistici.

A tal riguardo soccorre l’art. 131, che, al comma 1, così recita: «Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni».

Come è facile notare, anche per la definizione di paesaggio, così come per i beni culturali, appare decisivo l’aspetto legato alla identità, intesa come elemento che permette la identificazione, e l’identificarsi con un determinato territorio. E infatti non è difficile riuscire a individuare una località attraverso una caratteristica del territorio che la rappresenta. Pensiamo, per esempio, all’Etna, che già mentalmente richiama la Sicilia e, in particolare, Catania; oppure al Vesuvio con la sua Napoli; o ancora alle Cinque Terre liguri, e via dicendo.

Ecco allora che la dimensione paesaggistica del nostro patrimonio culturale permette, al pari dei beni culturali (artistici, storici, archeologici, etnoantropologici, bibliografici, architettonici, archivistici), di ritrovarsi attorno ad un elemento identitario comune del nostro essere appartenenti ad una data realtà territoriale.

Va da sé quindi che il paesaggio, quale elemento che caratterizza quel territorio e identifica il popolo che lo vive, deve essere tutelato e valorizzato.

Ma quali sono i beni paesaggistici? E, soprattutto, quali sono gli strumenti di tutela di cui dispone l’ordinamento giuridico?

È lo stesso Codice a fornirci la risposta alla prima domanda all’art. 134, comma 1°, che così dispone:

«Sono beni paesaggistici:

a) gli immobili e le aree di cui all’articolo 136, individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141.

Si tratta di tutte le cose «immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali»; «le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza»;«complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici»; «le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze».

Tali cose, però, per assurgere a beni paesistici debbono essere dichiarati di notevole interesse pubblico, ai sensi delle disposizioni contenute negli articoli dal 136 al 141 del Codice.

Si tratta, in sostanza, di un procedimento amministrativo [1], avviato su iniziativa ministeriale o regionale, ovvero su iniziativa di altri enti pubblici territoriali interessati, previa acquisizione delle necessarie informazioni tese alla valutazione della sussistenza del notevole interesse pubblico.

«La proposta è formulata con riferimento ai valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono».  

b) le aree di cui all’articolo 142.

Si tratta delle aree comunque tutelate per legge, a prescindere da un eventuale provvedimento.

A titolo esemplificativo ma non certamente esaustivo, esse sono: «i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare; i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua…; le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole ghiacciai e i circhi glaciali; i parchi e le riserve nazionali o regionali …; le foreste e i boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco …; i vulcani; le zone di interesse archeologico».

c) gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell’articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156».

È questa una norma di chiusura in quanto fa ricomprendere nel novero dei beni paesaggistici tutte quelle aree che, non rientrando nelle due ipotesi precedenti, presentano tuttavia caratteristiche tali da imporne la tutela, previa dichiarazione del notevole interesse pubblico e inserimento nel piano paesistico, di cui parleremo a breve.  

Con la risposta alla seconda domanda entriamo direttamente nel merito della tutela dei beni paesistici. Occorre, però, una breve premessa.

La tutela dei beni paesistici presuppone la loro individuazione e in tale quadro assume importanza l’attività di pianificazione paesaggistica a cui sono chiamati gli organi di tutela, in primis le Soprintendenze, le quali, attraverso l’adozione «piano paesaggistico», individuano le aree da sottoporre a tutela.

Il «piano paesaggistico» presuppone la «ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, mediante l’analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse dalla natura, dalla storia e dalle loro interrelazioni», nonché di tutte le aree, gli immobili, ecc…, meglio elencati all’art. 143 del Codice.

In sostanza la pianificazione paesaggistica e l’adozione del relativo piano mirano alla individuazione delle aree in relazione alle quali si adotterà il provvedimento di vincolo.

Fatta questa doverosa premessa, la tutela paesistica si estrinseca attraverso due istituti fondamentali: i vincoli e l’autorizzazione paesaggistica.

Nella prassi l’iter è il seguente.

Il soggetto che desidera eseguire alcuni lavori su un’area di sua proprietà sottoposta a vincolo paesaggistico [2], è tenuto a presentare il progetto oltre che al Comune competente anche alla Soprintendenza perché valuti la fattibilità delle opere in relazione ai vincoli di tutela.

Al termine dell’istruttoria la Soprintendenza, in caso positivo, rilascerà un’autorizzazione paesaggistica, che è un provvedimento diverso e che prescinde dalla concessione comunale, la quale ne deve, inoltre, richiamare gli estremi.

In presenza di un eventuale diniego della Soprintendenza il Comune non è legittimato a rilasciare la concessione di sua competenza.

Può accadere che nel corso dell’istruttoria la Soprintendenza riscontri alcune irregolarità che possono essere superate attraverso alcune modifiche al progetto ed invita il richiedente a provvedere.

In caso di non accoglimento del progetto la Soprintendenza emetterà un previo provvedimento endoprocedimentale, sostanzialmente un preavviso di rigetto, attraverso il quale la parte viene resa edotta dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda ed invitata a presentare memorie o controdeduzioni, che saranno ulteriormente valutate ai fini di un’eventuale rivisitazione della decisione.

Ovviamente, in caso di provvedimento finale di rigetto, alla parte soccombente è rimessa la facoltà di adire la Giustizia amministrativa innanzi alla quale potrà azionare tutti i rimedi previsti dalla legge.

In caso di realizzazione di opere in assenza di autorizzazione (opere illecite) o in difformità di quella rilasciata al trasgressore si applica la sanzione prevista nel Testo unico delle disposizioni in materia edilizia, il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Il sistema prevede, poi, alcune ipotesi di comportamenti illeciti sanzionati amministrativamente.

Si tratta dell’obbligo di rimessione in pristino, previsto all’art. 167 del Codice, in virtù del quale il trasgressore è obbligato a ripristinare, a proprie spese, lo stato dei luoghi, ovvero al pagamento di una somma di denaro equivalente.

Inoltre è previsto, all’art. 168, la sanzione per chi colloca cartelli pubblicitari in aree paesaggistiche vincolate.

Queste ultime due fattispecie meritano, in realtà, una disanima più approfondita che sarà oggetto di trattazione nei prossimi interventi.

In conclusione, alla luce delle digressioni che precedono, è possibile affermare che la tutela paesaggistica si pone, nell’ottica della Costituzione, insieme con quella dei beni culturali, l’obiettivo di salvaguardare la nostra identità.


[1] Potremmo definire simile a quello previsto per la dichiarazione di interesse culturale dei beni di cui all’art. 10, comma 3, del Codice.

[2] La normativa conosce diverse tipologie di vincoli che ovviamente non è possibile trattare esaustivamente in questa sede.  

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 14 dicembre 2020

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa