L’Affare Ventura: antiquari e collaborazionisti intorno alla Seconda guerra mondiale. Una ricerca ispirata ai documenti dell’Archivio Siviero (parte 2)

Il 10 agosto 1945 su richiesta dell’Ufficio Recupero Opere d’Arte, al cui comando era Rodolfo Siviero, e della sottocommissione Alleata per le Arti in Italia, il Comando della Compagnia Interna dei Carabinieri di Firenze, disponeva il fermo dell’antiquario fiorentino Eugenio Ventura, il quale dovette rendere noto il nascondiglio, il Convento di San Marco, di un nucleo di opere di sua proprietà, ma su cui si stava indagando per accertarne la provenienza. In seguito a vari interrogatori al Ventura e ad altri personaggi coinvolti, si riscostruirono le vicende che avevano portato l’antiquario in possesso, tramite scambio col maresciallo Göring, di opere di autori francesi, rapinate da agenti tedeschi in gallerie d’arte e collezioni di proprietà israelita, in cambio di opere d’arte italiana.

Dai vari interrogatori ai quali il Ventura e altre persone coinvolte vennero sottoposte, emersero i particolari che seguono. Il Ventura dichiarò di aver ricevuto una prima visita da parte di Walter Andreas Hofer, direttore delle gallerie d’arte del maresciallo Göring, nell’autunno del 1941.  L’offerta che ricevette fu di scambiare alcune opere di sua proprietà, fra le più preziose della sua collezione, con quelle di “impressionisti francesi” di cui la sua collezione era effettivamente sprovvista. Successivamente Ventura si fece spedire, in un primo momento, le riproduzioni fotografiche per far valutare le opere a chi di competenza, in questo caso Roberto Longhi come quest’ultimo dichiarerà; poi decise di farsi consegnare i quadri personalmente dall’Hofer. Le trattative tra Göring e Ventura andarono avanti fino all’8 marzo 1943, data in cui l’affare e lo scambio delle opere si conclusero. Il Ventura ammetteva anche di avere, in un recente passato, trattato altre vendite di opere destinate in Germania e, fra queste, un quadro attribuito a Rubens, acquistato dal Principe d’Assia per conto di Hitler.

Il 12 agosto anche Giovanni Poggi, allora soprintendente alle Gallerie per le Provincie di Firenze, Arezzo e Pistoia, venne chiamato dalla Squadra Investigativa per chiarire il comportamento assunto dal Ventura nei confronti della Soprintendenza, in occasione del cambio di opere effettuato col maresciallo Göring. Egli dichiarò che la richiesta d’importazione temporanea fu ricevuta dalla dottoressa Ciaranfi, preposta a tale incarico e che, per ragioni che non si era ancora potuto accertare, non comunicò al proprio Soprintendente una notizia di tale valore, pur conoscendo, in ragione stessa della sua qualità, l’occasionale importanza delle opere giunte in Italia. Poggi aggiunse che, in occasione della Mostra d’Arte Francese organizzata a Palazzo Pitti, la Soprintendenza favorì le autorità francesi nel far pervenire il maggior numero di opere a Firenze e in tale occasione Ventura espose alcuni suoi quadri, ma non gli impressionisti scambiati con Göring, benché il soprintendente gli esprimesse il proprio rammarico per non aver potuto raccogliere un più notevole numero di opere dovute proprio al pennello di quegli autori in possesso del Ventura.

Fattagli notare la contraddizione con quanto affermato poco prima, Poggi concluse dichiarando di essere stato in parte a conoscenza delle opere italiane cedute da Ventura a Göring, ma che nessuna richiesta di esportazione era stata presentata alla Soprintendenza di Firenze. Analoghe dichiarazioni vennero rilasciate dal direttore presso la Soprintendenza alle Gallerie ed alle Opere d’Arte per le provincie di Firenze, Arezzo e Pistoia, Ugo Procacci. Emerso dunque il nome di Longhi, venne sentito anche quest’ultimo e alla domanda sulla provenienza delle opere d’arte antica italiana di proprietà Ventura, rinvenute insieme alle opere francesi, Longhi rispose che provenivano dalla collezione Gentner acquistata dal Ventura. A proposito dell’acquisto della collezione Gentner, d’altra parte, emergevano vari sospetti, in particolare riguardanti la vendita, effettuata in condizioni del tutto dolose ed ai danni dello Stato, cui erano momentaneamente devoluti i beni dei sudditi, considerati di Stati nemici, fra i quali erano da annoverarsi il prof. Filippo Gentner, nella sua qualità di cittadino americano.

Successivamente ad una stima del valore dei beni che furono del Gentner da parte della Soprintendenza, l’Intendenza di Finanza il 1° dicembre 1942 autorizzava a procedere alla loro vendita. Il valore che se ne sarebbe ricavato non doveva essere inferiore al milione di lire. Con atto in data 15 dicembre 1942, veniva aggiudicata al Ventura la consistenza dei beni mobili del Gentner per la somma complessiva di £. 1.450.000. Sembrava, quindi, che la vendita fosse avvenuta regolarmente secondo legge, ma ulteriori indagini rivelarono che così non fu.

Interrogato il notaio che sottoscrisse l’atto che aveva aggiudicato la vendita, questi riconosceva che offerte di gran lunga superiori a quella corrispondente al prezzo di vendita praticata al Ventura, gli erano state regolarmente inviate per iscritto da altri concorrenti. E richiesto di giustificare il modo di agire inammissibile tenuto in proposito, dichiarava che fu indotto a procedere come sopra dalle pressioni del Ventura che, continuamente, protestava la sua conoscenza col Senatore Morelli e con Mussolini, affermando che avrebbe, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, ottenuto di esse l’aggiudicatario della gara stando alle sue condizioni.

Il Ventura venne nuovamente interrogato e confermò che quelle rinvenute nel convento di S. Marco erano opere rimaste in suo possesso dall’acquisto della raccolta Gentner. Le ammissioni più gravi, comunque, fatte nel secondo interrogatorio dal Ventura, erano quelle relative alla continuità dei suoi rapporti con i rappresentanti del maresciallo Göring e primo fra essi, il noto Hofer che già da vari anni frequentava, sia pure per ragioni artistiche, la dimora del Ventura.

Dopo il sequestro delle opere di proprietà del Ventura, i quadri di pittori francesi vennero presi in carico dalle autorità ministeriali, portate a Roma e custodite presso la Galleria d’Arte di villa Borghese per essere poi mostrate al pubblico proprio nella capitale, sotto la custodia di Ranuccio Bianchi-Bandinelli, che si fece carico di coordinare le operazioni di restituzione. Durante l’estate del 1946 la mostra a Palazzo Venezia chiuse i battenti e i nove quadri sequestrati al Ventura avrebbero dovuto essere portati all’Ambasciata di Francia per il rimpatrio. Nel trasporto, il pastello di Degas, subì un incidente: la struttura della cornice non sostenne il peso del quadro e del vetro di protezione, il quale, cadendo, si ruppe lacerando il foglio molto fragile su cui l’artista aveva eseguito il disegno. Il taglio percorse il foglio in diagonale dall’alto a sinistra in basso a destra. In seguito il signor Paul Rosenberg, proprietario dell’opera, richiese un indennizzo allo Stato italiano, che rigettò la richiesta.

Dopo l’incidente al Degas, ricevuta l’autorizzazione ufficiale alla restituzione le opere furono imballate, pronte per essere inviate in Francia. Il 28 novembre arrivarono a destinazione e, in attesa di essere restituite ai legittimi proprietari, furono custodite presso i locali della Commission Récupération Artistique a Parigi.

Degas, Donna che si pettina, fotografia pubblicata in “La Nazione del Popolo”, 17 agosto 1945, digitalizzazione del quotidiano conservato presso il Museo di Casa Rodolfo Siviero
Vincent van Gogh, Paysage à Saint-Rémy, fotografia pubblicata in La Nazione del Popolo, 17 agosto 1945, digitalizzazione del quotidiano conservato presso il Museo di Casa Rodolfo Siviero

Le opere italiane cedute dal Ventura a Göring, invece, furono identificate presso il Collecting Point di Monaco dalla Delegazione Italiana per il recupero delle opere d’arte, partita alla volta della Germania il 27 settembre 1946. Alla Delegazione prese parte Giorgio Castelfranco, che, come per tutti i beni rinvenuti, anche per quelli che furono oggetto dello scambio Göring-Ventura, stilò precisi elenchi e dettagliati rapporti.

Grazie al lavoro di Castelfranco e del resto della Delegazione, fu possibile identificare le opere ritrovate e, confrontando con quanto, invece, era rimasto nei depositi e nei musei italiani, indicare quelle ancora da recuperare. Una volta restituite le nove opere di pittori impressionisti al Governo francese e proprio alla luce di quanto effettuato dal Governo italiano perché questo avvenisse, da parte delle autorità italiane fu fortemente sollecitata la restituzione delle opere d’arte ancora in Germania. Ma fu solo grazie all’accordo De Gasperi-Adenauer del 1953 che la restituzione venne finalmente accordata e alcune delle opere dello scambio Göring-Ventura rientrarono fisicamente in Italia nel mese di giugno del 1954.

Ritorno in Italia delle opere esportate abusivamente da Goering, in “Il Giornale d’Italia”, 7 giugno 1954, digitalizzazione dal quotidiano conservato presso il Museo di Casa Siviero.

Infine, le opere, una volta tornate in Italia, vennero restituite alla città di Firenze, da cui provenivano prima di essere portate in Germania. Dal 1953 al 1988 fecero parte di quel deposito detto Recupero Siviero, che fisicamente si trovava in Palazzo Vecchio; poi, ma solo tra il 1989 e il 1990, destinate alle loro attuali collocazioni, ovvero la Galleria degli Uffizi e il Museo di Palazzo Davanzati.

Bottega di Pacino di Buonaguida, Trittico della Crocifissione con Santa Maria Maddalena (scomparto centrale), San Francesco (scomparto sinistro), San Ludovico di Tolosa (scomparto destro), primo quarto del XIV sec., tempera su tavola con oro in foglia punzonato, 39, 5 x 48, 5 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze. Fonte immagine: L’opera ritrovata: omaggio a Rodolfo Siviero, catalogo della mostra, Palazzo Vecchio, dal 29 giugno 1984, Comune di Firenze, Centro Mostre, ed. Cantini, 1984, p. 74.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Caterina Zaru

Scritto in data: 8 aprile 2020

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