Le mura di Roma. Il patrimonio di architettura fortificata della Città Eterna. Dall’epoca arcaica alle mura Serviane (parte 1)

La sezione di mura che attraversava via Carducci era, insieme a quella di piazza dei Cinquecento e a quella sull’Aventino, una delle meglio conservate: si trattava di ben 32 metri circa di muro, una decina dei quali vennero demoliti nel 1909 per l’apertura della sede viaria, lasciando due tronconi ai lati della strada, inglobati negli edifici costruiti in corrispondenza. Sul muro della casa di destra un’iscrizione ricorda che Quod Urbem servaverunt hic moenia servantur (“Le mura che conservarono la città sono qui conservate’).

«Sono state chiamate, con immagine splendida anche se lievemente retorica «le architetture della paura». Sono state più spesso, nella storia, le architetture della speranza (anche se magari mal riposta): la speranza che non sempre, e non ineluttabilmente, la ragione della storia fosse dalla parte di chi aveva «i battaglioni più forti». Talvolta, possono essere state – e soprattutto possono essere sembrate – le architetture dell’oppressione, le ardite e poderose mura che tenevano alta la minaccia sul capo di un popolo conquistato […]

«Sono state chiamate, con immagine splendida anche se lievemente retorica «le architetture della paura». Sono state più spesso, nella storia, le architetture della speranza (anche se magari mal riposta): la speranza che non sempre, e non ineluttabilmente, la ragione della storia fosse dalla parte di chi aveva «i battaglioni più forti». Talvolta, possono essere state – e soprattutto possono essere sembrate – le architetture dell’oppressione, le ardite e poderose mura che tenevano alta la minaccia sul capo di un popolo conquistato […]».

Con queste parole, Flavio Conti descrive l’architettura fortificata, nella sua prefazione a quella che è, ancor oggi, una delle opere principali che traccia un profilo di evoluzione storica e strutturale delle fortificazioni costruite dagli uomini attraverso i secoli: il volume “Storia delle Fortificazioni di Ian Hogg. Le fortificazioni sono testimoni del passare del tempo e dell’evolversi delle tecniche costruttive, e, proprio per questa loro peculiarità, rappresentano una importante documentazione anche dal punto di vista archeologico, oltre che storico e architettonico.

Le cinte murarie segnano, in modo spesso indelebile e perennemente leggibile, l’evoluzione urbanistica di una città e assumono connotati paesaggistici, simbolici, sociali e, talvolta, sacrali, molto forti. Le mura separano la città dal territorio circostante, separano popolazioni con lavori, tutele e diritti diversi e proteggono, delimitandolo, uno spazio con determinate caratteristiche che rappresenta il luogo prescelto da chi detiene il potere e lo amministra.

Le mura di Roma rispecchiano la complessità dello sviluppo della città e delle sue forme di governo e oggi la loro individuazione non è sempre facile a causa delle varie espansioni del centro urbano e dei diversi rimaneggiamenti urbanistici avvenuti nel corso dei secoli nel suo tessuto urbano.

«Sic deinde, quicumque alius transiliet moenia mea […] Ita solus potitus imperio Romulus; condita urbs conditoris nomine appellata» [1].

Questo passo dell’opera di Tito Livio rende bene l’idea di come, soprattutto in epoca antica, le mura delle città fossero portatrici di un valore sacro ancor prima di adempiere alla propria funzione difensiva. Tale valenza è strettamente legata al concetto etrusco e, successivamente, latino di pomerium [2], il confine sacro che delimitava l’urbs, ovvero la città latina per antonomasia, lo spazio destinato alla vita civile che doveva essere separato da quello esterno.

Le prime mura di Roma, dette da alcuni “Mura Romulee” risultano, quindi, essere strettamente legate alla storia della sua fondazione; il leggendario solco tracciato da Romolo intorno al colle Palatino che delimitava il confine sacro del nucleo originario della città, aveva, infatti, anche la funzione di pomerium e, con ogni probabilità, venne reso concreto e visibile dalla costruzione di una forma di opera difensiva di cui oggi non rimane pressochè nulla di visibile e la cui presenza è deducibile solo dalla lettura delle fonti antiche. Infatti, alcuni autori di epoca imperiale, i quali, però, scrivevano dopo ben sette secoli, ipotizzavano la presenza di porte di accesso alla città e, di conseguenza, ammettevano implicitamente anche l’esistenza di una cinta muraria. Plinio[3], per esempio, riportava l’esistenza di tre o forse quattro porte; mentre Varrone [4] indicava la presenza della  Porta Mugonia [5], posizionata nei pressi dell’Arco di Tito e del Tempio di Giove Statore, essa pare aprisse la via verso il colle Velia e verso il cimitero della città, permettendo il transito verso l’Esquilino e il Viminale. Varrone parlava, inoltre, della Porta Romanula, che avrebbe assicurato i contatti con i Sabini e l’accesso ad una delle più vicine fonti d’acqua, la fonte Giuturna.

***

Il 390 a.C., con l’episodio del Sacco di Roma da parte dei Galli, fu l’anno in cui venne messo in crisi questo sistema di mura e venne dimostrata la necessità di una struttura fortificata di difesa unitaria ed efficace. La risposta a tale esigenza venne concretizzata nel corso degli anni con il miglioramento di alcuni tratti di mura antiche e con la costruzione delle parti troppo danneggiate o mancanti. Questo insieme di interventi è noto con il nome di “Mura Serviane” (chiamate anche “Mura Repubblicane” [6]).

Queste opere di difesa, di cui ancora oggi sono visibili alcuni resti, solitamente costituiti da blocchi di tufo localizzati in diverse parti della città, erano lunghe circa 11 km e comprendevano al loro interno una superficie urbana di oltre 426 ettari. L’utilizzo del “tufo giallo di Grotta Oscura” ne permette una datazione abbastanza precisa, in quanto tale materiale proveniva dalle cave nel territorio di influenza della città etrusca di Veio, la cui conquista da parte di Roma avvenne nel 396 a.C.

Ultimate nel 378 a.C., le mura vennero edificate anche grazie all’imposizione di un tributo alla cittadinanza, e ripercorrevano, comprendendole al loro interno, alcune parti delle mura arcaiche (o romulee). Anche in questa cinta muraria si aprivano, con ogni probabilità, alcune porte di ingresso alla città; secondo alcune fonti sarebbe verosimile che nei primi tempi ci fosse una porta in corrispondenza di ogni altura [7] (Porta Mugonia sul Colle Palatino, Porta Saturnia -o Pandana- sul Campidoglio, Porta Querquentulana per il Celio, Porta Collina per il Quirinale, e poi Porta Oppia e Porta Cespia), per poi aumentare di numero con il passare dei decenni e, soprattutto, con l’aumento del commercio e lo sviluppo delle reti di comunicazione. Ad oggi, appaiono ancora visibili i resti di Porta Sanqualis (nell’aiuola centrale di Piazza Magnanapoli [8]) e di Porta Capena (tra il Circo Massimo e via delle Terme di Caracalla, nei pressi dell’omonima piazza); mentre altre due porte sono state trasformate in diverse tipologie architettoniche, una volta persa la propria funzione originale: Porta Esquilina fu, infatti, trasformata nell’Arco di Gallieno; mentre Porta Celimontana divenne l’Arco di Dolabella.


Per quanto riguarda la tecnica costruttiva, si può supporre che essa sia stata similare lungo tutta la lunghezza delle mura: si trattava di blocchi più o meno regolari, alti circa 60 cm, disposti a file alterne di testa e di taglio per migliorarne la stabilità; su alcuni di questi blocchi pare siano ancora visibili alcune incisioni e marchi, utili per il controllo dell’avanzamento dei lavori. Tuttavia tali segni, apparentemente appartenenti all’alfabeto greco, hanno fatto ipotizzare che le maestranze dei cantieri di costruzione e gli architetti incaricati provenissero da Siracusa, all’epoca potente centro della Magna Grecia.

Bibliografia essenziale:

  • F. Coarelli, Guida archeologica di Roma, Verona, Arnoldo Mondadori Editore, 1984.
  • L. G. Cozzi, Le porte di Roma, Roma, F. Spinosi, 1968.
  • A. Giardina, Roma Antica, Roma-Bari, Editori Laterza, 2000.
  • H. Ian, Storia delle fortificazioni,  Istituto Geografico De Agostini, 1989
  • M. Quercioli, Le mura e le porte di Roma, Newton Compton, Roma 1982.

[1] «”Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura”. In questo modo Romolo si impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore.» (Tito Livio, Ab Urbe condita, I, 7,2-3)

[2] pomèrio [dal lat. pomerium o pomoerium, probabilmente comp. di post «dietro» e *moiriom der. di mūrus, ant. moiros, «muro»]. – In Roma antica e nelle colonie romane, spazio di terreno consacrato e libero da costruzioni che correva lungo le mura al di fuori e al di dentro di esse, ed era considerato il limite della città. Il termine è stato talora esteso a indicare un terreno analogo in abitati di tempi posteriori, soprattutto con riferimento a luoghi fortificati. (Fonte: https://www.treccani.it/vocabolario/pomerio/)

[3] Se ne trova indicazione nella  Naturalis Historia, III,V, 9.

[4] Se ne trova indicazione nel De Lingua Latina, V, 164.

[5] È possibile leggere un approfondimento su tale porta e una ipotesi di come poteva apparire al seguente link: https://www.romanoimpero.com/2017/05/porta-mugonia-roma-quadrata.html. Inoltre si ritrovano ipotesi sull’etimologia in Antonio Nibby, Roma nell’anno MDCCCXXXVIII, Volume 4, Tipografia delle Belle Arti, Roma, 1838, pag. 82.

[6] Le Mura Serviane ancora oggi visibili sono, infatti, la traccia di una ricostruzione delle stesse mura, durata 25 anni, durante il periodo repubblicano allo scopo di rinforzare le fortificazioni precedenti il Sacco di Roma del 390 a.C. Queste mura difesero Roma per i sette secoli successivi.

[7] Si veda anche: https://www.romanoimpero.com/2011/10/mura-serviane.html

[8] Poco oltre la porta, lungo il presumibile tracciato di mura, è stata rinvenuta un’arcata di tufo (inglobata ora nell’androne del vicino palazzo Antonelli, al n. civico 158 della piazza)

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Simona Pons

Foto di copertina di Cristina Cumbo. Ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autrice e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

Scritto in data: 30 aprile 2021

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Pubblicato da Simona Pons

Architetto; laureata in Beni Culturali (ambito di interesse: architettura fortificata )