Le mura di Roma. Il patrimonio di architettura fortificata della Città Eterna. Le Mura Aureliane (parte 2)

Con il trascorrere del tempo, lo sviluppo urbano di Roma raggiunse e superò per estensione i confini delle Mura Serviane; inoltre a partire dal 250 d.C. le tribù barbare che scendevano lungo la penisola iniziarono a rappresentare una nuova minaccia dalla quale apparve necessario difendersi. Fu così che tra il 270 e il 279 d.C. si costruì una nuova cinta muraria, quella delle “Mura Aureliane”, seguendo un efficiente progetto che coniugava la semplicità strutturale con la rapidità di costruzione. Se fino a quell’epoca la costruzione della cinta muraria seguiva anche, almeno simbolicamente, il significato sacro del confine tra città e campagna, il tracciato delle Mura Aureliane[1] fu basato su un confine molto più pratico, quello della linea ideale che univa le pietre daziarie intorno alla città; in questo senso è possibile affermare che queste mura, oltre ad adempiere alla propria funzione difensiva, ribadivano anche un confine commerciale preesistente[2], cingendo il territorio di Roma per una estensione di circa 19 km  e racchiudendo al loro interno una superficie di oltre 1200 ettari, comprese le aree di Trastevere e del Gianicolo, strategiche soprattutto per garantire l’approvvigionamento di acqua in caso di assedio.

La struttura fortificata fu costruita con caratteristiche decisamente più rispondenti alla funzione difensiva da essa rivestita: le mura erano alte tra i 6 e gli 8 metri con uno spessore di 3,30 metri; le fondazioni delle mura stesse andavano in profondità nel terreno per più di 2 metri e si contavano circa 378 tratti di muro con merlature, intervallati da ben 381 torri a pianta rettangolare, con finestre laterali (in modo da ampliare il raggio di azione della copertura di tiro di difesa, eliminando i punti ciechi) e 18[3] porte fiancheggiate da torri cilindriche.

Anche in questa cinta muraria, un ruolo fondamentale era rivestito proprio dalle porte, che vennero costruite secondo tipologie dipendenti dalla loro importanza: le porte principali prevedevano due arcate gemelle, affiancate da torri e la pavimentazione della via di comunicazione corrispondente era in travertino; seconde per ordine di importanza erano le aperture a fornice unico e pavimentazione in opus latericium; vi erano, infine, semplici aperture con piccole torri quadrangolari ai fianchi. Curiosa è, poi, l’evoluzione della toponomastica delle porte appartenenti alla cinta muraria romana: se in epoca arcaica, infatti, esse prendevano spesso il nome dalla via che transitava sotto di esse oppure dalla località in cui erano edificate, a partire dai tempi di Costantino (306-337 d.C.) si assistette ad un progressivo cambio dei nomi delle porte che, sempre più di frequente, presero spunto da chiese nelle vicinanze o tombe di Santi che, attraverso il transito sotto il loro arco, erano raggiungibili.

Una delle porte più importanti delle Mura Aureliane, e per questo appartenente alla prima tipologia costruttiva, è ancora oggi Porta Appia, sotto alle cui arcate transitava la regina viarum, che aveva inizio in corrispondenza della Porta Capena delle antiche mura Serviane e collegava Roma con uno dei più fiorenti porti dell’epoca, Brindisi. Ribattezzata, e nota ancora oggi, con il nome di “Porta San Sebastiano” a causa della sua vicinanza alla basilica e alle catacombe omonime, fu oggetto di lavori di ampliamento e rinforzo da parte dell’imperatore Onorio già tra il 401 e il 402 d.C.: in particolare, essa fu ridisegnata a fornice unico, con un rialzo in cui trovarono spazio le finestre ad arco e un camminamento di ronda merlato. Di epoca medievale sono, invece, le incisioni con la figura dell’Arcangelo Michele e l’iscrizione in caratteri gotici che ricordano la battaglia avvenuta il 29 settembre 1327 tra le milizie romane ghibelline dei Colonna e l’esercito guelfo del re di Napoli.

Nel 1939 furono eseguiti alcuni lavori negli ambienti interni della Porta per adattarli ad abitazione e studio privato del segretario del partito fascista Ettore Muti, che vi rimase dal 1941 al 1943. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la Porta venne riaperta al pubblico dal Comune che diede anche inizio alla stesura di un progetto per la realizzazione di un museo delle mura. Per una serie di vicende amministrative, però, il Comune di Roma ritornò in possesso del monumento solo nel 1970, e l’anno successivo la Ripartizione Antichità e Belle Arti vi allestì un piccolo Museo delle Mura collegandolo con il tratto di cammino di ronda; si dovrà attendere il 1984 per vedere la definitiva riapertura e sistemazione interna della porta, in occasione della mostra “Roma sotterranea”; mentre nel 1989 è stato ufficialmente istituito il Museo delle Mura di Roma[4] ancora oggi ivi ospitato.

Una seconda porta della prima tipologia costruttiva era Porta Ostiensis, situata nella zona meridionale della città, nel punto in cui dipartiva la via Ostiense che portava verso Ostia e al suo porto, la porta fu costruita nei pressi della piramide Cestia[5] e fu poi ribattezzata con il nome di “Porta San Paolo” in quanto localizzata nei pressi della Basilica di San Paolo fuori le mura.

Tra le porte più importanti appartenenti alla seconda tipologia si trova Porta Flaminia, sotto alla quale transitava la via Flaminia che collega ancor oggi Roma con Rimini, nel X secolo fu ribattezzata come “Porta di San Valentino” in onore delle omonime basilica e catacombe; nota anche come “Porta del Popolo”, venne citata da Johann Wolfgang Goethe che, nel suo saggio “Viaggio in Italia”, affermò: «Non osavo quasi confessare a me stesso la mia meta, ancora per via ero oppresso dal timore, e solo quando passai sotto Porta del Popolo seppi per certo che Roma era mia».

L’aspetto attuale della porta è il risultato di numerosi interventi di restauro, ricostruzione (tra il 1561 e il 1565) e rimaneggiamenti architettonici: nel 1655 la facciata interna fu ridisegnata da Gian Lorenzo Bernini, in occasione dell’ingresso a Roma di Cristina di Svezia, e venne prevista l’installazione sulla facciata esterna di due statue di San Pietro e San Paolo, originariamente pensate per la Basilica di San Paolo fuori le mura; mentre nel 1878 vennero demolite le torri laterali per far spazio a due fornici più piccoli rispetto all’arcata centrale per agevolare il traffico cittadino.

Porta del Popolo, facciata interna (foto di Simona Pons)

Dello stesso rango è Porta Salaria, la quale consentiva alla via Salaria, che collegava Roma alla costa Adriatica, di uscire dal centro abitato; peculiarità di questa porta è il fatto di non aver ricevuto, nel corso dei secoli, un nome legato alla cristianizzazione: si ipotizza che questo fatto sia dovuto all’importanza che il traffico commerciale di sale continuò a rivestire per lungo tempo, mantenendo viva l’origine etimologica del nome della porta. La zona ove sorgeva la porta non conosce un grande sviluppo urbanistico nel corso dei secoli in quanto attigua agli Horti Sallustiani; nel 1921, invece, venne deciso di rimuovere la Porta Salaria allo scopo di facilitare la viabilità nell’area. Tuttavia, con la demolizione emersero alcuni monumenti funebri del Sepolcreto Salario, inglobati nell’edificio durante la sua costruzione.

L’ultima delle porte delle Mura Aureliane classificate di II rango, è la Porta Latina, che apriva il passaggio dell’omonima via fino alla città di Capua e che, ancora oggi, appare come una delle più imponenti e meglio conservate dell’intera cerchia muraria. Si tratta di una porta ad una sola arcata, probabilmente ridotta ai tempi della ristrutturazione operata dall’imperatore Onorio nel 401-403. Sulla chiave di volta dell’arco è tutt’ora visibile il monogramma di Costantino, segno probabile di ulteriori lavori di restauro.Vi erano, poi, infine una serie di porte di rango inferiore che segnavano aperture di minor importanza nella cinta muraria, solitamente poste in corrispondenza di vie di comunicazione marginali e secondarie. Di alcune di esse si conservano oggi sono pochi tratti di mura o torri (come nel caso di Porta Nomentana – che oggi costituisce parte del muro di recinzione dell’Ambasciata Britannica -, Porta Clausa, Porta Metronia, Porta Ardeatina e Porta San Pancrazio). In altri casi, invece, la struttura delle porte si è conservata ed appare ancora chiaramente identificabile.

Porta Pinciana, il cui nome deriva dal colle omonimo, cambiò appellativo in numerose occasioni, diventando prima “Porta Turata”, poiché venne murata per un certo periodo, e poi “Porta Belisaria”, dalla leggenda secondo cui il generale bizantino, diventato, ormai vecchio, mendicasse proprio nei pressi della porta. Di fatto, la leggenda non ha fondamenti storici e, di conseguenza, una giustificazione per l’appellativo potrebbe derivare dal fatto che in tale area sorgesse un quartier generale di Belisario durante la battaglia del 537.

Porta Tiburtina, invece, sorse sulle tracce di un arco costruito da Augusto nel 5 a.C., nei pressi del luogo ove si incontravano gli acquedotti dell’Aqua Marcia, dell’Aqua Julia e dell’Aqua Tepula e da dove partiva la via Tiburtina, diretta a Tivoli. Con la costruzione delle Mura Aureliane, l’arco in travertino (e per questo chiaramente identificabile ancora oggi) venne inglobato nella cinta e  si trovò a formare il lato interno della porta.

Anche la Porta Maggiore, conobbe una costruzione di epoca imperiale legata alla necessità di far transitare gli acquedotti sopra la sede viaria: essa fu edificata, infatti, dall’imperatore Claudio nel 52 per permettere all’acquedotto omonimo di scavalcare le vie Prenestina e Labicana. In tale epoca, si trattata di due fornici molto semplici, costruiti con blocchi di bugnato rustico, i quali vennero resi monumentali nel momento in cui furono inglobati nelle mura, diventando una vera e propria porta.

Porta Asinaria ha, invece, avuto una evoluzione da porta di terzo rango a porta monumentale, tuttavia non vi sono notizie certe sul periodo in cui avvenne tale modificazione; mentre Porta Settimiana rappresenta il solo esempio di porta aureliana sulla sponda destra del Tevere rimasta nella sua posizione originaria.

Bibliografia essenziale:

F. Coarelli, Guida archeologica di Roma, Verona, Arnoldo Mondadori Editore, 1984.

L. G. Cozzi, Le porte di Roma, Roma, F. Spinosi, 1968.

A. Giardina, Roma Antica, Roma-Bari, Editori Laterza, 2000.

H. Ian, Storia delle fortificazioni,  Istituto Geografico De Agostini, 1989.

M. Quercioli, Le mura e le porte di Roma, Newton Compton, Roma 1982.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Simona Pons

Foto di Simona Pons (esclusa quella di copertina). Ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell’autrice e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente articolo.

Scritto in data: 30 maggio 2021

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.


[1] Per una cartografia interattiva del tracciato delle Mura Aureliane e delle relative porte di accesso alla città, si veda: https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=1dQRDnTyY_Rl5woTZ-cysd75gIE0&hl=it&ie=UTF8&t=p&msa=0&ll=41.895211201661375%2C12.494319619018567&spn=0.051113%2C0.085831&z=14&source=embed

[2] Questo fatto è testimoniato dal ritrovamento di tre pietre daziarie murate o interrate nei pressi di Porta Salaria, Porta Flaminia e Porta Asinaria.

[3] Nel conteggio delle porte delle Mura Aureliane non è sempre chiaro se in esse vengono ricomprese anche alcune porte delle più antiche Mura Serviane, per questa ragione, a seconda delle fonti, si trovano numeri discordanti.

[4] Sul sito del museo, http://www.museodellemuraroma.it/, è possibile effettuare un tour virtuale che permette di visionare tutti gli ambienti della Porta Appia e del Museo.

[5] Si tratta di una tomba romana per Gaio Cestio Epulone a forma di piramide in stile egizio costruita tra il 18 e il 12 a.C.

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Pubblicato da Simona Pons

Architetto; laureata in Beni Culturali (ambito di interesse: architettura fortificata )