Obblighi in caso di scoperte fortuite di bene culturale e attività di ricerche archeologiche

Risulta più che mai aperto il dibattito, anche a livello extranazionale, in merito agli obblighi in caso di ritrovamento fortuito di beni archeologici o, comunque, di beni culturali.

Per la verità tale discussione si è sviluppata, in particolar modo, attorno ai doveri di natura etico-morale ravvisati, nello specifico, in capo agli archeologi, quali professionisti «custodi della Storia».

È di alcuni giorni fa l’intervento, proprio su questo blog, di Cristina Cumbo, la quale, nel soffermarsi sulla natura oserei direi «intima» della denuncia da parte degli archeologi in caso di ritrovamento di beni culturali, accennava ad alcuni obblighi sanciti dalla legge italiana (link).

Con l’intervento di oggi, cercheremo di spiegare l’essenza di tali obblighi, precisando quale sia la ratio ad essi sottesa, quali le responsabilità cui si espone la persona in caso di loro inosservanza e, infine, cosa preveda la legge in materia di ricerca archeologica.

Ancora una volta è necessario muovere le mosse dall’art. 10, D.Lgs.vo n. 42 del 2004 «Codice del beni culturali e del paesaggio», laddove, come ormai sappiamo, viene data una definizione di beni culturali con relativa elencazione circa la loro appartenenza alla sfera pubblica o a quella privata.

Vi sono alcune cose, però, che in ragione delle modalità con cui vengono ritrovate, appartengono ope legis allo Stato.

Recita, infatti, l’art. 91 del Codice che «Le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile».

Il presupposto secondo cui queste cose appartengono allo Stato è che esse debbano essere, anzitutto, comprese in quelle indicate all’art. 10 del Codice e che siano, inoltre, ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini.

La ratio sottesa ad una tale impostazione normativa è orientata a tutelare e conservare i beni culturali sepolti nel sottosuolo o sui fondali marini, ed è anche questo il motivo per cui, come vedremo in seguito, il Codice sanziona penalmente la condotta del soggetto che effettua attività di ricerca archeologica non autorizzata, oltre all’impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato.

Ma le attività di scavo, anzi di ricerca archeologica, perché di questo si tratta, sono di esclusiva competenza del Ministero, che può rilasciare concessioni in favore di soggetti pubblici o privati.

Leggiamo, a tal proposito, l’art. 88, comma 1, del Codice: «Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose indicate all’articolo 10 in qualunque parte del territorio nazionale sono riservate al Ministero».

E ancora, l’art. 89, comma 1, del Codice: «Il Ministero può dare in concessione a soggetti pubblici o privati l’esecuzione delle ricerche e delle opere indicate nell’articolo 88 ed emettere a favore del concessionario il decreto di occupazione degli immobili ove devono eseguirsi i lavori».

Si impone ora una domanda: come fa lo Stato ad avere notizia del ritrovamento di tali cose, soprattutto quando si tratta di rinvenimento fortuito?

Sovviene, a tal proposito, l’art. 90 del Codice, che così dispone: «Chi scopre fortuitamente cose immobili o mobili indicate nell’articolo 10 ne fa denuncia entro ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco ovvero all’autorità di pubblica sicurezza e provvede alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute. Della scoperta fortuita sono informati, a cura del soprintendente, anche i carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale».

La norma in questione impone un obbligo molto chiaro e preciso, che non lascia spazi ad altre interpretazioni: chi scopre fortuitamente cose … di cui all’art. 10 … deve fare denuncia entro ventiquattro ore.

Difatti, la locuzione «…ne fa denuncia…» altro non significa che il soggetto, il quale scopre tali cose, ha l’obbligo di fare denuncia e la deve anche fare entro un termine perentorio: ventiquattro ore.

Come si vede, l’ordinamento giuridico presenta un quadro normativo coerente con le esigenze di tutela: attesta, senza mezzi termini, la proprietà allo Stato delle cose rinvenute nel sottosuolo o sui fondali marini; attribuisce al Ministero l’esclusività delle ricerche archeologiche; e pone l’obbligo della denuncia entro ventiquattro ore in capo allo scopritore.

Tutto il quadro normativo è assistito da sanzione penale, ed in particolare dall’art. 175 del Codice, che punisce le seguenti condotte illecite con l’arresto fino ad un anno e l’ammenda da € 310 a € 3.099:

  • chiunque esegue ricerche archeologiche o, in genere, opere per il ritrovamento di cose indicate all’Articolo 10 senza concessione, ovvero non osserva le prescrizioni date dall’amministrazione;
  • chiunque, essendovi tenuto, non denuncia nel termine prescritto dall’Articolo 90, comma 1, le cose indicate nell’Articolo 10 rinvenute fortuitamente o non provvede alla loro conservazione temporanea.

In termini concreti e per fare alcuni esempi, possiamo dire la norma sanziona due distinte condotte illecite: quella riconducibile ai c.d. «tombaroli», ossia quei soggetti che, muniti di metal detector, eseguono ricerche in aree archeologiche in cerca di monete antiche (per inciso va detto che scandagliare con il metal detector le spiagge o le aree non sottoposte a vincolo archeologico non costituisce reato); e quella di colui il quale, dopo un ritrovamento fortuito di un’anfora antica, volutamente omette di farne denuncia all’Autorità.

Ovviamente, il soggetto che si impossessa di un bene culturale di cui all’art. 10 del Codice, appartenenti allo Stato ai sensi del citato art. 91, commette il reato di «Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato», previsto all’art. 176 del Codice del quale avremo cura di parlare in uno dei prossimi interventi.

In conclusione, possiamo dire che al di là degli obblighi etico-morale-deontologici, ciò che conta è la previsione della legge, perché noi tutti siamo tenuti alla osservanza dei precetti normativi alla cui violazione consegue una sanzione, ciò che veramente assicura la tenuta del sistema.

Le leggi della morale, dell’etica e della stessa deontologia, ossia l’insieme delle regole comportamentali che deve guidare le azioni dei professionisti (degli archeologi, per il caso di specie), non possono bastare perché alla loro violazione non consegue alcuna sanzione e quindi il sistema non dà alcuna certezza.

Altro discorso è, invece, l’intima osservanza della legge: le leggi devono osservarsi per intima convinzione e non per timore della sanzione.

Ulteriore aspetto riguarda i professionisti della tutela del patrimonio culturale.

Essi, a nostro avviso, devono (nel senso che hanno il dovere e non possono esimersi) porre in essere ogni comportamento volto alla conservazione del patrimonio culturale, senza se e senza ma, e noi riteniamo a prescindere anche da ogni obbligo di legge.

Ciò posto, con riguardo all’obbligo di denuncia da parte degli archeologi in caso di ritrovamento fortuito di bene culturale, il problema non dovrebbe neppure porsi perché il professionista potrebbe risolverlo facendo agevolmente ricorso all’art. 90 del Codice e, qualora ciò non bastasse, facendo appello alla propria coscienza di studioso e «custode della Storia».

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 15 giugno 2020

In copertina: foto di Gutjahr Aleksandr (da: https://www.pexels.com/)

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa