Pensando come in tante tenebre potesse veder Cimabue tanto lume: le pitture “nere” di Cimabue nella Basilica di San Francesco ad Assisi

Oggi parleremo di pitture murali risalenti al Medioevo che il tempo ci ha restituito in uno stato palesemente alterato: gli affreschi dipinti da Cenni di Pepo detto Cimabue (1240-1302) nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi. L’affermato artista fiorentino venne chiamato all’impresa da papa Niccolò III Orsini (1277-1280) per dipingere un ciclo di affreschi neotestamentari in prossimità dell’altare: le storie della Vergine presso l’altare, le storie apostoliche nel transetto nord, l’Apocalisse in quello sud, due scene della Crocifissione di Cristo.

Quando l’artista e lo scrittore d’arte Giorgio Vasari (1511-1574) vide queste pitture nel Cinquecento, la reazione fu questa: «La quale opera veramente grandissima e ricca e benissimo condotta, dovette, a mio giudizio, fare in que’ tempi stupire il mondo, essendo massimamente stata la pittura tanto tempo in tanta cecità, et a me, che l’anno 1563 la rividi, parve bellissima, pensando come in tante tenebre potesse veder Cimabue tanto lume». È molto probabile che Vasari, nell’ammirare queste pitture, le osservò in uno stato decisamente migliore rispetto a quello odierno. Infatti, i personaggi sono di un incredibile colore nero. Cosa è accaduto? Come mai l’effetto che percepiamo, guardando queste opere, è simile a quello di un negativo fotografico?

Per rispondere a questa domanda, è necessario fare un breve accenno alle tecniche artistiche impiegate nella pittura murale medievale: come prima cosa, si stendeva lo strato di intonaco sulla parete (primariamente allisciata) detto pontata, termine corrispondente al piano del ponteggio su cui gli artisti e le loro botteghe lavoravano simultaneamente; questa tecnica è l’antenata della giornata, dove le porzioni di intonaco venivano stese per spazi decisamente ridotti, talvolta anche per singoli dettagli (come un volto). Poi, si procedeva definendo l’abbozzo chiamato sinopia, a cui seguiva il disegno preparatorio vero e proprio con tutti i suoi dettagli. Si stendeva così la pellicola pittorica quando il muro era ancora umido, da qui l’espressione a fresco (o affresco). Per ritocchi o aggiunte di colore successivi, quando cioè la parete era oramai asciutta, venivano utilizzate le tempere a secco.

Tornando alle pitture cimabuesche, per gli incarnati l’artista utilizzò il bianco di piombo che purtroppo ha virato in solfuro di piombo nero. Come mai questo cambiamento? La causa è di natura chimica: quando i colori vengono stesi sulla parete ancora umida, la calce contenuta negli strati murari inizia ad asciugarsi. In questa fase, ha inizio il fenomeno della carbonatazione della calce che è in grado di creare, alla fine del suo processo, una sorta di patina superficiale che ingloba permanentemente i pigmenti. Non tutti i materiali utilizzati sono certamente idonei per essere stesi a fresco e tra questi c’è, per l’appunto, il bianco di piombo. Esso, infatti, è più efficace se steso a secco. Visivamente, i pigmenti compatibili con la calce fresca sono meno luminosi, perché il reticolo cristallino entro il quale vengono fissati ne spegne l’effetto di brillantezza, a dispetto invece dei colori stendibili a secco che, pur avendo una durata nettamente inferiore, sono decisamente più luminosi.

Infine, ad avere accelerato il fenomeno di degradazione è il fatto che lo strato di intonaco sia stato steso direttamente sul muro tanto che, dove è caduto, si notano i mattoni della parete. Quindi, cause quali le variazioni di umidità e di temperatura avranno certamente incrementato ulteriori fenomeni di degrado, oltre che quello del viraggio del colore.

Si osservino ad esempio le due Crocifissioni del transetto: quella di sinistra si trova in uno stato peggiore rispetto a quella di destra dove il bianco di piombo sembrerebbe aver limitato i danni. In realtà, l’effetto visivo è soltanto illusorio perché la pellicola pittorica è stata abbondantemente abrasa quasi da scoprire, in alcune parti della composizione, il disegno preparatorio sottostante. Parimenti, la scena dell’Assunzione di Maria presso l’altare ha incontrato gli stessi problemi al punto che, con una certa difficoltà, è possibile indicare in Gesù e in Maria i due personaggi all’interno del tondo (la cosiddetta mandorla) trasportato in cielo; così la scena di San Pietro che guarisce gli infermi e libera gli indemoniati, in cui si individua il santo al centro soltanto per l’eloquente posizione delle braccia.

Si conclude ricordando il terribile terremoto (al IX stadio della scala Mercalli) che si abbatté il 26 settembre del 1997 ad Assisi, provocando danni enormi al monumento: il sisma, infatti, colpì pesantemente le pitture murali del piano superiore, causando il crollo di oltre 300.000 pezzi di porzioni pittoriche. Per l’occasione, fu chiamato l’Istituto Centrale per il Restauro (ISCR) che riuscì a ricomporre, restaurare e ricollocare la maggior parte dei frammenti in situ; di questi circa 180 mq erano quelli che interessavano la volta abbondantemente crollata. L’insieme di tali operazioni richiesero 9 anni, per un totale di 160.000 ore di lavoro.

Bibliografia generale:

F. Bologna, Cimabue, Milano 1965.

E. Longhi, La Basilica di San Francesco di Assisi, Antella 2007.

S. Rinaldi, Storia tecnica dell’arte. Materiali e metodi della pittura e della scultura (secc. X-XIX), Roma 2012.

Sitografia consultata:

Per conoscere ogni attività eseguita dall’ISCR a seguito del terremoto del 1997, si consulti:

https://www.giuseppebasile.org/restauri/la-basilica-di-s-francesco-ad-assisi

Abstract:

Cimabue was an Italian artist, whose activity spread during the XIII century. Pope Niccolò III called him to paint the area near the apse of the Church of Saint Francis in Assisi. Cimabue used a pigment named bianco di piombo to color the characters of his frescos, but today they are black. In this article, we illustrate the reason of this color change.

Keywords:

Cimabue, fresco, medieval paintings, Church of Saint Francis in Assisi, artistic techniques

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 17 dicembre 2023

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Pubblicato da Giulia Abbatiello

Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.