“Time smoking a Picture” (parte 2)

La cleaning controversy – cioè la controversia sulla pulitura, come qualcuno l’ha chiamata – fu caratterizzata anche da una seconda fase che, di nuovo negli anni Sessanta, vide riacceso il dibattito ma, questa volta, soltanto in ambito anglosassone. L’inizio di questo secondo capitolo ebbe un anno, il 1961, quando infatti il nuovo capo restauratore della National Gallery, Helmut Ruhemann, scrisse un articolo in cui caldeggiava una pulitura integrale della versione londinese della Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci; infatti, egli affermò che l’edulcorato “sfumato leonardesco” fosse un’invenzione di quella critica romantica che adulava la patina nelle opere d’arte, e che dunque fosse soltanto il frutto dell’invecchiamento delle vernici ormai scuritesi e, dunque, alteratesi col tempo. E pulitura integrale fu.

Come è facilmente intuibile, molte furono le voci che si espressero con toni polemici in merito, molte delle quali provenienti da illustri studiosi tra cui, qui, si vuole ricordare quella del grande storico dell’arte Ernst Gombrich che, nella sua Arte e illusione, così si espresse:

«L’oggettiva validità dei metodi usati nei laboratori dei nostri grandi musei è fuori discussione, come lo è la buona fede di coloro che li applicano. Si potrebbe però far presente che i restauratori, nel loro lavoro difficile e pieno di responsabilità, dovrebbero tener conto non solo dell’aspetto chimico dei colori usati ma anche della psicologia della percezione… Non chiediamo loro di ripristinare il colore originale dei pigmenti, ma qualcosa di infinitamente più sottile e delicato: conservare i rapporti».

Come Gombrich già fece a suo tempo, anche qui non si vogliono mettere in discussione le teorie e le pratiche inglesi, soprattutto perché, durante la seconda fase della controversia sulla pulitura, molti insigni personaggi furono coloro che appoggiarono la scuola di pensiero anglosassone – non solo il già citato Ruhemann, ma anche Denis Mahon, all’epoca grande studioso di pittura italiana, e Joyce Plesters, responsabile scientifica della National Gallery –.

Seguirà, tuttavia, una serie di casi di opere d’arte del museo londinese, che furono oggetto della pulitura integrale delle patine, mettendone in rilievo i problemi che si presentarono poi.

Londra, National Gallery, l’Allegoria del Trionfo di Venere di Agnolo Bronzino (Agnolo Bronzino, Public domain, attraverso Wikimedia Commons)

La foto qui sopra illustra la Allegoria del Trionfo di Venere del pittore manierista Agnolo Bronzino, una delle opere pulite, in questi anni Sessanta, dal Laboratorio di restauro della National Gallery: è stato rilevato che, sebbene l’artista avesse fatto spesso uso di una tavolozza di colori piuttosto freddi, metallici, tuttavia tale effetto – che, osservando l’immagine, si può percepire senza difficoltà, soprattutto in luogo dello scenico drappo blu del fondo – sembrerebbe essere stato incrementato a seguito di quella pulitura che ne rimosse, infatti, gli strati di vernici e di velature superficiali. Così, la pellicola pittorica, oltre a risultare ancora più squillante, appare anche più piatta proprio perché mancante di questi materiali che, se presenti, ne darebbero le giuste tonalità e, dunque, la giusta volumetria.

Londra, National Gallery, la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello (Paolo Uccello, Public domain, via Wikimedia Commons)

Un altro restauro che suscitò non poche polemiche fu quello eseguito sulla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello: infatti, dopo quell’operazione di pulitura, i chiari apparvero molto più accesi rispetto agli scuri, quest’ultimi di per sé già alterati in quanto ossidati – come nel caso delle armature su cui era stata, infatti, applicata una foglia metallica –. Si veda, ad esempio, il rosa del suolo – l’artista era avvezzo fare accostamenti coloristici fuori dai canoni naturali – che, pur nella sua tonalità chiara, spicca violentemente su tutto il resto; parimenti i cavalli bianchi – quello al centro e quello sulla destra – sono delle piatte figure sulla tavola.

Come Umberto Baldini – altro grande teorico del fronte italiano – scrisse in quegli stessi anni, la pulitura di un’opera d’arte deve sì migliorarne la leggibilità ma, soprattutto, ricostruire quei rapporti, al momento distrutti, che un tempo l’artista aveva infuso tra i colori. Egli, allora, continuava sostenendo che l’operazione che ne seguirà dovrà tenere in considerazione la proporzionalità delle tinte e, quindi, agire differenziando i chiari dagli scuri: essendo, in genere, i primi quelli che si alterano di meno, allora il restauratore dovrà lavorare maggiormente sui secondi in modo tale da non creare, poi, uno squilibrio, squilibrio che, invece, si può notare in questi restauri inglesi dove, infatti, i chiari sono violenti e gli scuri soccombono sotto alla loro luce.

Londra, National Gallery, il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca (Piero della Francesca, Public domain, via Wikimedia Commons)

Segue il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca: là dove Gesù sembri posare al suolo e, quindi, là dove l’acqua sembri bagnargli i piedi, l’artista avrà certamente posato delle velature che, mirabilmente, avrebbero dovuto rendere la trasparenza del fiume Giordano; sappiamo che, già prima della pulitura londinese, le velature erano sparite a causa dell’usura del tempo ma la cui assenza, a seguito di quell’intervento, venne ancor più messa in rilevanza. L’acqua c’è – su questo non v’è dubbio –, ma ciò che l’avrebbe resa davvero tale, cioè la trasparenza della velatura già da tempo perduta, è un elemento qui drammaticamente assente; forse, se si fosse lasciata la zona con quel suo ultimo tratto di patinatura, la lettura dell’opera di Piero sarebbe stato meno disturbante.

Londra, National Gallery, l’Orazione nel Getsemani di Giovanni Bellini (Giovanni Bellini, Public domain, via Wikimedia Commons)

Molto evidente sarà un altro errore, questa volta nell’Orazione nel Getsemani di Giovanni Bellini, dove i tre apostoli che dormono sembrano galleggiare al di sotto di Cristo. Il motivo? La collina su cui sono sdraiati, a seguito della pulitura, è stata privata delle velature che, un tempo, le donavano la plasticità reale, la concretezza della terra su cui Cristo pregò poco prima di cominciare la sua Passione.

Londra, National Gallery, il Bacco ed Arianna di Tiziano (Titian, Public domain, via Wikimedia Commons)

Infine, l’ultimo restauro con cui si vuole concludere la cleaning controversy è quello eseguito sul Bacco ed Arianna di Tiziano Vecellio, un dipinto questo che, già prima della pulitura, era di per sé molto scuro e con numerose lacune. Quindi, dopo essere stato, per così dire, “svecchiato” con l’eliminazione della patina superficiale, l’effetto finale fu ed è tuttora quello di un Tiziano coloratissimo, una affermazione questa che farà rimanere perplessi se si dirà, poi, che questi, insieme a Giorgione, fu uno dei principali rappresentanti della “pittura tonale”, una pittura mirante cioè alla fusione dell’intera composizione entro atmosfere i cui colori, in realtà così ovattati, che vanno perdendosi in lontananza, ricordano piuttosto quelli di albe senza fine.

Bibliografia consultata:

  • C. Brandi, Teoria del restauro, Torino 1977 (in questa II ed. della Teoria, l’Einaudi ha riportato per intero i due interventi di Brandi, quello del Burlington Magazine [1949] dal titolo La pulitura dei dipinti in relazione alla patina, alle vernici e alle velature, e quello del Bollettino dell’I.C.R. [1950] dal titolo «Some factual observations about varnishes and glazes»);
  • M. Ciatti, Appunti per un manuale di storia e di teoria del restauro. Dispense per gli studenti, in Storia e teoria del restauro, 10 (2009), pp. 339-349.
  • E. H. Gombrich, Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica, Torino 1965;
  • P. Pino, Dialogo di pittura, (ediz. critica a cura di S. Falabella), Lithos 2000.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Giulia Abbatiello

Scritto in data: 28 dicembre 2020

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Pubblicato da Giulia Abbatiello

Storica dell'arte, Bibliotecaria e abilitata all'insegnamento della Storia dell'Arte (classe A-54) nelle scuole secondarie di secondo grado. Si laurea nel 2020 in Storia dell'Arte con 110 e lode all’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". L'anno successivo consegue il diploma di Master di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” presso l'Università degli Studi di “Roma Tre”. Diplomatasi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia (2023), ha preso parte al al progetto di catalogazione del libro antico del Fondo "Antichi e Rari" della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana e collabora attualmente al progetto di catalogazione dei manoscritti miniati del Fondo "Urbinate" nell’ambito del “Censimento e catalogazione dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana”, sostenuto dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Università degli Studi della Tuscia.