Una giornata in un angolo di paradiso: la Riserva dello Zingaro

Monumento: Riserva Naturale Orientata dello Zingaro

Luogo: Provincia di Trapani (Castellammare del Golfo-San Vito Lo Capo)

Tra i tanti monumenti, paesaggi e, in generale, tra le tante bellezze che offre la Sicilia, si può trovare un piccolo ’angolo di paradiso’ che chi scrive ha sempre sentito nominare, andando poi a ‘scoprirlo’ durante un fine settimana di agosto dello scorso anno. Si sta facendo riferimento alla Riserva Naturale Orientata dello Zingaro, in provincia di Trapani.

Essa fu la prima riserva naturale istituita dalla Regione Siciliana, nel lontano 1981. Proviamo, allora, a fare un giro al suo interno alla scoperta delle sue meraviglie.

Arriviamo alla riserva intorno alle ore 9:00 di un caldo sabato mattina. Provenendo da San Vito Lo Capo, da nord, parcheggiamo l’auto sul ciglio della strada che fiancheggia la montagna (la nostra macchina non è l’unica) e decidiamo di raggiungere a piedi l’ingresso della riserva; ad attenderci all’ingresso altre persone in coda, molte delle quali con costumi da bagno e altre attrezzature per trascorrere la giornata in spiaggia. Aspettando che tutti passino il gabbiotto d’ingresso ove le guardie del Corpo Forestale della Regione Siciliana danno le opportune indicazioni e fanno posare i pochi ombrelloni – non consentiti –, ne approfittiamo per dare uno sguardo al panorama dal piazzale: ecco che, di fronte a noi, si staglia un mare azzurro che si perde all’orizzonte, quasi a confondersi col cielo turchino di una giornata senza nuvole. E, sulla destra, le rocce che degradano dolcemente verso il mare, ricoperte da ogni tipo di vegetazione.

Entriamo e, dopo poche centinaia di metri, capiamo subito perché non sia consentito l’ingresso con calzature aperte (sandali, ciabatte, ecc.): il terreno che fiancheggia la costa comincia a farsi sempre più difficile da percorrere, con scalette incassate nella roccia, piccole discese e risalite e un terreno aspro, di terra rossastra che cambierà il colore alle nostre scarpe; un terreno intervallato da rocce e radici sulle quali si è costretti più volte a passare; e tutt’attorno piccole sterpaglie e diverse piante – tra le quali anche fichi d’india – che ti sfiorano e ti costringono ad evitarle assumendo, spesso, le posizioni più strane lungo il cammino. Insomma, sembra quasi di affrontare un vero e proprio percorso adatto alle mountain-bike. E alzando gli occhi alla propria destra, il costone scosceso della montagna ricoperto di vegetazione.

Dopo circa dieci/quindici minuti dall’entrata, un primo cartello in legno ci indica la direzione per la cala ‘Tonnarella dell’Uzzo’ e il museo del mare, ma noi decidiamo di andare oltre, fino alla seconda caletta (la cala dell’’Uzzo’). E ci si ritrova a proseguire per un terreno sempre più ostico, con rocce emergenti dalla superficie, piante che quasi ti ostacolano il cammino. In lontananza, sulla destra, un piccolo punto ristoro con una tettoia lignea che ricopre alcune panche e, proprio accanto, una fontanella. Ma noi proseguiamo, sempre più coperti di sudore, la gola riarsa dalla fatica e dalla sete e con, sia negli occhi che nel cuore, l’ambita meta: quel bagno nelle acque della riserva dello Zingaro che sarà il premio a chiusura di quello strano ‘percorso di guerra’ che stiamo affrontando con gli amici.

Più ci si avvicina alla meta, più il percorso si fa ostico: si cammina su un sentiero fiancheggiato da rocce alte, con i fichi d’india spesso all’altezza del volto, e largo abbastanza da consentire il passaggio ad una sola persona, quasi fosse una piccola gola. Man mano che la caletta si fa sempre più vicina si può godere il piacere di una visuale paradisiaca: poche centinaia di metri ci separano da una spiaggia incastonata in una piccola insenatura, con il mare che varia i suoi colori dal blu al celeste e al turchese. Altri colori prevalenti sono il giallo e il verde della vegetazione che si affiancano all’azzurro del cielo.

Siamo finalmente arrivati; scendiamo dalle rocce, sempre più degradanti verso una spiaggia di ciottoli bianchi. Essa è occupata da altri bagnanti per tutta la sua estensione e molti di essi hanno anche approntato ripari di fortuna, con il telo-mare sorretto da rami e bloccato dalle rocce più grosse, al fine di ripararsi dal sole cocente. Via i vestiti, via le scarpe ormai di un altro colore rispetto all’originale; indossiamo le classiche scarpe di gomma e di corsa in acqua, verso quel bagno tanto agognato come fosse la manna dal cielo.

L’acqua è semplicemente indescrivibile. Un velo trasparente a riva e, via via che si va verso il largo, il colore muta dal turchese all’oltremare. Tra i piedi si può vedere un piccolo gruppo di pesciolini che nuota: l’acqua infatti è uno specchio, rotto solo da altri bagnanti e dai canotti dei turisti, al largo, provenienti da San Vito Lo Capo o da Castellammare del Golfo. Non si vorrebbe mai uscire da lì; poi ci voltiamo a guardare verso la spiaggia e, dall’acqua, notiamo tutto il costone roccioso che chiude la caletta, inframmezzato dai colori verde, giallo, il grigio delle rocce più alte… Una natura selvaggia, incontaminata anche grazie al divieto di portare con sé gli ombrelloni; e ancora più su, in alto, il cielo limpido di un caldo sabato d’agosto. Il cuore si perde in quella bellezza – sembra di essere ai Caraibi e invece… – e, pian piano lo senti sussurrare: «Voglio tornare! Devo tornare in questo paradiso!».

Dopo un paio d’ore, si decide di tornare a casa. Vestiti, scarpe, riprendiamo le nostre cose e via di nuovo, attraversando la piccola boscaglia e quel percorso tortuoso dell’andata, con le sue sofferenze alleviate però dalla compagnia degli amici e dai commenti sui tipi di vegetazione incontrati lungo il cammino. Di tanto in tanto lo sguardo si posa sul mare alla destra o sulla possente montagna, grigia e gialla, a sinistra. Dopo alcune centinaia di metri ci fermiamo a mangiare sotto quella tettoia vista all’andata; al termine del pasto riprendiamo il cammino, ma non possiamo uscire dalla riserva senza prima una visita al piccolo museo del mare vicino l’uscita.

Esso ospita le foto delle attività marinare, in particolare la pesca del tonno, che si svolgevano in passato lungo quella costa, ma anche oggetti di vita quotidiana dei marinai quali reti e altro; l’oggetto più importante è un plastico con la ricostruzione in scala di una vera e propria tonnara (da intendersi come il sistema di reti, anche sottomarine, utilizzate per la pesca). Per quanto piccolo nella ricostruzione, questa riproduzione aiuta a renderci conto delle dimensioni reali dell’intero impianto.

Anche quel piccolo museo tra le due calette era una tappa obbligatoria nel corso della nostra giornata. Risalite le scalette scavate nella roccia, diamo un’ultima occhiata alla cala sottostante, poi attraversiamo gli ultimi metri che conducono al piazzale d’ingresso e, da lì, una volta usciti, raggiungiamo l’automobile con la curiosità di cosa possano aver visto coloro che hanno intrapreso gli altri due sentieri che attraversano la riserva – il sentiero interno e quello a mezza costa – ma anche con la certezza di aver lasciato un pezzo di cuore all’interno della riserva dello Zingaro e la voglia, forte, di tornare presto a visitare questo piccolo e inaspettato paradiso in terra di Sicilia.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Emanuele Riccobene

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Scritto in data: 3 marzo 2024

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Pubblicato da Emanuele Riccobene

Storico. Ha conseguito il master I° livello in "Esperti nella tutela del patrimonio culturale" presso l'Università "Roma Tre". Ha all'attivo pubblicazioni sulla storia politica, militare, economica e sociale della Sicilia. Sta inventariando il patrimonio culturale immateriale del Comune di Delia (CL).