Amedeo Maiuri e il taccuino napoletano: memorie e azioni di un archeologo durante i tragici anni della Seconda Guerra Mondiale

Il fantasma della guerra lo si percepiva arrivare. Serpeggiava silenzioso facendosi forte delle paure più oscure nascoste nell’animo umano, quel timore di perdere ogni cosa, di veder separata la propria vita dai sogni e dalle speranze di un futuro radioso.

La guerra strisciava inesorabilmente da un confine all’altro d’Europa, mettendo a rischio i popoli e la loro cultura, il loro passato, la traccia della loro esistenza sulla Terra. Sono questi i sentimenti che si affacciano sfogliando le pagine di quel taccuino vergato dall’archeologo Amedeo Maiuri, tra righe di appunti tracciati in riflessione, in un periodo compreso tra il giugno 1940 e il luglio 1944. Tra le sue numerose cariche, oltre le attività condotte a Rodi, Maiuri fu Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e degli Scavi di Ercolano e Pompei , nonché professore dell’Università di Napoli e docente di Storia Antica e Storia Romana presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa. È proprio nel suo periodo campano che si colloca il timore della Seconda Guerra Mondiale che si avvicina. Sin dal giugno del 1940 al Museo Nazionale di Napoli si lavora per mettere al riparo le opere d’arte da eventuali bombardamenti: ogni oggetto viene chiuso entro casse riparate dietro sacchi di sabbia. Eppure, nonostante le cortine, tutto appare così effimero, sottoposto alla furia distruttrice delle bombe e al rischio di incendi.

8-9 giugno 1940

«Si lavora febbrilmente tra montagne di terra e montagne di sacchi, a scaricare, riempire e stilare come se si trattasse del carico d’una nave. Due squadre di carpentieri drizzano e inchiodano tavole e murali in castelletti e paratie tra un martellamento infernale , quasi che si trattasse del cambio della scena, di un’immensa scena dietro il sipario d’un teatro. E così i bronzi della Villa dei Pisoni, le Danzatrici e i Pugilatori, sono scesi dai loro podi marmorei; i dinasti ellenistici dalle loro colonne, e insieme con i filosofi, i Sileni, gli Eroti delle fontane e l’elegante coppia di daini, si sono rifugiati entro robuste casse negli angoli delle sale, entro l’enorme spessore dei muri dei passaggi delle porte, dietro una coltre di sacchi, pieni di quella stessa nera pesante sabbia vulcanica che li aveva tenuti per tanti secoli custoditi nella morsa del terreno. Dopo il lavoro affannoso della scoperta nelle tenebre dei cunicoli e l’ansia di rivedere il nitore del metallo puro e mondo dal duro cortice del magma terroso, era necessario riaffondarli, risommergerli di nuovo per una più sicura difesa da ogni possibile atto di cieca e criminosa follia […]».

«[…]Così le sale, spenta ogni luce di colore che risfavillava dai quadri delle pareti di Pompei, d’Ercolano, di Stabia, hanno preso anch’esse la loro grigia toletta di guerra; sembrano cappelle con gli altari velati del venerdì di passione prima dell’osanna della resurrezione».

Quando il 10 giugno del 1940 giunge la notizia della dichiarazione di guerra da parte di Mussolini, il timore sale ancor più intensamente. Come proteggere gli affreschi? Come difendere gli scavi di Pompei e di Ercolano, o il sito archeologico di Cuma? Un’orribile consapevolezza si fa spazio nello studioso: è impossibile, non si può difendere un patrimonio così vasto. La sola cosa da fare è proteggere i reperti mobili nascondendoli in luoghi sicuri, anche se di sicuro c’è ormai ben poco.

«[…] Ma come difendere le pareti dipinte d’intere case a Pompei; e come salvare dalle bombe la Villa dei Misteri al di fuori della zona degli scavi che si poteva presumere, allora, immune dagli attacchi aerei? La notte del 14 e la notte del 15 i primi allarmi e la prima corsa ai ricoveri non ancora allestiti».

È il maggio del 1941. Il Banco di Napoli finanzia gli scavi e Maiuri inizia a lavorare a Baia, alle terme romane. Forse si accende una speranza per la ripresa delle attività di ricerca, ma è ben lungi dall’essere duratura. Nel novembre dello stesso anno una bomba sfiora di poco il Museo Archeologico Nazionali di Napoli. La struttura si è miracolosamente salvata, mentre la statua di Matteo Renato Imbriani è caduta dal piedistallo.

Trascorrono i mesi, la situazione non migliora e si giunge al 1942. Quando le sirene suonano, a Napoli la gente si accalca nelle grotte che corrono sotto la città. Maiuri non menziona le celebri catacombe di San Gennaro, ma si comprende come invece anche l’antico cimitero cristiano abbia dato accoglienza alle persone intimorite. E il Vesuvio, intanto, veglia dall’alto, talvolta illuminato dalle bombe incendiarie dell’aviazione Inglese.

«Nei grandi ricoveri sotto monte, nelle vecchie gallerie che hanno rivelato ai napoletani un’altra loro città sotterranea, la gente dei quartieri popolari si accalca ancora prima dell’urlo della sirena».

Ancora nel 1942, sotto lo sconcerto di un archeologo che ben poco poteva fare contro le decisioni militari e di governo, l’Acropoli di Cuma viene trasformata in centro di avvistamento per aerei nazionali e stranieri. Le rovine sono in pericolo, ma alla guerra questo non importa. Bisogna andare avanti e si poseranno i fucili solo quando ci saranno un vincitore e un vinto.

È dicembre, un altro anno è trascorso tra fughe improvvise nei meandri di Napoli, notizie ascoltate alla radio, lettere giunte da Roma. Ed è proprio durante l’ultimo mese del 1942 che si riprende a lavorare al Museo per mettere al riparo le altre opere d’arte e i beni librari. Le statue si fronteggiano, gli affreschi staccati sono poggiati uno accanto all’altro.

«Dopo la tremenda incursione del 4 dicembre, si riprende lo sgombero delle collezioni del Museo. Si rimuove quanto era ancora rimasto al primo piano, nelle nuove sale della Pinacoteca pompeiana, dove avevo raccolto e ordinato il fior fiore della pittura di Pompei, d’Ercolano, di Stabia. Il capo d’opera per cui il trasporto d’ognuno di quei pesanti quadri su intonaco dall’ammezzato al piano superiore, era costato fatiche e preoccupazioni non poche, è angosciato quanto me, forse più di me che posso confortarmi al pensiero di metterli in salvo al pianterreno fra le cataste di legname dell’anticrollo e il blindamento dei muri e dei sacchi di sabbia alle finestre. Purtroppo non tutto è possibile trasportare, e per i maggiori pezzi rimasti, le pareti di Boscoreale, le pitture funerarie di Cuma e di Paestum, si rinforzano le difese dei castelletti e dei blinda menti. E infine si pensò a mettere in salvo la biblioteca, la più minacciata all’ultimo piano, sotto tetto; si trasportò, si stivò e si ordinò alla meglio al pianterreno nel cosiddetto Gabinetto delle Veneri. Così fra quelle Veneri accovacciate e corpacciute come servotte ripulite, di faccia alla Venere callipige che scopre le sue rotondità e si rigira, torno torno per rimirarsi compiaciuta nel lustrore d’uno specchio d’acqua, vennero a rifugiarsi i nostri seri e gravi compagni di lavoro: gli infolio del Settecento, le enciclopedie e le filze dei periodici di preistoria, d’archeologia e d’arte; e i disegni, i preziosi disegni di pubblicazioni iniziate, di opere progettate, frutto di anni e anni di lavoro; si depositarono nella stanza delle sculture pergamene, dove si andava di tanto in tanto ad aprire qualche libro e a scrivere qualche rigo con le finestre e le porte blindate, alla luce d’una lampada, in un’aria greve di prigione che non valeva ad alleviare né la compagnia della Venere callipige con la malizia preziosa di damina settecentesca, né i Galati galoppanti e le Amazzoni giacenti con il petto trafitto».

Nel marzo del 1943 una bomba cade sulla chiesa di San Pietro Martire sfondandone il tetto e provocando tremendi danni. Maiuri si reca sul posto: è una disperazione. I restauri saranno poi effettuati in due fasi diverse nel 1953 e successivamente tra il 1978 e il 1983.

Nel giugno 1943 viene presa la decisione di ricorrere ai ripari: le opere d’arte più importanti, opportunamente imballate nelle casse, sono trasferite all’Abbazia di Montecassino. Partono 60 casse, scortate da 12 uomini armati e 5 camion militari insieme ad alcuni operai del Museo. Montecassino sembrava, al momento, un rifugio sicuro.

Trascorre un mese. È il 25 luglio 1943: Mussolini dà le dimissioni. A capo ora c’è Badoglio. La guerra, invece che scemare, riprende più violentemente di prima e, ad agosto, Amedeo Maiuri decide di procedere contro le disposizioni ministeriali. Le opere non trasferite a Montecassino devono comunque essere protette. Dai taccuini dell’archeologo traspare preoccupazione, un timore quasi paterno verso quei reperti che sono sopravvissuti alla furia del tempo e che rischiano di andare distrutti per sempre.

Il Museo si trasforma ora nel luogo sicuro, almeno in parte. L’archeologo decide di murare alcuni reperti mobili, tra cui il vaso blu di Pompei e la celebre Tazza Farnese. Le operazioni vengono svolte in notturna.

Museo, agosto 1943

«Contrariamente alle disposizioni ministeriali, deposito le monete e i preziosi non trasportati a Montecassino in un’intercapedine muraria del Museo. Facciamo l’operazione segretamente, di notte, in tre persone oltre al vecchio e fidato mastro muratore che doveva smurare e murare il loculo. Con gli elenchi alla mano si calano in quella buca le tavolette delle serie monetali più rare, alcune tavolette degli ori, il vaso blu di Pompei e la gemma delle gemme, la Tazza Farnese, tutto in cassette zincate e bene ovattate, come il tesoro delle tombe dei Faraoni. A operazione finita ci guardiamo in viso: saremmo stati tutti e quattro presenti al momento dell’esumazione? Una mano di vernice al di fuori doveva nascondere qualsiasi traccia di rottura e d’intonaco fresco. Ma nei giorni e nelle settimane seguenti qualcuno di noi andava nascostamente a bussare a quella parete quasi per assicurarsi della presenza del tesoro. Sapevo di fare una cosa irregolare, di assumermi una tremenda responsabilità dinanzi agli oscuri eventi della guerra: ma i fatti mi dettero ragione. Che cosa sarebbe accaduto di quelle monete, di quel fragile vaso blu, della Tazza Farnese nelle tragiche vicende del tentato trafugamento e dei continui e tumultuosi trasporti delle casse di Montecassino?»

Il 1943 è un anno tragico: molte bombe cadono sugli scavi operando parecchie distruzioni. Il Museo invece rimane illeso. E durante quell’anno, mentre era in bici di ritorno da Pompei, Amedeo Maiuri viene colpito alla gamba rimanendo coinvolto in una sparatoria. Vi è prima il ricovero a Torre del Greco, poi il trasferimento a Napoli. Ma anche a costo di rimanere zoppo, l’archeologo non si ferma. Il passato ha bisogno di lui, quei siti e quei reperti per i quali ha speso una vita intera lo chiamano anche sotto il sibilare delle bombe e con il suo bastone proseguirà fino alla fine a far visita agli scavi e al Museo.

Il Museo diventa un deposito farmaceutico. C’è apprensione, ma in fin dei conti poteva andare peggio. Il timore inizia a sorgere invece per Montecassino. Mentre infuria la battaglia, nel gennaio 1944 giunge la notizia da Roma riguardo le casse che dall’Abbazia sarebbero state portate in segreto nella Capitale. Le opere d’arte sono ora al sicuro e saranno ricoverate nei depositi dei Musei Vaticani, ma non tutto è stato condotto fino a Roma. Alcune di esse sono finite in Germania e la poca cura con la quale sono stati effettuati gli spostamenti ha fatto sì che le opere si danneggiassero.

Napoli, 5 gennaio 1944

«Infuria la battaglia di Montecassino. Tra il 15 e il 16 ottobre un convoglio della Divisione Goering aveva trasportato le casse verso una ignota destinazione al nord. Il 5 gennaio giunge una notizia: a Piazza Venezia a Roma le opere d’arte sono state consegnate al Governo Italiano. Finirono poi nei depositi dei Musei Vaticani. Non tutto venne riconsegnato: qualcosa era in Germania come l’Apollo Citaredo di Pompei e una Danzatrice di Ercolano, una cassa di ori e opere della Pinacoteca ritrovati poi in un deposito a Monaco e altrove. L’Ercole in riposo di Lisippo aveva la testa staccata e frantumata».

Infine tra il 15 e il 18 febbraio giunge una nuova straziante notizia che ancora, a distanza di anni, fa rabbrividire: l’Abbazia di Montecassino è stata bombardata. L’antico monastero non esiste più e sarà ancora luogo di battaglia fino al maggio inoltrato. Le casse con le opere di Napoli sono state portate via in tempo, ma quanto altro è andato perduto per sempre?

 Nel marzo di quell’anno Maiuri annota anche l’eruzione del temibile Vesuvio che comportò danni all’abitato e alle postazioni militari. Cos’altro poteva andar male? In realtà l’archeologo venne anche interrogato dagli Alleati che necessitavano di informazioni riguardo i sotterranei dell’Abbazia per capire se i tedeschi li avessero potuti usare per difendersi e fuggire. Maiuri rifletté, senza pronunciarsi eccessivamente a riguardo. L’ombra del sospetto per aver parteggiato per Mussolini prima e poi per il Reich si allargava su di lui. Nel luglio del 1944, dopo un interrogatorio da parte dell’Intelligence e un accurato esame delle carte, venne però dichiarato “defascizzato”. Lo stesso Maiuri narra che nel fascicolo che gli venne consegnato era contenuta una dichiarazione da parte di un collega il quale, forse per invidia, aveva testimoniato contro di lui. «Attenzione a madama archeologia» gli aveva detto il membro dell’Intelligence che lo aveva interrogato, ed effettivamente le sue parole avevano poi trovato giustificazione.

Amedeo Maiuri era, in realtà, solo un uomo come tanti, parte di quel tempo, di quell’atmosfera politica. Venne accusato di parteggiamento fascista, eppure si ricorda la lettera indirizzata a Hermine Speyer, studiosa ebrea che, a causa delle leggi razziali, subì l’allontanamento dall’Istituto Germanico, trovando successivamente lavoro e protezione presso i Musei Vaticani.

«Gentile Signorina Speyer, ho ricevuto la Sua lettera con la comunicazione del Suo allontanamento dall’Istituto; accolgo questa notizia con vivo rammarico, ricordando la cortesia da Lei sempre usata nei rapporti col mio Istituto e la Sua attività così fervida di opere. Spero che Ella possa continuare a lavorare in Roma e Le auguro, gentile Signorina, che Ella possa continuare il più serenamente possibile la Sua nobile professione di studiosa. Con distinti saluti Dev.mo Amedeo Maiuri».

Se l’archeologo fosse stato veramente aderente al fascismo e alle leggi razziali, mai si sarebbe esposto tanto. Una fotografia scoperta di recente lo ritrae in camicia nera mentre accompagna Mussolini a visitare Paestum, molto probabilmente più per necessità che per scelta, ma non è di questo che si vuol parlare, bensì della sua figura come archeologo e “Monuments Man” italiano. Amedeo Maiuri, così come Pasquale Rotondi, fu uno di quegli uomini devoti alla storia, all’identità culturale, tanto da non riuscire a lasciare in balia degli eventi quelle casse ricolme di oggetti archeologici, volumi e monete. La sua Pompei lo chiamava, il Museo Archeologico Nazionale gli chiedeva aiuto: Maiuri rispose sempre, senza mai tirarsi indietro. Ed è questo che nobilita un personaggio come lui.

La guerra è grigia, dura e triste, eppure nulla può spegnere la luce della conoscenza e di coloro che lottano per far sì che quest’ultima si trasmetta dal lontano passato al prossimo futuro.

Bibliografia:

Amedeo Maiuri, Taccuino napoletano, Napoli 1956.

Catalogo della mostra allestita presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli “Amedeo Maiuri. Una vita per l’archeologia”, a cura di Umberto Pappalardo, con contributi di Rosaria Ciardello, Laura Del Verme, Pio Manzo e presentazione di Paolo Giulierini, Napoli 2017.

Comune di Pompei: http://www.comune.pompei.na.it/amedeo-maiuri.html

Per approfondire:

Amedeo Maiuri. Una vita per l’archeologia (video a cura del MANN): https://www.youtube.com/watch?v=U90Ob5AyeTI

Amedeo Maiuri, una vita dedicata all’archeologia (video intervista a coloro che l’hanno conosciuto): https://www.youtube.com/watch?v=6jTw1VAN-Co

Fondo Maiuri conservato presso l’Università Suor Orsola Benincasa: http://www.comune.pompei.na.it/il-fondo-maiuri.html

Foto inedita pubblicata su Il Mattino: https://www.ilmattino.it/napoli/cultura/amedeo_maiuri_vesti_uniforme_fascista_la_prova_scatto_inedito-3581508.html  

Autrice dell’articolo: Cristina Cumbo

Le immagini sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

Contributo precedentemente pubblicato su “The Journal of Cultural Heritage Crime” in data 30.11.2018 e disponibile al seguente link.  

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Pubblicato da Cristina Cumbo

Archeologa e ricercatrice; Dottore di ricerca in Archeologia Cristiana; amministratrice, fondatrice e responsabile del blog #LaTPC, nonché della pagina Facebook "La Tutela del Patrimonio Culturale". Ha frequentato il primo corso di perfezionamento in tutela del patrimonio culturale in collaborazione con il Comando Carabinieri TPC presso l'Università di Roma Tre (2013) e il Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” attivo presso il medesimo ateneo (2019). Dal mese di gennaio 2022 al marzo 2024 ha collaborato con l'Institutum Carmelitanum di Roma conducendo ricerche su alcune chiese Carmelitane demolite e ricostruendone la storia. Attualmente è assegnista di ricerca presso l'ISPC - CNR, dove si occupa di analizzare storicamente il fenomeno del vandalismo sul patrimonio naturale e culturale in Italia per la redazione di linee guida funzionali alla mitigazione del rischio.