Cesare Brandi e le donne che contribuirono alla nascita della figura del “restauratore tecnico”

Eliana Billi, restauratrice e docente alla Sapienza Università di Roma, ha scritto un interessante articolo che ricostruisce il ruolo che ebbero quattro donne nel delineare la figura del restauratore tecnico, nei primi anni di attività dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma. L’abbiamo incontrata per porle alcune domande.

La storia e l’evoluzione del restauro italiano sono indissolubilmente legate alle vicende che portarono alla fondazione dell’Istituto Centrale per il Restauro (ICR) di Roma nel 1939.

Qui, nel secondo dopoguerra, Cesare Brandi, primo direttore della scuola e padre della teoria del restauro, accolse quattro giovani donne con una formazione in campo letterario e artistico, capitate all’Istituto un po’ per caso. Dapprima Nerina Neri e Laura Sbordoni (più nota nel mondo del restauro come Laura Mora, per il matrimonio con il collega Paolo Mora) e successivamente Anna Maria Sorace e Franca Callori di Vignale, quest’ultima come collaboratrice esterna.

L’attuale sede dell’ICR in Via di San Michele a Roma (Google Image Creative Commons)

A queste vicende fa riferimento l’articolo di Eliana Billi, restauratrice formatasi presso l’ICR, che da anni si occupa di critica e storia del restauro ed è professoressa nel Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte e Spettacolo della Sapienza.

Come nasce l’esigenza di approfondire il ruolo delle donne nel mondo del restauro?

Mi sono chiesta quando il mondo del restauro è diventato prevalentemente femminile come è oggi e ho scoperto la solita storia di donne che si devono far spazio tra gli uomini. Oggi il restauro è un ambito lavorativo con una scarsa presenza di uomini, ma non è sempre stato così. E comunque, nonostante la storia che racconto nell’articolo, le donne resteranno numericamente di gran lunga inferiori ai loro colleghi fino agli anni ‘60.

Nell’articolo si parla di restauratore-tecnico come di una figura professionale che nasce solo nel ‘900. Ci può spiegare meglio?

Quella del restauratore non è sempre stata una professione come la intendiamo oggi, che si basa su competenze tecnico-scientifiche e metodologia critica. Per secoli i restauratori sono stati artisti capaci di rinfrescare e riparare parti degradate o mancanti delle opere d’arte. Si trattava di interventi di carattere preminentemente estetico e funzionale, ancora molto lontani da un approccio critico. Nei primi anni di vita dell’ICR, Brandi si avvalse di un manipolo di restauratori per definire e attuare i principi della sua teoria. La presenza femminile, in questo gruppo di giovani collaboratori, fu fondamentale per attuare il cambiamento teorizzato insieme a Giulio Carlo Argan ovvero passare dal restauratore-artista al restauratore-tecnico, definendo un metodo istituzionalmente riconosciuto.

Che ruolo ebbero le quattro restauratrici a favore di questo cambiamento?

Avevano formazione e, si direbbe oggi, background differenti, ma furono accumunate da alcune doti fondamentali per un restauratore: prudenza, rispetto per l’opera nei suoi valori di autenticità, senso della misura e capacità interpretative. Tutte carte da giocare particolarmente utili al progetto brandiano. Nerina, Laura, Anna Maria e Franca erano libere da quell’orgoglio artigiano tipicamente maschile e bisognoso di dominare la materia che caratterizzava il restauratore tradizionalmente formato a bottega. Erano inoltre più disposte ad adattarsi a un contesto in evoluzione.

Quanto influì il contesto storico dell’Italia del dopoguerra?

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, non era facile trovare giovani uomini disposti a lavorare come restauratori per l’amministrazione pubblica, che non poteva pagare grandi cifre. Fu in questo contesto storico che Brandi coinvolse Nerina Neri e le sue colleghe nella sfida istituzionale di creare la prima scuola pubblica di restauro.

Eliana Billi, attraverso la raccolta e lo studio della documentazione presente nell’archivio storico e fotografico dell’ICR e in quello dell’Accademia di Belle Arti di Roma, ha delineato le caratteristiche di quella stagione che fu operosa ed entusiasmante, nonostante le scarse risorse. Alle cure dei giovani collaboratori di Brandi furono affidate le prime opere reduci dalle distruzioni della guerra: tra queste, i dipinti di Lorenzo da Viterbo della Cappella Mazzatosta di Santa Maria della Verità a Viterbo e quelli della Cappella Ovetari degli Eremitani di Padova.

Nel suo articolo ci sono foto che ritraggono le restauratrici a lavoro, in laboratorio ma anche in cantiere, accanto ai colleghi. Una parità di genere compiuta?

Da quello che ho potuto riscontrare nei documenti, le donne vennero coinvolte sin dall’inizio in tutte le fasi del lavoro di restauro, non solo in quella di ritocco pittorico che poteva ricordare l’art d’agrement che faceva parte della formazione delle signorine per bene.  L’ottimo lavoro svolto in quegli anni permise a Brandi di ottenere dal Ministero della Pubblica Istruzione, l’assunzione temporanea dei primi restauratori e restauratrici interni all’Istituto. Fu questa la prima vera squadra di operatori dediti alle sole attività dell’Istituto che differì non poco da quelle tradizionali fatte di soli uomini.

Eliana Billi, restauratrice e docente alla Sapienza (su gentile concessione di E. Billi)

Oltre a ricostruire le vicende principali della carriera delle quattro restauratrici, Billi impreziosisce il suo articolo con la testimonianza diretta di Licia Vlad Borrelli, funzionaria archeologa a partire dal 1950.

Vlad Borrelli sottolinea di aver lavorato senza mai avvertire discriminazioni di genere. È ancora così? 

Come scrivo nell’articolo, Vlad Borrelli racconta che Brandi seppe sempre riconoscere le indubbie capacità professionali delle sue collaboratrici e valorizzare le specificità dei loro talenti. Delle donne seppe sfruttare proprio la capacità di cogliere a fondo l’essenza del nuovo approccio al restauro. Personalmente ho lavorato in tanti cantieri diversi e in alcuni ho potuto constatare ancora discriminazioni di genere, soprattutto nell’ambito di contesti decisionali in cui gli uomini credono di aver maggior diritto di parola.

Se il restauro italiano è diventato negli anni a venire un’eccellenza internazionale, lo si deve anche, e forse soprattutto, a queste quattro pioniere che diedero forza strutturale al progetto di Cesare Brandi. Conservare la memoria di quella felice stagione, ci sembra cosa buona e giusta.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Matilde Atorino

Scritto in data: 23 aprile 2023

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Pubblicato da Matilde Atorino

Laureata presso l'Istituto Centrale per il Restauro nel settore dei dipinti, ha svolto la professione di restauratrice dal 2006 al 2020, in proprio e per 4 anni come dipendente dei Musei Vaticani. Nel 2022 ha conseguito il titolo del Master di I livello "La scienza nella pratica giornalistica" presso La Sapienza, con una tesi sulla comunicazione del restauro. Ama viaggiare, soprattutto in bici.