Il convento di S. Francesco a Palombara Sabina: origine, declino e restauro di un complesso religioso

C’era una volta il convento di Palombara Sabina, gestito dai Frati Minori Osservanti. Non è l’inizio di una fiaba, ma di una storia, quella di un luogo che, come tanti altri nel Lazio e nel resto d’Italia, caduto in uno stato di abbandono fino ai recenti interventi di restauro, consolidamento e miglioramenti sismici, conclusi con l’inaugurazione nel 2016.

Ci troviamo ad est di Roma, poco oltre Monterotondo e Guidonia Montecelio. Il complesso conventuale francescano venne realizzato nel corso di vari secoli, a più riprese, attraverso conseguenti modifiche interne e adattamenti degli spazi. Come ben possiamo immaginare, si sviluppa intorno a un chiostro quadrangolare, dalle pareti affrescate con le storie di San Francesco e Sant’Antonio e sul quale si affacciavano un tempo le celle dei frati, mentre la chiesa presenta una navata unica e quattro cappelle. Davanti al complesso sono, invece, osservabili le 14 edicole delle stazioni della Via Crucis in terracotta, con didascalie marmoree.

La memoria di questo luogo è legata però a un particolare culto, quello della Madonna della Neve, celebrato con una grande festa il 5 di agosto. Padre Filippo da Massa, ottenuto il permesso di costruire un monastero, la chiesa e il cimitero presso Palombara tramite un breve pontificio di Pio II, ebbe un finanziamento dai Savelli, nobili del posto particolarmente legati ai francescani, per far erigere il complesso. Ebbene, sembra che il frate avesse trovato già una cappella, preesistente almeno dal 1314, dove si venerava l’immagine sacra, una tavola dipinta da Antonio da Viterbo che sul retro porta incisa una data, 1414. La dedicazione e lo specifico riferimento alla neve sarebbe dovuto al fatto che gli abitanti di Palombara, Moriconi, Nerola, Montorio Romano e Monteflavio fossero molto attivi nel suo commercio con Roma.

Tavola della Madonna della Neve nella chiesa di San Biagio (foto tratta da Marchetti 2015)

Fu proprio nel 1741, momento in cui il complesso subì restauri, ampliamenti e modifiche, che la cappella venne ricompresa tra le mura del convento subendo un cambiamento d’uso e diventando parlatorio, consentendo di fatto l’ingresso alla struttura, mentre la tavola dipinta fu traslata e posta sull’altare maggiore della chiesa.

Attraverso il Regio decreto 7 luglio 1866, n. 3036 fu tolto il riconoscimento a tutti gli ordini, le corporazioni, e le congregazioni religiose regolari, ai conservatori ed i ritiri che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico; conseguentemente il patrimonio materiale venne destinato alle amministrazioni locali.

A Palombara Sabina, come in molti altri conventi, accadde un fenomeno altamente dannoso per la memoria storica: il Padre Provinciale diede disposizione di vendere, oltre alle provviste, anche tutti gli oggetti del convento. Una prima dispersione inizia perciò a smembrare la storia di un importante luogo di culto, ma le perdite maggiori avverranno con gli anni.

Nel 1878 il convento venne definitivamente considerato fuori uso e, nei terreni ad esso adiacenti, il Comune – che ne aveva preso possesso nel 1875 – stabilì il cimitero; bisognerà attendere il 1894 prima che i religiosi abbandonino quel sito dedicato a San Francesco. Prima del recente intervento di riqualificazione, le strutture portanti della chiesa apparivano in rovina o in stato di degrado avanzato, così come le coperture della struttura, raccontandoci il peggior periodo del convento francescano.

Quest’ultimo ormai lasciato a se stesso, all’incuria e al terribile passaggio del tempo, dovette fare i conti con la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1944 i tedeschi lo occuparono, trovando in esso rifugio e stabilendo qui il forno militare che riforniva i combattenti di Cassino. Quando i soldati si ritirarono, la chiesa venne imbrattata dai cavalli che vi sostavano, gli stalli del coro furono rubati, altari e cappelle vennero completamente distrutti (in particolare le tre cappelle sulla sinistra, dove erano state installate le macchine per i forni), il portico coperto di graffiti, infine furono asportati persino infissi e travi. A tutta questa devastazione si aggiunga il fatto che, per anni, le statue giacquero a pezzi sul pavimento della chiesa, il tabernacolo mancante di alcune parti, le reliquie manomesse, i quadri della Via Crucis parzialmente rubati. Tra le perdite si ricorda la pala, precedentemente collocata sull’altare maggiore, insieme a molte altre opere, trafugate, disperse o danneggiate delle quali non si possiede alcuna documentazione fotografica.

Il convento di San Francesco era divenuto perciò una struttura fantasma, un rudere, luogo in cui cercare di asportare quelle parti di opere d’arte ridotte in frammenti. Soltanto nel 1952 iniziarono gli interventi di recupero della chiesa, ma i danni erano davvero enormi.

Per quanto riguarda la tavola della Madonna della Neve, invece, sottoposta all’azione degradante di agenti atmosferici, subì in seguito vari ritocchi, anche quello relativo al manto che, nel 1956, venne arricchito con motivi floreali. Per far sì che non andasse perduta, nel 1894 si pensò ancora una volta di traslarla nella chiesa parrocchiale di San Biagio, dove si trova ancora oggi, insieme alla rivestitura in legno di noce appartenente alla sacrestia del convento e ai migliori paramenti liturgici.

Il convento di San Francesco (foto tratta da Marchetti 2015)

Come si diceva in principio, nel 2016 furono inaugurati i restauri del complesso conventuale, recuperando di fatto le strutture architettoniche fatiscenti che giacevano in stato di abbandono. Ma cosa ne è stato di tutto ciò che venne barbaramente trafugato o venduto? Riusciremo mai a ritrovarlo? Il caso di Palombara Sabina sottolinea semplicemente un fenomeno importante e basilare: occorre pochissimo tempo per disperdere opere e tasselli della nostra storia, ma possono trascorrere anni prima che essi vengano riportati nel luogo d’origine. Le attività congiunte delle forze dell’ordine e dei professionisti dei beni culturali conducono quasi sempre a risultati straordinari, ma a quale prezzo? A volte le problematiche sono enormi: non esiste documentazione fotografica, alcune opere non sono mai state catalogate risultando di fatto sconosciute, il patrimonio archivistico è difficilmente consultabile, smembrato in varie sedi e non contiene tutte le informazioni necessarie ad apprendere dati ulteriori. Talvolta tutto si complica: se un bene culturale riesce ad essere recuperato grazie alle indagini, può però giacere per anni in attesa di restituzione, a volte rimanendo “orfano”.

E cosa potremo dire, dunque, di un bene senza storia, di un’opera decontestualizzata, di cui è possibile fornire solo una descrizione oggettiva? Ecco perciò che si rivela fondamentale tutelare i complessi abbandonati, velocizzando i processi di restauro e rifunzionalizzazione delle strutture; a questo si associ la catalogazione di ogni bene, traslandolo temporaneamente in un luogo più sicuro, pena la perdita della nostra memoria storica, della nostra identità culturale.

Convento di San Francesco, lato ovest (foto tratta da Marchetti 2015)

Bibliografia essenziale:

V. Calvanese, G. Giordano, Il progetto di restauro e consolidamento della chiesa del convento di San Francesco a Palombara Sabina (Roma): conservazione e riabilitazione di un edificio in pietra, in V. Calvanese, International Conference and Exibition – CITTAM 2007. Costruire in “pietra” fra innovazione e tradizione, Napoli, 22-23 febbraio 2007, Napoli 2007, pp. 263-271.

FAI, Convento di San Francesco: https://fondoambiente.it/luoghi/convento-di-san-francesco-palombara-sabina?ldc

Il convento di San Francesco restaurato (25.05.2016): http://www.progettopalombara.it/news/turismo-cultura-e-sport/199-il-convento-di-san-francesco-restaurato

B. Marchetti, Il Convento di San Francesco a Palombara Sabina, Formia 2015.

Parrocchia di Palombara Sabina, Chiesa di San Francesco: https://parrocchiapalombara.it/chiesa-di-san-francesco/

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Cristina Cumbo

Scritto in data: 6 giugno 2021

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Pubblicato da Cristina Cumbo

Archeologa e ricercatrice; Dottore di ricerca in Archeologia Cristiana; amministratrice, fondatrice e responsabile del blog #LaTPC, nonché della pagina Facebook "La Tutela del Patrimonio Culturale". Ha frequentato il primo corso di perfezionamento in tutela del patrimonio culturale in collaborazione con il Comando Carabinieri TPC presso l'Università di Roma Tre (2013) e il Master annuale di II livello in “Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale” attivo presso il medesimo ateneo (2019). Dal mese di gennaio 2022 al marzo 2024 ha collaborato con l'Institutum Carmelitanum di Roma conducendo ricerche su alcune chiese Carmelitane demolite e ricostruendone la storia. Attualmente è assegnista di ricerca presso l'ISPC - CNR, dove si occupa di analizzare storicamente il fenomeno del vandalismo sul patrimonio naturale e culturale in Italia per la redazione di linee guida funzionali alla mitigazione del rischio.