Il patrimonio culturale e i cambiamenti climatici: come passare dallo studio alla pratica

Si è tenuto lo scorso 30 maggio, presso la sede centrale del CNR a Roma, un interessante convegno sulla relazione tra patrimonio culturale e cambiamenti climatici. Tre i punti fondamentali su cui lavorare: passare dallo studio alla pratica, garantire la presenza di scientifici nel MiC e coinvolgere i cittadini.

I dipinti murali realizzati da Antonio Achilli (1903-1993) a metà del XX secolo nella Sala Marconi – al primo piano della sede centrale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) a Roma – raffigurano personaggi del mondo della scienza e dell’esplorazione, dall’antichità ai giorni nostri, e sembrano essere lì per ricordarci l’indissolubilità del legame tra arte e scienza.

È in questa sala che si è tenuto lo scorso 30 maggio un convegno dedicato al rapporto tra i cambiamenti climatici e i beni culturali. Non è questa l’occasione per approfondire il tema del climate change, oggetto di quotidiani dibattiti per quanto riguarda sia le misure da adottare per rallentarlo, sia quelle da mettere in campo per rimediare ai danni che provoca a persone e cose. È fuori dubbio che l’aumento della frequenza di fenomeni climatici di alta intensità, alzi l’asticella della sfida e renda più complesso il lavoro anche a chi si occupa di conservazione e tutela.

Immagine dell’evento svoltosi il 30 maggio scorso (foto CNR)

Da circa vent’anni si studiano gli effetti dell’aumento graduale di umidità, temperatura ed inquinamento sul patrimonio storico-artistico e, da qualche tempo, anche dell’impatto degli eventi climatici estremi. Grazie anche al sostegno di progettualità europee e nazionali, la ricerca ha raggiunto importanti risultati che tuttavia non trovano adeguata traduzione operativa in strumenti e soluzioni. I piani nazionali di adattamento ai cambiamenti climatici e di riduzione e gestione del rischio di eventi catastrofici sono, infatti, privi di misure di salvaguardia specifiche per i beni culturali.

Nel report del 2022 elaborato dall’EU Open Method of Coordination (OMC) si sottolinea che soltanto dodici dei ventotto Paesi membri menzionino il patrimonio culturale nelle politiche in materia di cambiamento climatico.

È quindi il momento, come sottolineato da molti dei relatori, di passare dallo studio alla pratica.

Secondo Costanza Miliani, Direttrice dell’Istituto di scienze per il patrimonio culturale (ISPC) – che è nato quattro anni fa e che mette insieme ricercatori di scienze umane e sociali e specialisti in materie STEM – il patrimonio culturale “può essere driver per uno sviluppo sostenibile e inclusivo e per la transizione ecologica”.

La multidisciplinarietà è insita nelle discipline che si occupano della conservazione dei beni culturali. Ma, come sottolineato dalla professoressa Elisabetta Giani dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma (ICR) – che è tra gli esperti che hanno partecipato ai lavori dell’OMC – nel Ministero dei Beni Culturali stanno scomparendo le figure degli scientifici.

Mancano, o sono troppo sporadici, i concorsi per sostituire chi va in pensione, sia tra i funzionari delle Soprintendenze sia tra le risorse umane di istituti come l’ICR.

Un altro aspetto di rilevante importanza è, secondo Giani, il coinvolgimento dei cittadini. La protezione del patrimonio è infatti innanzitutto protezione del territorio che necessita della partecipazione di tutti gli attori presenti. “Il senso di appartenenza –sottolinea Giani – può far accettare le limitazioni alla fruizione che a volte sono necessarie per salvaguardare un bene. Certamente è più interessante assistere ad un restauro “a porte aperte” che capire perché, per esempio, sia necessario sostituire le vetrine di un museo. Ma per una reale ed efficace conservazione preventiva, è fondamentale informare e coinvolgere la popolazione.”

Proprio i musei vengono considerati un hub culturale su scala locale in cui quotidianamente favorire l’educazione al patrimonio dei cittadini. “Non si può continuare ad agire in regime di emergenza” afferma Antonella Nonnis, coordinatrice per l’Italia della Commissione Sicurezza ed Emergenza dell’International Council of Museums (ICOM).  Anche per Nonnisè necessaria una maggiore attenzione alla pianificazione e una condivisione continua tra la comunità scientifica e quella civile. Infine, promuovendo destinazioni anche al fuori del mainstream,“i musei possono essere uno strumento chiave anche per combattere i fenomeni dell’over tourism”conclude Nonnis.

L’innovazione tecnologica e il digitale permettono oggi di elaborare un’enorme mole di dati. Georadar, fotogrammetria, telerilevamento raccolgono informazioni multiscala che sono fondamentali per attuare efficaci piani di prevenzione. È il caso per esempio dei siti in prossimità della costa che, come sottolinea Nicola Masini dell’ISPC “costituiscono scenari che possiamo definire multirischio, essendo localizzati in zone interessate da erosione costiera”.

Cinque Terre (Foto di Gianni Crestani da Pixabay)

Per siti ampi e complessi, studiare e comprendere il legame con il territorio è di primaria importanza. Daniele Spizzichino dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ricorda che a volte è impossibile separare il sito culturale dal territorio su cui è realizzato, come nel caso di siti rupestri realizzati su rocce tenere e spesso naturalmente interessati sia da fenomeni di erosione che di infiltrazione e ristagno di acqua. In questi casi il degrado è accelerato dall’aumento graduale della temperatura e dell’umidità e da piogge mediamente molto più abbondanti. La vulnerabilità di questi siti – pensiamo a Petra in Giordania – è inoltre accentuata dalla presenza dei visitatori, spesso massiccia. Anche Spizzichino sottolinea la necessità di una reale collaborazione tra esperti di scienze della terra ed esperti della conservazione, per individuare e salvaguardare i siti più fragili e maggiormente esposti al cambiamento climatico.

Petra in Giordania (foto di Diego Delso, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons)

Per quanto riguarda la difficoltà di riuscire a passare dallo studio alla pratica, Paolo Iannelli della Direzione Generale Sicurezza del patrimonio culturale (TBC) del Ministero della Cultura (MIC) ammette che “siamo molto bravi nello studio e nella ricerca ma meno bravi nell’utilizzo pratico di quanto messo a punto”. Iannelli sottolinea la necessità di monitoraggi integrati, satellitari e terrestri, che siano davvero uno strumento utile per chi gestisce un sito culturale.

Il convegno è stata anche occasione per presentare alcune buone pratiche messe a punto negli ultimi anni. Francesco Trovò, dell’Università IUAV di Venezia, ha parlato della gestione dell’acqua alta nella Serenissima dopo l’avvento del MOSE; Enrico Gallocchio del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, ha raccontato dei recenti sviluppi del progetto Musas e di un nuovo progetto di citizen science per raccogliere settimanalmente dati relativi ai fondali del Parco sommerso di Baia; infine, Emanuele Raso e Francesco Marchese hanno presentato il progetto Stonewallsforlife nel Parco Nazionale delle Cinque Terre. Qui il fulcro del lavoro riguarda la manutenzione e il rifacimento dei muri a secco per la tenuta di terrazzamenti e sentieri e la necessità di garantire una continuità nella coltivazione dei terreni, con il coinvolgimento delle comunità locali.

Questi tre esempi dimostrano che studio, ricerca e innovazione tecnologica, se uniti a politiche nazionali e locali lungimiranti e alla partecipazione delle stesse comunità, possono aiutare a passare dallo studio alla pratica, per contenere gli effetti del cambiamento climatico sul patrimonio culturale.

Video del convegno: https://www.radioradicale.it/scheda/699259/cambiamenti-climatici-e-beni-culturali-dalla-valutazione-degli-impatti-alla-gestione

Abstract: It would seem obvious to consider climate change having an impact also on cultural heritage. However, the 2022 EU Open Method of Coordination (OMC) report has pointed out that only twelve of the twenty-eight member countries include cultural heritage in climate change policies. Extreme climatic events, which are increasingly frequent, require a change.

The 30th May, an interesting conference about the relationship between cultural heritage and climate change, was held in Rome at the Italian National Research Council (CNR). Three main aspects have been highlighted to work on in the future: moving from study to practice, guaranteeing the presence of scientists in the central administrations (for example in Italy, at the Cultural Heritage Ministry – MiC) and involving citizens, also through more effective information/communication.

Keywords: climate change, cultural heritage, risk, conservation, conference, citizen science

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Matilde Atorino

Scritto in data: 18 giugno 2023

Foto di copertina: Foto di Peggychoucair da Pixabay

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Pubblicato da Matilde Atorino

Laureata presso l'Istituto Centrale per il Restauro nel settore dei dipinti, ha svolto la professione di restauratrice dal 2006 al 2020, in proprio e per 4 anni come dipendente dei Musei Vaticani. Nel 2022 ha conseguito il titolo del Master di I livello "La scienza nella pratica giornalistica" presso La Sapienza, con una tesi sulla comunicazione del restauro. Ama viaggiare, soprattutto in bici.