Il ruolo di Giorgio Castelfranco nella difesa e tutela del patrimonio artistico italiano (parte 2)

Durante tutta la sua carriera, Giorgio Castelfranco possedette qualità come precisione e dedizione al lavoro svolto in maniera attenta e minuziosa. Già dal 1926, quando venne assegnato alla Soprintendenza alle Opere di Antichità e di Arte delle Puglie, con sede a Taranto, egli si occupò della compilazione di schede di catalogo degli oggetti d’arte del territorio; lo stesso fece presso la Soprintendenza Medievale e Moderna dell’Umbria, con sede a Perugia, e presso la Soprintendenza all’arte Medioevale e Moderna per la Toscana, con sede a Firenze.

In quegli anni, infatti, presso la Direzione Generale delle Belle Arti si stava svolgendo un’operazione importante, vale a dire il censimento del patrimonio artistico nazionale. La principale finalità di una tale monumentale operazione era la tutela del patrimonio, ma anche la creazione di uno strumento che potesse risultare utile per gli studiosi, dal momento che avrebbe fornito un quadro completo dell’arte italiana attraverso i secoli.

Da una relazione firmata dal Soprintendente Giovanni Poggi il 17 agosto 1934 si evince che Castelfranco:

“Ebbe anche l’incarico di completare e rivedere lo schedario delle opere d’arte appartenenti ad enti, così della provincia di Firenze come di quelle di Pisa; frutto di tale lavoro sono il ricupero di opere d’arte vendute abusivamente o trafugate, come una statua lignea di vescovo di Gorfigliano, un bel tabernacolo trecentesco del convento di Monte Senario e la scoperta di altre ignote o poco note come il rame inciso di Vicchio di Rimaggio, la Madonna in legno di S. Maria a Monte, le statue lignee della parrocchiale di Pontito. Ma in tal campo la maggior benemerenza del Castelfranco è il recente ritrovamento di importanti affreschi dugenteschi nella ex chiesa di S. Giovanni di Montelupo (cfr. l’articolo Corsus me pinxit, in Bollettino d’Arte): affreschi di cui egli ha anche personalmente curato e sorvegliato il restauro, con ottimo resultato. Il Castelfranco è in grado di poter eseguire e ha difatti in moltissimi casi eseguito nitide fotografie di monumenti e di opere d’arte, e si è dedicato con molto amore allo studio dell’arte del restauro, stando in continuo contatto con i restauratori che lavorano nel nostro Gabinetto e contribuendo con particolare intelligenza alla risoluzione dei complessi problemi che di frequente si presentano in tale difficile e delicato lavoro. Presentemente il Castelfranco attende per incarico dello speciale ufficio presso il Ministero dell’Educazione Nazionale al catalogo delle opere d’arte del Comune di Pisa”.

La catalogazione, quindi, era considerata allora come il primo strumento di conoscenza e di tutela del patrimonio culturale. E il nostro Castelfranco diede un contributo di assoluta qualità a tal proposito. La conoscenza dettagliata e la compilazione di elenchi delle opere d’arte e dei monumenti presenti sul territorio si rivelarono essere degli strumenti assolutamente necessari nel momento in cui si iniziarono a preparare e mettere in atto misure di tutela al patrimonio artistico prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. La Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, già a partire dal 1930, chiedeva alle Soprintendenze di tutta Italia di considerare concretamente la questione della tutela in caso di conflitto armato, di preparare dei piani di sgombero delle opere che potevano essere rimosse dalla loro sede, perché a rischio bombardamento, e stilare elenchi precisi e dettagliati sia delle opere da trasportare il luoghi lontani da possibili bersagli bellici, ma anche di quelle da proteggere in situ. A tal proposito, il 7 ottobre 1935, i soprintendenti all’Arte Medievale e Moderna di Firenze inviarono al Ministero una circolare in cui mettevano al corrente dello studio di un progetto riguardante la protezione antiaerea del territorio fiorentino, illustrandone le difficoltà. Richiedevano l’intervento del Ministero della Guerra per mettere a disposizione mezzi e strumenti in numero sufficiente per garantire la difesa del patrimonio. Inoltre, sappiamo da quanto Castelfranco stesso scrisse il 3 ottobre 1944 in una relazione indirizzata al Ministro Guido De Ruggiero, che egli aveva formulato un proprio progetto di protezione antiaerea quando ancora si trovava a Firenze e in corso era la guerra di Etiopia. Tale progetto non venne mai attuato.

Le sculture della Fontana dell’Ammannati in Piazza della Signoria a Firenze, parzialmente coperte sotto le prime protezioni messe in atto per evitare danni al patrimonio artistico e monumentale (fonte immagine: https://museoarcheologiconazionaledifirenze.wordpress.com/tag/salvataggio-opere-darte-firenze/; (Creative Commons – Attribuzione, Non Commerciale, Non opere derivate 3.0)

Purtroppo Castelfranco, estromesso dall’Amministrazione alla fine del ’38 a causa delle leggi razziali, dovette mettersi in salvo e riparare a Taranto, quindi a Salerno dove, nel 1944, assunse la reggenza provvisoria della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Finalmente reintegrato, nell’estate dello stesso anno, venne incaricato di affiancare gli ufficiali alleati nel giro di ricognizioni ai depositi toscani. Da questa sua missione scaturì la relazione citata sopra. Relazione che ci aiuta a capire meglio l’apporto che Castelfranco realmente ha dato nella tutela del patrimonio negli anni intorno alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche ciò che avrebbe potuto fare se non fosse stato estromesso dall’Amministrazione delle Belle Arti.

Castelfranco, quindi, nel ’44 scrive che non poteva, per ovvie ragioni, sapere quali misure furono effettivamente prese a protezione del patrimonio monumentale e artistico in Italia e in particolare in Toscana. Ignorava “completamente gli ordini impartiti in proposito dalla Direzione Generale, all’inizio della guerra sino all’Armistizio, e, più che mai, gli ordini dati dal governo repubblicano”.

Nonostante ciò, egli maturò la propria opinione riguardo quel che era stato fatto ed era necessario fare. In particolare, anche Castelfranco era favorevole allo smontaggio delle sculture monumentali per metterle in sicurezza nei depositi di campagna (rifugi) fuori Firenze. Alla luce di come il conflitto effettivamente si svolse, certe misure prese possono attualmente sembrare inutili e assolutamente dispendiose, sia in termini di tempo che di mezzi e denaro, ma prima dell’entrata in guerra dell’Italia, il maggior timore era quello che un tiro inesatto avrebbe distrutto i grandi capolavori dell’arte del Rinascimento.

“In quanto poi alla scelta dei rifugi, [Castelfranco scriveva nella Relazione del ’44 che, quando era] ancora in servizio e la guerra era ancora lontana, in Etiopia o in Spagna alla requisizione o affitto in ville private si pensava appena e vagamente; si faceva invece assegnamento sulle ville demaniali”.

Avrebbe, invece, dissentito su due punti: aveva suggerito di non sfollare tutte le opere mobili delle gallerie e chiese di Firenze, ma solamente quelle di grande importanza artistica, ricoverando le altre nei piani terreni, sottosuoli e seminterrati dei palazzi più centrali della città; riteneva opportuno smontare le cornici dei dipinti e imballare tutto quanto in maniera opportuna nelle casse, senza rischiare, come invece effettivamente accadde, di far attraversare tutta l’odissea della guerra senza nessuna protezione a dipinti importanti come la Primavera di Botticelli, l’Annunciazione di Filippo Lippi in San Lorenzo, la Madonna Rucellai, la Visitazione del Pontormo.

“Ma salvo questi appunti [prosegue Castelfranco nella sua relazione], è pur da riconoscere che l’opera di protezione da bombardamenti aerei fu fatta: all’armistizio le opere d’arte di Firenze erano distribuite in 22 ricoveri, da Camaldoli a Montespertoli, e anche nella tragicissima ipotesi che Firenze fosse stata tra le città più duramente bombardate d’Europa, almeno per le pitture da cavalletto e per le sculture più importanti il suo patrimonio artistico non avrebbe sofferto”.

Dopo l’8 settembre del ‘43, concluso l’armistizio e iniziata la guerra terrestre in Campania, il piano di protezione delle opere d’arte avrebbe dovuto essere praticamente invertito. Le opere dovevano, a quel punto, rientrare a Firenze, ma entrò in azione proprio in quel frangente la Kunstschuz tedesca, composta da studiosi d’arte tedeschi, in genere persone colte (così pare), fini e garbate, ma che obbedivano agli ordini impartiti dagli ufficiali delle S.S.

“Così furono ritrasportate a Firenze solo le opere dei depositi delle gallerie ferroviarie dell’Incisa (perché si pensava di riattivarla), di Pian della Collina (nord-est di Pistoia) e di Scarperia vicina alla cosìddetta linea Gotica. Se non si fossero mandate nei ricoveri dispersi e lontani indiscriminatamente tante opere d’arte, se fossero state in casse e quindi più facile a rimuoversi anche senza tanti riguardi, il ritrasporto a Firenze sarebbe stato più facile. E mentre i tedeschi non chiesero la consegna a loro di opere d’arte in città, ebbero buon giuoco nel votare o del tutto o in parte depositi di campagna; è difficile dire sin dove sia giunta la volontà di proteggere gli oggetti dalle offese belliche dell’esercito alleato avanzante e dove cominci la volontà di impossessarsene. […] Certamente i danni subiti dal patrimonio artistico di Firenze si preannunziano impressionanti; e cioè:

a Oliveto sottratti l’Adamo e l’Eva di Cranach degli Uffizi;

a Poppi (riscontro in corso) da 25 a 30 casse esportate – manca la cassa N. 13 (Liothard – Watteau – Magnasco – Castiglione – Reni – 2 Bellotto – manca il ritratto N. 1890 (scuola di Memling);

a Dicomano asportate 25 casse di sculture degli Uffizi;

a Barberino mancano 25 grandi disegni degli Uffizi – danni al materiale paleografico della Università di Firenze;

a Montagnana tutto asportato, fuorché 12 quadri e due casse;

a Poppiano danni alla Deposizione del Rosso (Volterra) alla Visitazione del Pontormo (Carmignano), alla Natività del Candido (Volterra)”.

Uno scenario che si preannunciava preoccupante.

Approfondiremo, nella terza e ultima parte di questo articolo, l’argomento dei sopralluoghi atti ad individuare le opere d’arte rimaste nei rifugi dopo le razzie perpetrate da parte dei militari nazisti in ritirata, nonché l’apporto che Castelfranco dette alla buona riuscita di queste operazioni di salvataggio e al recupero delle opere che erano state trafugate e portate in Germania.

Soldati tedeschi mentre stanno prelevando alcune casse contenenti sculture degli Uffizi dall’Oratorio di Sant’Onofrio a Dicomano. Fonte immagine: www.toscananovecento.it

Fondi archivistici consultati

Archivio Castelfranco, Biblioteca Berenson (ACBB), Villa I Tatti, The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, Serie III – Professional.

Archivio Giovanni Poggi (AGP), Archivio Storico delle Gallerie Fiorentine, Serie VIII – Protezione antiaerea e danni di guerra.

Per i riferimenti bibliografici si rimanda alla prima parte di questo approfondimento (link).

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Caterina Zaru

Scritto in data: 2 ottobre 2020

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.

Le immagini, delle quali è indicata la fonte, sono inserite per puro scopo illustrativo e senza alcun fine di lucro.

La nostra attività sul blog e sui social viene effettuata volontariamente e gratuitamente. Se vuoi sostenerci, puoi fare una donazione. Anche un piccolo gesto per noi è importante.

Ti ringraziamo in anticipo!

Admin. Cristina Cumbo e #LaTPC team

Puoi inquadrare il QR-code tramite l’app di PayPal, oppure cliccare su:

Sostieni #LaTPC blog