La memoria dell’alluvione di Firenze e l’evoluzione del concetto di tutela del patrimonio

Pioggia a non finire che porta le acque dell’Arno fin nelle strade del capoluogo toscano, rendendo inaccessibili i primi piani delle case e gli ingressi delle chiese, minacciando inoltre musei e biblioteche.

È il 4 novembre del 1333, quando su Firenze si abbatte una delle più catastrofiche alluvioni di sempre: la città rimane praticamente senza ponti; quello che oggi chiamiamo il “Ponte Vecchio”, infatti, verrà ricostruito dodici anni più tardi e ancora oggi una lapide in lingua volgare è silenziosa testimonianza dell’avvenimento.

Trascorrono oltre 500 anni, quando, durante i primi giorni di novembre del 1844, si ripresenta un momento infausto per Firenze, che vede l’Arno invadere il centro storico paralizzando le attività cittadine; in questa occasione, addirittura Palazzo Pitti viene adibito a ricovero per l’accoglienza degli alluvionati da parte del Granduca di Toscana Leopoldo II.

Da questo episodio trascorrono soltanto centovent’anni e nel 1966 Firenze subisce la ferita più grave: una nuova alluvione la colpisce nuovamente – quasi fosse uno scherzo del destino – all’inizio del mese di novembre, mettendo in pericolo, questa volta, anche l’intero patrimonio artistico e culturale della città. Si parla di un evento eccezionale che investe buona parte dell’Italia del Nord, conducendo l’Arno a dover smaltire una piena con una portata d’acqua di oltre 4.000 metri cubi al secondo; l’impresa è impossibile per un fiume che, di norma, presenta una portata massima di poco superiore alla metà di questo valore. I risultati sono evidenti: circa 600.000 metri cubi di acqua e fango invadono la città, superando i livelli di tutte le precedenti alluvioni, causando morte e distruzione.

Lasciando alle cronache storiche l’analisi delle cause, la ricerca delle responsabilità e il conteggio dei danni, ciò che appare straordinario in tale tragico frangente è la mobilitazione spontanea della popolazione, fiorentina e toscana, ma non solo, allo scopo di porre in salvo il patrimonio artistico della città, vittima silenziosa dell’alluvione.

Il celeberrimo Crocifisso di Cimabue ospitato a Santa Croce, che verrà parzialmente salvato solo grazie ad un restauro lungo decenni, la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze da cui si staccarono quasi tutte le formelle del Ghiberti, le opere danneggiate nei depositi della Galleria degli Uffizi sono solo pochi – seppur emblematici – esempi delle centinaia di migliaia di opere che subiscono gravi deterioramenti in questi giorni di inizio novembre.

La tragicità dei danni, così come la straordinarietà della mobilitazione spontanea, infatti, si trova nei numeri, grandissimi e quasi inimmaginabili:

«[…] 321 dipinti su tavola, 413 dipinti su tela, 11 cicli di affreschi, 39 affreschi singoli, 31 affreschi staccati dal luogo originario per una superficie di circa 3.000 metri quadrati, 14 complessi di sculture, 144 sculture singole, di cui 22 in legno. […] Poi decine di preziose raccolte, i 55.000 volumi stipati nei 6 chilometri di scaffalature dell’Archivio di Stato, i 6.000 faldoni con documenti storici sommersi all’Opera del Duomo, fra cui 55 corali miniati, i 250.000 volumi del Gabinetto Vieusseux e il prezioso patrimonio della Biblioteca del Conservatorio di musica Cherubini, dove galleggiavano i libretti di opere liriche del Sei e Settecento, e le rarità conservate nella Biblioteca della Sinagoga ebraica, dove 14.000 volumi dal Seicento all’Ottocento e 90 rotoli di antica pergamena con l’Antico Testamento erano inondati di acqua sporca di nafta, e i 36.000 volumi custoditi nella Biblioteca dell’Accademia dei Gergofili».

Un simile patrimonio in pericolo viene, però, immediatamente soccorso da un inaspettato movimento di giovani che si mobilitano per mettere in salvo opere d’arte e il materiale librario.

«Dall’Italia, dai paesi europei e da molte nazioni tanti giovani di misero in viaggio. Un tam tam spontaneo che proseguì anche nei giorni seguenti quando, su tutte le prime pagine dei quotidiani, le immagini travolgenti di una Firenze in balia del suo fiume colpivano al cuore».

Insieme a questi aiuti esterni, anche la città si stava organizzando “dal basso” per salvare il proprio patrimonio, la propria cultura e, in ultima istanza, per salvare se stessa.

Un orgoglio e una forza, quelle della Firenze alluvionata del 1966, celebrate ancora oggi, a testimonianza del fatto che il ricordo di questa tragedia rimane vivo e saldo nella popolazione. Lo si intravede, per esempio, nelle bancarelle di libri antichi, in mezzo alle quali si ritrova il volume di Franco Nencini pubblicato un mese dopo l’alluvione che già proponeva, all’epoca, una lucida disamina dell’accaduto; lo si osserva, guardando le scene di “Per Firenze”, il film documentario di Zeffirelli, prodotto anch’esso dalla Rai nei mesi immediatamente successivi alla tragedia; ne abbiamo auto una conferma, 50 anni dopo, nel 2016, entrando nelle librerie e ritrovando il volume “Angeli del fango”, vale a dire il modo con cui Erasmo D’Angelis celebra la “meglio gioventù” della città, oppure visitando la mostra de La Nazione “L’Arno straripa a Firenze”; continuiamo a ricordarlo ogni anno, attraverso i social e i commenti di fiorentini, toscani e italiani, i quali il 4 novembre, commemorano costantemente un evento in cui la tragedia ha portato forza e «la bellezza è stata salvata – almeno in parte – dal mondo».

Piazza Duomo e Battistero (foto tratta da E. D’Angelis, Angeli del fango, Giunti 2016)

Per approfondire:

  • E. D’Angelis, Angeli del fango, Giunti 2016.

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Simona Pons

Scritto in data: 30 novembre 2020

In copertina: Ponte Vecchio (foto tratta da: E. D’Angelis, Angeli del fango, Giunti 2016)

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Pubblicato da Simona Pons

Architetto; laureata in Beni Culturali (ambito di interesse: architettura fortificata )