L’alienazione dei beni culturali

Partiamo da una domanda: i beni culturali possono essere venduti? Dipende dalla tipologia e dalla appartenenza di essi.

Poniamo due esempi.

Supponiamo che un Ente pubblico proprietario di un palazzo sottoposto a vincolo di tutela, perché riconosciuto d’interesse storico, ipotizzi di venderlo; e supponiamo inoltre che Tizio, proprietario di un immobile del ‘700 sottoposto a vincolo di tutela, decida di venderlo a Caio.

Nel primo esempio si tratta di un bene immobile culturale pubblico, nel secondo invece di proprietà privata.

L’argomento giuridico di cui parleremo questo mese riguarda l’alienazione dei beni culturali, le cui norme esplicative sono contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (Capo IV, Sezione I, Titolo I, parte seconda del D.Lgs.vo n. 42 del 2004 intitolato “Circolazione in ambito nazionale”) .

Tuttavia, la risposta alla domanda presuppone un necessario e preliminare cenno alle norme del codice civile che individuano i beni demaniali (art. 822) e i beni del patrimonio indisponibile dello Stato (art. 826).

Secondo l’art. 822 c.c. i beni del demanio pubblico appartenenti allo Stato sono essenzialmente beni immobili e/o universalità di mobili [1]. Essi sono connotati dal regime della inalienabilità e dell’inidoneità a formare oggetto di diritti a favore di terzi: non possono essere venduti, usucapiti, né possono instaurarsi su di essi diritti reali minori (per esempio, usufrutto), se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Di tali beni, l’art. 822 c.c. ne fa un’elencazione tassativa, nella quale sono annoverati, tra gli altri, quelli riconosciuti di interesse storico, archeologico, artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, le pinacoteche, gli archivi, le biblioteche

I beni del patrimonio indisponibile (immobili e mobili), tra i quali vengono comprese le cose di interesse storico, archeologico, paleontologico, e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo,sono gravati da un vincolo di destinazione all’uso pubblico e, pertanto, non possono essere sottratti dalla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828, comma 2°).

La differenza, dunque, tra beni del demanio pubblico e beni del patrimonio statale indisponibile è costituita dal fatto che tutti i beni che non rientrano nella casistica del patrimonio demaniale (elencazione cui ne fa l’art. 822 c.c.), sono ritenuti compresi nel patrimonio indisponibile (art. 823 c.c.).

Ne consegue che i beni culturali che fanno parte del demanio pubblico (la dottrina ha elaborato a tal riguardo la denominazione di patrimonio del demanio culturale), si pensi, per esempio, ad un parco archeologico, sono assolutamente inalienabili e su di essi non possono costituirsi diritti se non nei casi previsti dalla legge (per fare un esempio: accade che all’interno di un parco archeologico si dia in concessione ai privati un’area per la gestione di attività di bar o ristorazione), mentre la condizione giuridica dei beni del patrimonio statale indisponibile, che quindi non rientrano nella categoria di quelli demaniali, è disciplinata dalle leggi che li governano, fermo restando il vincolo di destinazione.

Fatta questa breve e necessaria premessa, trattiamo ora nello specifico le modalità di alienazione dei beni culturali secondo le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Il Codice, nel ribadire che i beni del demanio culturale non possono essere alienati, dichiara inoltre che eventuali diritti su di essi, a favore di terzi, sono disciplinati “… nei limiti e con le modalità previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio”(art. 53).

L’art. 54 elenca tassativamente i beni culturali demaniali per i quali è sancita l’inalienabilità, quali:

– gli immobili e le aree di interesse archeologico;

– gli immobili dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa all’epoca vigente;

– le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche;

– gli archivi;

– gli immobili dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera d);

– le cose mobili che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni, se incluse in raccolte appartenenti ai soggetti di cui all’articolo 53;

– le cose appartenenti ai soggetti indicati all’ articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica previsto dall’articolo 12. Se il procedimento si conclude con esito negativo, le cose medesime sono liberamente alienabili, ai fini del presente codice, ai sensi dell’articolo 12, commi 4, 5 e 6;

– le cose mobili che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, se incluse in raccolte appartenenti ai soggetti di cui all’articolo 53;

i singoli documenti appartenenti ai soggetti di cui all’articolo 53, nonché gli archivi e i singoli documenti di enti ed istituti pubblici diversi da quelli indicati al medesimo articolo 53;

– le cose immobili appartenenti ai soggetti di cui all’articolo 53 dichiarate di interesse particolarmente importante, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera d).

Tali beni del demanio culturale possono essere oggetto di trasferimento esclusivamente tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, fermo restando la possibilità di essere utilizzati secondo le disposizioni dello stesso Codice (art. 54, comma 3°).

Quindi, considerando per essi la inalienabilità e il loro possibile utilizzo secondo le norme del Codice, i beni immobili appartenenti al demanio culturale, non rientranti tra quelli sopra elencati, possono essere alienati solo previa autorizzazione da parte del Ministero.

La richiesta di autorizzazione deve contenere l’indicazione della destinazione d’uso in atto e quella prevista dell’immobile, delle misure volte a conservarlo, gli obiettivi di valorizzazione e le modalità di fruizione pubblica e va detto che l’ente pubblico continua a conservare sull’immobile alienato poteri-doveri di tutela, che si esplicitano attraverso provvedimenti autorizzativi in caso di lavori ed opere di qualunque genere (art. 55, commi 3-quinquies e 3-sexies). Inoltre, le prescrizioni e condizioni contenute nell’autorizzazione sono riportate nell’atto di alienazione e trascritte nei registri immobiliari, del quale costituiscono obbligazione per la parte contraente e oggetto di apposita clausola risolutiva espressa e, pertanto, in caso di inadempienze, il Soprintendente ne dà comunicazione ai fini della risoluzione dell’atto di alienazione. Infine, adottata l’autorizzazione, il bene viene sdemanializzato (art. 55, comma 3-quinqies).

Diamo ora un cenno alla alienazione di beni culturali di proprietà privata.

Al riguardo, il Codice prevede l’obbligo della denuncia da parte dell’alienante, entro trenta giorni, al Ministero degli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili, la detenzione di beni culturali (art. 59). La denuncia deve contenere obbligatoriamente una serie di elementi tra i quali i dati identificativi del bene e quelli dei soggetti veditore e acquirente, nonché la sede dove è collocato il bene e quella dove verrà collocato in caso di bene mobile. In mancanza degli elementi informativi tassativamente richiesti dalla norma, ovvero in caso di loro incompletezza o imprecisione, si considera come mai avvenuta la denuncia.

La presentazione della denuncia da parte dell’alienante legittima il Ministero o comunque i soggetti pubblici espressamente previsti a esercitare, entro sessanta giorni dalla denuncia stessa, il diritto di acquisto del bene in via di prelazione (art. 60). Qualora la denuncia sia stata omessa, ovvero risulti incompleta o presentata in ritardo, il termine si estende a centottanta giorni e, in pendenza, l’alienante non può vendere il bene.

Le prescrizioni qui delineate sono assistite da tutela penale, infatti l’art. 518-nonies, c.p., sanziona con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da euro 2.000 a euro 80.000 la condotta di chiunque, senza la prescritta autorizzazione, aliena o immette sul mercato beni culturali, ovvero, essendovi tenuto, non presenta, nel termine di trenta giorni, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali, ovvero ancora l’alienante di un bene culturale soggetto a prelazione effettua la consegna della cosa in pendenza del termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia di trasferimento.

Riprendendo gli esempi fatti all’inizio, è possibile quindi affermare che l’Ente pubblico non potrebbe vendere il palazzo storico laddove l’immobile rientrasse nel novero dei beni di cui all’art. 822, comma 2°, c.c. e art. 54 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e diversamente occorre richiedere l’autorizzazione ministeriale. Il privato è, invece, di per sé legittimato a vendere l’immobile, ma egli è previamente obbligato alla presentazione della denuncia al Ministero per l’eventuale esercizio del diritto di prelazione da parte di quest’ultimo.

Il sistema della circolazione dei beni culturali siano essi pubblici o privati presiede a quelle forme di tutela che mirano a garantire, in estrema sintesi, non solo la tracciabilità del nostro patrimonio culturale, ma essenzialmente a custodirlo e quindi a tutelarlo al meglio e con una maggiore efficacia.

Bibliografia essenziale:

  • Codice penale e di procedura penale, edizione Dike giuridica, Roma 2023.
  • A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino 2011.
  • L. Mazza (a cura di), Le disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale. Una prima lettura, Pisa 2023.
  • Cass. Civ. SS.UU. 28 giugno 2006, n. 14865.
  • Cass. Civ. SS.UU. 16 febbraio 2011, n. 3811.
  • Cons. di Stato 14 gennaio 2022, n. 261.
  • Cass. Ord. 17 ottobre 2023, n. 28792.

Sitografia:

Autore del contributo per il blog “La Tutela del Patrimonio Culturale”: Leonardo Miucci

Scritto in data: 29 ottobre 2023

Il contributo è scaricabile in formato pdf al seguente link.


[1] Si tratta di complessi di cose omogenee, che appartengono alla stessa persona, e l’unificazione è data dalla destinazione unitaria, in vista di una funzione comune, Per esempio: un gregge, una biblioteca, una scuderia da corsa.

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Pubblicato da Leonardo Miucci

Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, precedentemente in servizio presso la Sezione TPC di Siracusa